Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22639 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. III, 19/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 19/10/2020), n.22639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27782/2019 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Collina, 48,

presso lo studio dell’avvocato Ermanno Pacanowski, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2547/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. – Con ricorso affidato a cinque motivi, F.M., cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Roma, resa pubblica in data 15 aprile 2019, che ne rigettava l’appello proposto avverso la decisione del Tribunale di Roma, che, a sua volta, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, rigettava la richiesta di protezione internazionale volta ad ottenere, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria nonchè di quella umanitaria.

1.1. – Il richiedente a sostegno dell’istanza aveva dedotto di essere stato costretto a fuggire dal suo Paese in quanto illegittimamente condannato a quindici anni di reclusione quale autore dell’omicidio di una persona amica.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) le dichiarazioni rese dal ricorrente erano inverosimili ed inattendibili in particolare per quel che concernevano i motivi di fuga dal Paese d’origine, nonchè le modalità della stessa, con conseguente esclusione del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); b) non sussistevano neanche i presupposti per il riconoscimento di una protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), poichè sulla base di fonti di informazioni autorevoli ed aggiornate (indicate nella motivazione), non si registrava, nel complesso, in Senegal una situazione di violenza indiscriminata; c) non sussisteva una condizione di vulnerabilità in capo al ricorrente giustificativa della protezione umanitaria data l’inattendibilità dell’unico profilo di fragilità dedotto in giudizio ed inerente la vicenda personale.

3. – L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla Direttiva 2004/83CE, recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007, laddove “i primi Giudici” hanno rigettato la domanda di protezione internazionale sulla base della mancata allegazione e dimostrazione delle condizioni che avevano indotto il richiedente all’espatrio, omettendo, così di adempiere all’obbligo di assumere un ruolo attivo nell’istruttoria della domanda e, pertanto, di indicare i documenti da allegare e dimostrare, ovvero di attivarsi officiosamente al fine di reperire i mezzi di prova necessari.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’omesso esame delle dichiarazioni rese da esso richiedente alla Commissione territoriale circa i motivi che lo avevano costretto a lasciare il proprio Paese – da reputarsi idonei a giustificare le protezioni invocate, anche se le forme di persecuzione erano provenienti da soggetti diversi dallo Stato, quando quest’ultimo non può o vuole fornire tutela – e delle allegazioni, a sostegno dell’azione giudiziale, per la valutazione delle condizioni critiche in cui verserebbe il Paese di origine.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per aver erroneamente “il Tribunale di prime cure” escluso la concessione della protezione sussidiaria pur a fronte delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine.

4. – I primi tre motivi, da scrutinarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.

In primo luogo, parte delle censure non sono specificamente calibrate rispetto alla sentenza impugnata, rivolgendosi esse piuttosto alla decisione dei “Giudici di prime cure”, come, peraltro, è interamente articolato il terzo motivo, con cui si chiede: “… vista l’assoluta mancanza di valutazione da parte del Tribunale di prime cure in merito alla condizione oggettiva della situazione del Senegal, l’impugnato decreto deve essere cassato”.

Inoltre, e in via di per sè assorbente, il ricorrente lamenta che la richiesta di protezione internazionale sarebbe stata rigettata per mancanza delle allegazioni e delle dimostrazioni delle condizioni che avevano portato esso richiedente a fuggire dal Senegal, così mancando, però di censurare la ratio decidendi del rigetto della domanda di protezione, fondata sull’inattendibilità del narrato.

Del resto, l’attenuazione del principio dispositivo in cui si risolve la “cooperazione istruttoria” (da ricondursi, in particolare, al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5) si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova: è onere del ricorrente indicare i fatti costitutivi del diritto azionato e consistente nell’allegare, produrre e dedurre gli elementi ed i documenti necessari a motivare la domanda in relazione all’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del Paese di provenienza, non potendo il giudice introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 27336/18; Cass. n. 3016/2019), salvo in ogni caso il potere del giudice di qualificare diversamente la misura di protezione appropriata al rischio nel concreto prospettato dalla parte (Cass. n. 7333/2015, Cass. n. 8819/2020).

