Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22636 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 08/11/2016, (ud. 12/10/2016, dep. 08/11/2016), n.22636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – rel. Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8435-2014 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. DEPRETIS

86, presso lo studio dell’avvocato PIETRO CAVASOLA, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 36, presso lo studio dell’avvocato CARLO MARTUCCELLI, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

STRONGBOND INVESTMENTS LTD, CONDOMINIO VIA GIULIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6041/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2016 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;

udito l’Avvocato PAOLA GHEZZI per delega;

udito l’Avvocato CARLO MARTUCCELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 21 aprile 1998, L.G. convenne in giudizio il coniuge separato C.C. e la società Strongbond Invesments Ltd, con sede a (OMISSIS), dinanzi al Tribunale di Roma per dichiarare la nullità per simulazione assoluta ovvero l’inefficacia a norma dell’art. 2901 c.c. nei propri confronti in qualità di creditrice dell’assegno di mantenimento – dell’atto in data 15 luglio 1997, trascritto presso le Conservatorie dei (OMISSIS), rispettivamente, il (OMISSIS), con cui C., in sede di sottoscrizione di aumento di capitale sociale della società di diritto (OMISSIS), aveva conferito alcuni beni e in particolare: un appartamento sito in (OMISSIS), un appartamento sito in (OMISSIS) ed un terreno sito in Comune di (OMISSIS) con sovrastanti fabbricati, nonchè per sentire condannare i convenuti al risarcimento dei danni cagionati dalla stipulazione dell’atto impugnato, con vittoria di spese del giudizio.

I convenuti, costituitisi singolarmente in giudizio, eccepirono entrambi il difetto di giurisdizione del giudice italiano, l’inapplicabilità della legge italiana e comunque l’inammissibilità e infondatezza della domanda, della quale chiesero il rigetto.

Il giudizio venne sospeso a seguito di ricorso per regolamento di giurisdizione, dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione e successivamente riassunto.

Nel corso del giudizio, spiegò intervento volontario adesivo rispetto alle posizioni della ricorrente, il Condominio di (OMISSIS).

Il Tribunale di Roma accolse l’eccezione di difetto di giurisdizione con riferimento alla domanda di simulazione e di revocatoria dell’atto di conferimento degli immobili in società, respinse la domanda di accertamento della comproprietà dell’appartamento di (OMISSIS) e del terreno agricolo e compensò le spese.

La Corte di appello di Roma dichiarò inammissibile l’appello e compensò le spese.

Avverso questa sentenza, L.G. ha proposto ricorso per cassazione articolato in 2 motivi.

Ha resistito con controricorso C.C..

Non si è costituita la società Strongbond Invesments Ltd.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c. “in relazione alla pronuncia di inammissibilità dell’appello sull’erroneo presupposto della mancata integrazione del contraddittorio” tenuto conto che “la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare la nullità della notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio, in quanto effettuato presso i procuratori costituiti e non alla parte personalmente, e rimettere la causa sul ruolo per consentire la rinnovazione della notifica direttamente nei confronti della Strongbond Invesments Ltd”.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha lamentato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illegittimità della decisione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio concernente l’iter del giudizio di appello. Secondo la ricostruzione di parte ricorrente, difatti, la Corte di merito avrebbe concesso “un solo termine” per l’integrazione del contraddittorio (all’udienza del 28 novembre 2006, con assegnazione del termine fino al 20 febbraio 2007) “non potendosi considerare utilmente concesso il termine precedentemente assegnato all’udienza del 16 maggio 2006, dal momento che immediatamente dopo detta udienza il fascicolo non è stato reperibile in Cancelleria, come dichiarato dalla stessa Cancelleria con certificazione depositata nel fascicolo di ufficio”; pertanto, la Corte avrebbe affermato “in modo del tutto erroneo” che l’appellante ha goduto di una rimessione in termini.

Ha lamentato altresì che “se il fascicolo fosse stato regolarmente custodito dalla Cancelleria, la notifica dell’integrazione del contraddittorio avrebbe potuto essere ampiamente effettuata entro l’anno di pubblicazione della sentenza di primo grado”.

