Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22641 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. III, 19/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 19/10/2020), n.22641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28063/2019 proposto da:

O.T.M., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato Rosa Vignali;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1083/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. – Con ricorso affidato a cinque motivi, T.M.O., cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Roma, resa pubblica in data 14 febbraio 2019, che ne rigettava l’appello proposto avverso la decisione del Tribunale di Roma, che, a sua volta, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, rigettava la richiesta di protezione internazionale volta ad ottenere, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria, nonchè di quella umanitaria.

1.1. – A sostegno dell’istanza il richiedente aveva dedotto di essere stato costretto a fuggire dal suo Paese a causa delle persecuzioni provenienti da una setta segreta “(OMISSIS)” rivale rispetto a quella cui apparteneva il di lui fratello, la “(OMISSIS)”.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) erano da condividere le considerazioni operate dal Tribunale rispetto al diniego dello status di rifugiato, non avendo il richiedente allegato specifici elementi di carattere soggettivo idonei a far ipotizzare, in caso di rimpatrio, il rischio di persecuzione per uno dei motivi previsti dalla legge; b) risultava completa ed esauriente la motivazione del giudice di primo grado in relazione all’inattendibilità del narrato, essendo risultato scarsamente credibile e non circostanziato; c) peraltro, la vicenda raccontata dal richiedente, afferente alle minacce di morte provenienti dalla setta rivale a quella di appartenenza del fratello, non presentava alcuna connessione con la sua zona di provenienza, assumeva carattere personale, nonchè esulava dai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria; d) dai siti internazionali consultati, non emergeva una situazione di violenza indiscriminata nel Paese di provenienza del richiedente; e) era da condividere la motivazione di rigetto della protezione umanitaria non avendo il ricorrente dedotto e provato alcunchè circa la propria condizione sanitaria e il percorso di integrazione socio-lavorativa intrapreso.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. – Con il primo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità processuale dell’impugnata sentenza per motivazione apparente ex art. 132 c.p.c., per aver la Corte territoriale argomentato solo “per relationem alle risultanze del primo grado”, senza tener conto dell’impianto difensivo di esso appellante.

1.1.- Il motivo è infondato.

In tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (Cass. n. 27112/2018).

Nella specie, non è riscontrabile tale vizio poichè la sentenza impugnata enuncia i motivi di gravame fatti valere avverso la decisione di primo grado – compresi quelli inerenti alla ritenuta non credibilità del narrato che, pertanto, vengono presi in considerazione -, per poi evidenziare come la motivazione del Tribunale sia risultata completa ed esauriente, con espressa condivisione delle conclusioni raggiunte, che vengono autonomamente ribadite, palesando il carattere di autonomo processo decisionale compiuto dalla Corte territoriale.

Nè costituisce un vizio censurabile in sede di legittimità l’omesso esame, da parte del giudice di merito, di una o più argomentazioni difensive. Il giudice di merito, infatti, non ha l’obbligo di prendere in esame e confutare tutte le argomentazioni difensive svolte dalle parti, ma è sufficiente che esprima (come nella specie) “in forma sobria e sintetica i risultati del suo apprezzamento sul complesso degli elementi di prova acquisiti al processo” (tra le tante, Cass. n. 12123/2013).

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non aver la Corte territoriale applicato il principio dell’onere probatorio attenuato e per non avere valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal citato art. 3.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, per aver la Corte di appello ritenuto erroneamente che quanto narrato dal richiedente non fosse meritevole di protezione internazionale trattandosi di vicenda privata e per non aver proceduto all’attivazione dei poteri di integrazione istruttori d’ufficio onde verificare la portata della minaccia descritta.

Il ricorrente lamenta, segnatamente, che il giudice di merito avrebbe errato nel qualificare la vicenda come privata, non valorizzando il ruolo che in essa avrebbe ricoperto la setta, poichè, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, i responsabili di persecuzioni o del danno grave possono essere anche soggetti non statuali e, quindi, privati se lo Stato o le organizzazioni che controllano lo Stato non possono o non vogliono fornire protezione; pertanto, alla luce di tale valutazione, la Corte di merito avrebbe dovuto attivare i poteri ufficiosi al fine di indagare sull’effettiva capacità delle autorità statali di offrire protezione rispetto alle minacce subite dall’istante.

4.- Il secondo e terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

Con essi, infatti, non è colta appieno, e quindi censurata congruamente, la ratio decidendi dell’impugnata sentenza nella parte in cui ha, anzitutto, escluso – con motivazione intelligibile e adeguata – l’attendibilità del narrato del richiedente.

Va, difatti, rammentato che, in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice soltanto l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate e, in particolare, di stabilire se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili. Da ciò consegue che: a) la norma non potrà mai dirsi violata sol perchè il giudice del merito abbia ritenuto inattendibile un racconto o inveritiero un fatto; b) non sussiste un diritto dello straniero ad essere creduto sol perchè abbia presentato la domanda di asilo il prima possibile o abbia fornito un racconto circostanziato; c) il giudice è libero di credere o non credere a quanto riferito secondo il suo prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass. n. 6897/2020).

Le doglianze di parte ricorrente, pertanto, non risultano pertinenti rispetto all’anzidetta ratio decidendi, in quanto, prescindendo dall’apprezzamento negativo sulla credibilità del narrato, si soffermano sulla mancata attivazione di approfondimenti istruttori relativi ai motivi di persecuzione provenienti da una determinata setta religiosa (e sulla correlata assenza di protezione statuale), che presuppongono, per l’appunto, la attendibilità della vicenda personale.

Nè, peraltro, è dal ricorrente veicolata alcuna doglianza, in questa sede, avverso l’accertata insussistenza della condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

4. – Con il quarto mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non aver la Corte di appello tenuto conto dei documenti prodotti circa la regolare attività lavorativa del richiedente, rigettando la richiesta di protezione umanitaria in asserita assenza di allegazioni sul percorso di integrazione sociale.

5. – Con il quinto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2005, art. 32, in relazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per aver erroneamente la Corte territoriale escluso il riconoscimento della protezione umanitaria senza effettuare alcuna indagine delle condizioni in cui versa il Paese d’origine, anche al fine di effettuare la dovuta comparazione valutativa.

5.1.- Il quarto e il quinto motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati.

In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., S.U., n. 29459/2019, Cass. n. 8819/2020).

La Corte di appello non ha fatto corretta applicazione di tale principio, avendo mancato di effettuare ogni valutazione in ordine alla situazione oggettiva e soggettiva del richiedente nel Paese di origine, tale da doversi escludere, in loco, un vulnus al nucleo essenziale dei diritti fondamentali della persona.

6. – Vanno, dunque, accolti il quarto e il quinto motivo di ricorso; ricorso che deve, invece, essere rigettato nel resto.

La sentenza impugnata va, quindi, cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che, nel delibare, la domanda di protezione umanitaria, dovrà attenersi al principio innanzi enunciato.

Il giudice di rinvio dovrà provvedere, altresì, alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il quarto e quinto motivo e rigetta nel resto il ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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