Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22639 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/09/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 10/09/2019), n.22639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22061-2017 proposto da:

C.A., R.F., elettivamente domiciliati in ROMA,

V. DELLA GIULIANA 58, presso lo studio dell’avvocato PIETRO

TROIANIELLO, rappresentati e difesi dagli avvocati GIOVANNI

GIORDANO, GINEVRA GIORDANO;

– ricorrenti –

contro

INTESA SAN PAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.GO DI TORRE ARGENTINA

11, presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DEL CASSINATE SCPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PAOLO EMILIO N. 57, presso lo studio dell’avvocato LICIA D’AGUANNO,

rappresentata e difesa dall’avvocato EDOARDO PATINI;

– controricorrente –

e contro

UNICREDIT SPA, PHOENIX ASSET MANAGEMENT SPA, CENTRALE ATTIVITA’

FINANZIARIE SPA;

– intimate-

avverso la sentenza n. 4218/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TERRUSI

FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

che:

il tribunale di Cassino dichiarò il fallimento della (OMISSIS) s.n.c. e dei soci in proprio, C.A. e R.F.;

costoro convennero in giudizio la Banca di Roma, la Banca popolare del Cassinate e la Banca popolare dell’Adriatico lamentando l’applicazione di interessi usurari e anatocistici ai rapporti di conto corrente e di apertura di credito con esse intrattenuti;

l’adito tribunale dichiarò la domanda inammissibile, dovendo essere l’azione proposta dalla curatela del fallimento e non dai falliti in proprio;

il gravame dei medesimi è stato rigettato dalla corte d’appello di Roma con sentenza del 23-6-2017, avverso la quale i predetti C. e R. ricorrono adesso per cassazione con un solo motivo;

la Banca popolare del Cassinate e Intesa San Paolo s.p.a., avente causa di San Paolo Imi s.p.a., conferitaria del ramo aziendale della Banca popolare dell’Adriatico, resistono con separati controricorsi;

sia i ricorrenti che la Intesa San Paolo hanno depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 132,112,115 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 2697, 2909,1292,1306,1421 e 2740 c.c., del T.u.b., art. 117, oltre al vizio di motivazione, censurando la sentenza nella parte in cui ha aderito all’eccezione di difetto di legittimazione “passiva” sollevata dalle banche, sulla presunta acquiescenza di essi impugnanti alla sentenza di primo grado;

il ricorso è inammissibile;

la corte d’appello di Roma ha, tra l’altro, esplicitamente affermato (par. 4.1) che la sentenza di primo grado non era stata impugnata con riferimento al rilievo di tardività dell’allegazione del disinteresse degli organi fallimentari a far valere la pretesa nei riguardi delle citate banche; donde ha soggiunto che si era formato un giudicato interno ostativo sul capo della sentenza di primo grado circa la “natura tardiva (e quindi alla sua conseguente inammissibilità) della prospettazione difensiva in ordine alla legittimazione suppletiva degli attori”;

nel motivo di ricorso gli impugnanti assumono di aver agito “per la tutela di diritti strettamente personali”, dell’immagine, “al di là del richiesto risarcimento dei danni patrimoniali”, e che la loro legittimazione sarebbe da ciò derivata oltre che dalla L. Fall., art. 43, stante la non contestata inerzia del curatore; che le questioni sollevate riguardavano la nullità contrattuale, rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 1421 c.c.; e infine che nessuna prova era stata fornita in ordine al giudicato formatosi su asseriti decreti ingiuntivi non opposti;

è agevole osservare che quest’ultima affermazione non appare pertinente alla citata ratio della sentenza d’appello, e che la questione relativa alla lesione dell’immagine, quale elemento originario della causa petendi, neppure risulta dalla sentenza detta; quel che interessa è che la sentenza non è alfine censurata nella specifica e autonoma ratio sopra detta, incentrata sull’esistenza di un giudicato interno ostativo a ravvisare la legittimazione attiva (non “passiva”, come indicato in ricorso); questo perchè non era stato impugnato il capo della decisione di primo grado nel quale la domanda, ai fini della legittimazione incentrata sull’inerzia degli organi fallimentari, era stata ritenuta inammissibile;

le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida, per ciascuna delle parti controricorrenti, in 5.100,00 EUR, di cui 100,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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