Ha lamentato ancora che “se nel disporre la rinnovazione della notifica nei confronti della Strongbond Invesments Ltd, la Corte avesse ritenuto, per effetto dell’avvenuto decorso dell’anno dalla pubblicatone della sentenza, che l’appellante dovesse rinnovare la notifica direttamente nei confronti della società Strougbond Invesments, cioè all’estero, piuttosto che nei confronti dei procuratori costituiti, la Corte avrebbe dovuto fissare l’udien.za di rinvio tenendo conto della necessità di rispetto del termine di cui all’art. 163-bis c.p.c. per le notifiche all’estero (150 giorni)”. Pertanto, secondo la ricorrente, apparirebbe “di tutta eviden.za che la Corte, con la fissazione della data entro la quale rinnovare la notifica comportante un termine a comparire inferiore rispetto a quello di 150 giorni previsto dall’art. 163-bis c.p.c., intendeva chiaramente che la rinnovazione della notifica, in virtù della avvenuta tempestiva proposizione dell’appello, dovesse essere effettuata non presso la parte personalmente, ma in Italia presso il domicilio eletto”.

A giudizio della ricorrente, sarebbe infine “evidente” che “tenuto conto del dibattito giurisprudenziale all’epoca ancora non risolto dalle S.U.” la Corte avrebbe potuto intendere che l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società di diritto (OMISSIS) potesse avvenire sulla base della notifica ai procuratori costituiti.

3. I due motivi del ricorso, per ragioni di connessione, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati sia con riferimento al vizio di violazione e falsa applicazione di legge sia in relazione al vizio di motivazione.

L’art. 331 c.p.c. disciplina la potestà del giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio in cause inscindibili ove l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte le parti, fissando il termine entro il quale la notificazione deve essere effettuata (comma 1) e prevede, inoltre, la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione se nessuna delle parti provvede all’integrazione del contraddittorio nel termine fissato (comma 2).

Nel caso di specie, la Corte di merito, con motivazione priva di vizi logici e incensurabile in questa sede, ha dichiarato inammissibile l’appello, facendo applicazione dell’orientamento espresso dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite secondo cui nei giudizi di impugnazione la notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., qualora sia decorso oltre un anno dalla data di pubblicazione della sentenza, deve essere effettuata alla parte personalmente e non già al procuratore costituito davanti al giudice che ha emesso la sentenza impugnata (Cass. S.U. 1 febbraio 2006, n. 2197).

In proposito, questa Corte ha affermato che la previsione dell’art. 330 c.p.c., comma 1, secondo cui l’impugnazione è proposta mediante notificazione “presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio” comporta che “l’indicazione del luogo di consegna dell’atto, oltre che indispensabile al buon esito della notifica, costituisce un requisito essenziale all’identificazione del destinatario di essa” (…) “e l’accertamento di esso, in quanto essenziale alla validità ed all’astratta efficacia della richiesta, costituisce un adempimento preliminare che non può che essere a carico del notificante ed essere soddisfatto altrimenti che con il previo riscontro di esso presso l’albo professionale, che rappresenta la fonte legale di conoscenza del domicilio degli iscritti e nel quale il procuratore ha l’obbligo di fare annotare i mutamenti della sua sede. Nè un tale onere può ritenersi escluso od attenuato da un dovere del procuratore di dichiarare nel giudizio il proprio domicilio ed i suoi mutamenti, e/o della parte di comunicare quelli del domicilio presso di lui eletto, sulla cui insussistenza la giurisprudenza di legittimità è pressochè costante”. Questa Corte ha anche precisato che “l’accertamento del domicilio effettivo del procuratore risultante dall’albo professionale nessun significativo pregiudizio temporale può comportare alla parte, considerata che l’agevole consultazione degli albi e, in particolare, la loro attuale informatizzazione ed accessibilità telematica” (Cass. S.U. 18 febbraio 2009, n. 3818).

Pertanto, la ricorrente non ha assolto all’onere su di lei incombente di verificare l’intervenuto mutamento del domicilio dei difensori costituiti in giudizio, inosservanza dell’onere che ha comportato, per un verso, il decorso dell’anno dalla pubblicazione della sentenza di primo grado avvenuta in data 15 settembre 2005 e, per l’altro, la richiesta rinnovazione della notificazione dell’atto di citazione in appello, disposta dalla Corte di merito in data 28 novembre 2006.

