Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22639 del 25/09/2018

Cassazione civile sez. II, 25/09/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 25/09/2018), n.22639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16834/2014 proposto da:

R.G., rappresentato e difeso dall’avv. GIUSEPPE ZANGHI’

e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

V.P. e C.F., rappresentati e difesi dall’avv.

GIOVANNA SAIJA e domiciliati presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il

04/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/05/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.G. Dott. FULVIO TRONCONE, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 23.8.07 R.G. conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Messina C.F., V.P. e Co.An., esponendo di aver acquistato dai primi due convenuti il 26.8.06 una imbarcazione per il prezzo di Euro 22.000 di cui Euro 18.000 versati alla stipula ed Euro 4.000 corrisposti a mezzo assegno postdatato al 26.2.07; di non aver provato il mezzo prima dell’acquisto perchè si trovava in secco; di aver eseguito una prima prova il 22.9.06, in occasione della quale il motore sinistro dell’imbarcazione aveva manifestato malfunzionamenti; di aver contestato l’esistenza di vizi; di aver tentato il trasporto via mare del natante il successivo 28.10.06, avendo il cantiere gestito dal Co. (anch’egli convenuto) sollecitato la partenza della barca, e di aver subito ulteriori malfunzionamenti durante il viaggio per mare, su entrambi i motori e su alcuni organi meccanici tra cui una delle eliche; di aver fatto preventivare il costo delle riparazioni e di aver ricevuto preventivi superiori al costo di acquisto del mezzo.

Deduceva ancora l’attore di aver sporto querela per truffa contro i venditori, avendo anche scoperto che l’imbarcazione era stata costruita nel 1981 e non nel 1984 come dai venditori stessi dichiarato; nonchè di aver vanamente chiesto al Co. la consegna del carrello di alaggio della barca, non ricevendo però risposta.

L’attore invocava pertanto la riduzione del prezzo di vendita del bene, il risarcimento del danno e la consegna del carrello.

Si costituivano in giudizio i convenuti C. e V. resistendo alla domanda e invocandone il rigetto. Deducevano di non aver taciuto all’acquirente le condizioni della barca, che era stata acquistata con la clausola “visto e piaciuto”; che il mezzo era funzionante alla consegna; che il carrello non era compreso nella vendita perchè di proprietà di terzo, tale S.G.. In via riconvenzionale, chiedevano la condanna dell’attore al pagamento del saldo prezzo di Euro 4.000 e al risarcimento del danno da lite temeraria.

L’attore chiamava in causa S.G., che a sua volta si costituiva resistendo alla domanda relativa alla consegna del carrello. Restava invece contumace l’altro convenuto Co..

La causa veniva istruita con produzioni documentali e CTU e decisa con la sentenza n. 1792/12, con la quale il Tribunale di Messina dichiarava improcedibile a norma dell’art. 75 c.p.p., la domanda risarcitoria svolta dall’attore, poichè quegli si era costituito parte civile in sede penale, e respingeva sia la actio quanti minoris sia la domanda di consegna del carrello. Circa la prima, riteneva che anche all’esito della CTU non fosse stata raggiunta la prova del fatto, posto che la barca era stata medio tempore riparata. Circa la seconda, riteneva invece insussistente il vincolo pertinenziale tra barca e carrello ipotizzato dall’attore. Accoglieva invece la domanda riconvenzionale di pagamento del saldo prezzo proposta dai convenuti C. e V., ritenendo pacifica la relativa circostanza.

Interponeva appello avverso tale decisione il R. nei soli confronti del C. e del V. e la Corte di Appello di Messina, con ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. comunicata il 7.4.2014, dichiarava inammissibile il gravame.

Propone ricorso per la cassazione della sentenza di primo grado il R. affidandosi a nove motivi. Resistono con controricorso C. e V.. Nessuna delle parti ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 157 c.p.c., comma 2,in ordine alla rilevabilità d’ufficio della nullità relativa alla deduzione della prova testimoniale, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c., in ordine alla declaratoria di inammissibilità della dedotta prova testimoniale in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in rapporto alla ritenuta superfluità della prova testimoniale secondo un giudizio prognostico ipotetico in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la correttezza della pronuncia di parziale improcedibilità dell’azione disposta dal primo giudice in relazione alla domanda risarcitoria, già esperita in sede penale.

Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in merito al rigetto della domanda di riduzione del prezzo sul presupposto della ritenuta insussistenza del fatto-reato di truffa, in rapporto all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490,1491 e 1492 c.c., in rapporto all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in rapporto all’art. 360 c.p.c., n. 3 e l’omessa pronuncia relativamente alla quantificazione della riduzione del prezzo della compravendita.

Con l’ottavo motivo, il ricorrente si duole dell’erroneo accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dai due odierni controricorrenti.

Con il nono ed ultimo motivo, il ricorrente contesta la pronuncia sulle spese adottata dal giudice di merito.

Prima di scrutinare i predetti motivi, occorre rilevare che nel caso di specie il ricorso viene proposto avverso la sentenza di prime cure, a seguito di ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis e ter c.p.c.. In detti casi, il ricorrente ha l’onere di indicare nel ricorso per cassazione, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza di detto atto, sia i motivi di appello proposti che le ragioni in base alle quali la Corte territoriale aveva ritenuto inammissibile l’impugnazione, al fine di consentire alla Corte di Cassazione il duplice riscontro, da un lato circa l’eventuale formazione del giudicato interno sulle questioni oggetto dei motivi dedotti nel ricorso per cassazione, e dall’altro lato circa l’eventuale novità delle questioni medesime.

In termini, “Nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, l’atto d’appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa menzione dei motivi di appello e della motivazione dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame” (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 10722 del 15/05/2014, Rv. 630702; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 26936 del 23/12/2016, Rv. 642322; cfr. anche Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 2784 del 12/02/2015, Rv. 634388).

Anche quando l’errore che, ad avviso del ricorrente, inficia la decisione di primo e di secondo grado sia il medesimo, “il ricorso per cassazione, con il quale siano impugnate congiuntamente la sentenza di primo grado e l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c., deve contenere la trattazione separata delle censure indirizzate a ciascuno dei due provvedimenti e, ove sia ritenuta l’esistenza di un identico errore, deve individuare ed illustrare tale identità, così da consentire di distinguere quale sia la critica da riferire all’uno e quale all’altro di essi, essendo in mancanza il ricorso inidoneo a raggiungere il suo scopo, che è quello della critica al provvedimento impugnato” (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 12440 del 17/05/2017, Rv. 644293).

Nel caso specifico, in nessun punto del ricorso per cassazione il ricorrente deduce, nè tantomeno riporta, quali furono i motivi di appello dedotti innanzi la Corte di Appello e quali le argomentazioni poste da detto giudice a fondamento della pronuncia di inammissibilità del gravame ex artt. 348 bis e ter c.p.c.. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del grado, che liquida in Euro 2.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, Iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2018

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