Pertanto, solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero si registrino i fenomeni idonei a giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. n. 19197/2015, Cass. n. 15794/2019).

Tale potere è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine: mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel Paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacola al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo, a tal riguardo, soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso del già citato art. 3, comma 5.

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha: i) ha ritenuto di scarsa credibilità il racconto del ricorrente, con valutazione ampiamente ragionata circa l’inverosimiglianza dei motivi per i quali era fuggito dal Paese d’origine (accusato e condannato ad una pena di reclusione di 15 anni per aver ucciso un proprio amico), nonchè sulle circostanze in cui sarebbe avvenuta l’evasione dal carcere e la relativa fuga dal paese; ii) ha ponderato, indicando specificatamente le plurime fonti del proprio convincimento, la situazione sociale, politica ed economica del Paese di provenienza dell’odierno ricorrente (Senegal), escludendo che la stessa potesse configurarsi in termini di gravità quale descritta del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c),.

Sicchè contrariamente da quanto dedotto dal ricorrente come vizio di una “violazione e/o falsa applicazione di legge” (ma sostanziandosi le doglianze in una rivalutazione dei fatti, riservata al giudice di merito e insindacabile in questa sede se non ai sensi del non denunciato – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la Corte territoriale non ha affatto omesso di valutare i fatti costitutivi posti a sostegno della domanda di protezione internazionale, ma li ha ritenuti inattendibili.

Così operando, il giudice di appello, una volta ritenuto non attendibile il narrato del richiedente e, pertanto, escluso il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha, poi, adempiuto al proprio potere-dovere di cooperazione istruttoria, negando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della tutela prevista del citato art. 14, lett. c), avendo accertato, in base a fonti di informazioni aggiornate e attendibili, indicate in motivazione (pp. 3 e 4 della sentenza impugnata), non sussistendo nel Paese di origine una situazione di violenza indiscriminata e generalizzata.

5. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per aver erroneamente la Corte territoriale, con motivazione contraddittoria, negato il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non tenendo conto del grado d’integrazione sociale raggiunto da esso richiedente nel nostro Paese e delle precarie condizioni socio-politiche del Paese di provenienza.

5.1. – Il motivo è inammissibile in quanto non censura la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Nella specie, la Corte capitolina una volta dichiarata l’insussistenza di una situazione di fragilità da tutelare, essendo stata dedotta quale unico profilo di fragilità quello legato alla sua storia personale (“le condizioni nelle carceri senegalesi… creano un rischio reale per la salute e la vita stessa del ricorrente”) ritenuta inattendibile e, peraltro, non avendo riscontrato l’esistenza di condizioni di rischio oggettivo, ha correttamente reputato non dirimente il profilo dell’integrazione sociale del richiedente nel nostro Paese, in quanto fattore concorrente, ma non esclusivo della comparazione da effettuarsi ai fini della protezione umanitaria (Cass., S.U., n. 29459/2019).

6. – Con il quinto mezzo è prospettata l’eccezione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, così come modificato del D.L. n. 13 del 2017, art. 6, in relazione agli artt. 3,24,111 e 113 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento è definito con decreto non reclamabile, sopprimendo, così l’impugnazione in appello.

6.1.- Il motivo, e con esso l’eccezione di legittimità costituzionale, è inammissibile per difetto di rilevanza (ancor prima che manifestamente infondata l’eccezione stessa, alla luce di precedente in tal senso: Cass. n. 28119/2018), giacchè l’attuale ricorrente ha beneficiato del giudizio di appello in ragione dell’applicazione all’azione giudiziale da esso promossa del regime processuale antecedente a quello modificato dal D.L. n. 13 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017.

7. – Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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