Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22640 del 19/10/2020
Cassazione civile sez. III, 19/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 19/10/2020), n.22640
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27793/2019 proposto da:
F.S.N., elettivamente domiciliato in Roma Via Chisimaio,
29, presso lo studio dell’avvocato Marilena Cardone, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO; COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL
RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE ROMA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1750/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 14/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
30/06/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.
Fatto
RILEVATO
Che:
1. – Con ricorso affidato a tre motivi, F.S.N., cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Roma, resa pubblica in data 14 marzo 2019, che ne rigettava l’appello proposto avverso la decisione del Tribunale di Roma, che, a sua volta, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, rigettava la richiesta di protezione internazionale volta ad ottenere, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria, nonchè di quella umanitaria.
1.1. – A sostegno dell’istanza il richiedente aveva dedotto di essere stato costretto a lasciare il suo Paese per le numerose minacce di morte e per le violenze subite da parte dei suoi familiari (di religione musulmana) dopo aver manifestato la sua volontà di convertirsi al cristianesimo.
2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il racconto reso dal richiedente era contraddittorio e scarsamente attendibile data l’ignoranza dei principi fondamentali del cristianesimo e la poca credibilità dei motivi per i quali aveva intrapreso il percorso di conversione, risultando, altresì, strano che, pur se minacciato e data l’influenza politica del padre, era rimasto senza alcun timore nella stessa città di (OMISSIS), presso l’abitazione di un’amica; b) i fatti come narrati erano, pertanto, inidonei a configurare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, potendo invece essere ricondotti nella sfera familiare e personale di una giustizia ordinaria; c) non ricorrevano neanche i presupposti per la protezione sussidiaria poichè, ferma l’inattendibilità del narrato, non era stato riferito nulla circa una condanna di morte, o l’esecuzione di una pena, o trattamento inumano, nonchè non era configurabile nel Paese d’origine alcuna situazione di violenza generalizzata; d) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in mancanza della prova di uno stato di vulnerabilità fisica e psicologica in cui il richiedente si sarebbe trovato in caso di rimpatrio e di un’integrazione socio-lavorativa nel Paese d’accoglienza, non essendo risultata al riguardo sufficiente la documentazione prodotta in giudizio.
3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.
Il ricorso è stato notificato anche alla Commissione territoriale, rimasta, anch’essa, soltanto intimata.
Diritto
CONSIDERATO
Che:
1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4 e art. 7, per aver errato la Corte territoriale nel ritenere non integrati i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato pur a fronte delle dichiarazioni particolareggiate rese dal richiedente circa la sofferenza dallo stesso patita a causa delle violenze dei propri familiari contrari alla conversione ed alle quali tornerebbe ad essere soggetto in caso di rimpatrio.
1.1. – Il motivo è inammissibile in quanto non diretto a censurare utilmente la complessiva ratio decidendi della sentenza impugnata.
Parte ricorrente assume, a fondamento del riconoscimento dello status di rifugiato, le allegate ed ignorate violenze patite dai propri familiari a seguito della sua volontà di convertirsi ad un’altra religione ed i fondati timori di persecuzione e pericolo alla vita in cui incorrerebbe in caso di rimpatrio.
Tale censura, tuttavia, muove da una premessa non creduta dalla Corte capitolina, ossia che il richiedente asilo, nel caso di specie, abbia subito una persecuzione per motivi religiosi.
Invero, la Corte territoriale ha accertato l’inattendibilità del racconto reso dal richiedente in quanto contraddittorio e poco credibile (come meglio riassunto nel “Rilevato che”) e, pertanto, escluso che la vicenda così narrata potesse giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato in assenza di alcun fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica. Nè, d’altronde, possono deporre in senso contrario le censure dedotte dal ricorrente in quanto generiche e comunque afferenti ad un apprezzamento di fatto censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 3340/2019), senza che, nella specie, venga dedotto, in modo specifico e congruente (in base al principio enunciato da Cass., S.U., n. 8053/2014), l’omesso esame di un fatto discusso in giudizio e decisivo.
Inoltre, il ricorrente lamenta, del pari genericamente, l’aver la Corte territoriale ignorato le dedotte persecuzioni e pericoli a cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio, quando, invece, dette allegazioni sono state valutate dal giudice di merito, ma ritenute non credibili.
2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per aver la Corte d’appello mancato di assolvere al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, non tenendo conto della situazione di sicurezza del Senegal, peggiorata negli ultimi anni e, in particolare, delle numerose problematiche relative alla violenza in famiglia per le conversioni al cristianesimo.
2.1.- Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
La Corte territoriale non ha affatto violato il dovere di cooperazione istruttoria, poichè questo non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito viene investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile (Cass. n. 3340/2019; Cass. n. 16925/2018).
Pertanto, avendo l’inattendibilità del narrato investito le domande formulate per il riconoscimento della protezione di status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 (v. Cass., n. 15794/2019; Cass., n. 4892/2019), la Corte territoriale in ottemperanza al proprio dovere di cooperazione istruttoria ha, sulla base di COI attendibili ed aggiornate (Amnisty International 2016-2017), esaminato la situazione fattuale della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente asilo, ritenendo insussistente una situazione di violenza indiscriminata e generalizzata idonea a giustificare la protezione sussidiaria di cui del citato art. 14, lett. c) predetto D.Lgs.; accertamento, questo, che, lungi dall’essere censurato come violazione di legge, è investito da critiche di merito e volte a conseguire un risultato diverso ed alternativo rispetto a quello oggetto di apprezzamento della Corte d’appello.
3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per aver erroneamente la Corte capitolina escluso il riconoscimento della protezione umanitaria nonostante la manifesta condizione di vulnerabilità derivante dalla vicenda personale del richiedente e nella quale verrebbe a ritrovarsi in caso di rimpatrio, nonchè la difficile situazione registrata nel Senegal, ove vengono negati i principali diritti umani.
3.1.- il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale, una volta esclusa l’attendibilità del narrato e la sussistenza di una condizione di vulnerabilità legata alla vicenda personale del richiedente, ha ritenuto, altresì, inidonea la documentazione prodotta in giudizio a provare il percorso sociale-lavorativo intrapreso dal richiedente nel nostro Paese, senza che anche siffatto complessivo accertamento sia stato idoneamente censurato ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
4. – Ne consegue il rigetto del ricorso.
Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva delle parti intimate.
PQM
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020