In merito alla doglianza formulata concernente l’iter del giudizio di appello, la Corte di merito ha adeguatamente motivato sulla circostanza che alla ricorrente furono concessi due termini per rinnovare la notifica dell’atto di impugnazione: un primo termine concessole con ordinanza in data 16 maggio 2006; un secondo e nuovo termine con ordinanza del 28 novembre 2006. Quanto al primo termine, esso non fu utilizzato per indisponibilità del fascicolo come attestato dalla cancelleria, quanto al secondo esso fu utilizzato, ma la rinnovazione della notifica fu effettuata, trascorso l’anno dalla pubblicazione della sentenza di prime cure, nel luogo errato ovvero presso il domicilio dei difensori invece che personalmente alla società britannica.

Nella ricostruzione dell’iter del giudizio così effettuata dalla Corte di appello, non si ravvisa alcun omesso esame, nè alcuna erroneità nell’affermazione secondo cui l’attuale ricorrente avrebbe goduto della rimessione in termini per la rinnovazione della notifica. Sul punto, la Corte di merito ha debitamente motivato, per un verso, che: “essendo stato già concesso alla appellante un nuovo termine perentorio per rinnovare la notificazione della citazione in appello alla società di diritto (OMISSIS), è preclusa anche la possibilità di concedere altro termine per integrare il contraddittorio nei confronti della predetta appellata, la cui costituzione in giudizio avrebbe dato luogo, trattandosi di una nullità sanabile, a sanatoria (art. 156 c.p.c., comma 3 e artt. 157 e 164 c.p.c.)”; per l’altro, ha correttamente escluso che ricorressero nel caso di specie le condizioni per una rimessione in termini della parte che non risultava essere incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile.

Del tutto infondate risultano le doglianze formulate in ordine sia alla custodia del fascicolo in Cancelleria sia alla mancata concessione da parte della Corte di merito di un termine lungo per effettuare la notifica all’estero, atteso che tali circostanze appaiono neutre rispetto all’onere del notificante, come sopra meglio indicato, di provvedere con diligenza agli adempimenti necessari al buon esito del procedimento notificatorio.

Parimenti infondata, infine, risulta la pur suggestiva doglianza formulata dalla ricorrente secondo cui “tenuto conto del dibattito giurisprudenziale all’epoca ancora non risolto dalle S. U.” la Corte di appello avrebbe potuto intendere (con la concessione di un termine meno lungo di quello previsto per la notifica all’estero) che l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società di diritto (OMISSIS) potesse avvenire sulla base della notifica ai procuratori costituiti.

In proposito, va chiarito che costituisce principio, ormai pienamente accolto dalla giurisprudenza di legittimità, che il mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia (c.d. “overruling”), il quale porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, opera – laddove il significato che essa esibisce non trovi origine nelle dinamiche evolutive interne al sistema ordinamentale come interpretazione correttiva che si salda alla relativa disposizione di legge processuale “ora per allora”, nel senso di rendere irrituale l’atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base all’orientamento precedente (Cass. Sez. Un. n. 15144/2011).

Questa Corte ha tenuto a precisare che il precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) impedisce di attribuire all’interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto, sicchè essa, nella sua dimensione dichiarativa, non può rappresentare la “lex temporis acti”, ossia il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con l’affermarsi dell’esegesi del giudice. Tuttavia, ove l'”overruling” si connoti del carattere dell’imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante “ex post” non conforme alla corretta regola del processo) e l’effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che – in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111 Cost.), volto a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito – deve escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall’overruling” nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo. Ne consegue ulteriormente che, in siffatta evenienza, lo strumento processuale tramite il quale realizzare la tutela della parte va modulato in correlazione alla peculiarità delle situazioni processuali interessate dall’overruling” (così, v. Cass. Sez. L. n. 7755 del 17/05/2012; cfr. Cass. Sez. Un. n. 15144/2011).

Nel caso in esame, la pronuncia n. 2197 del 2006 delle Sez. Un., sopra meglio richiamata, ha ritenuto che nei giudizi di impugnazione la notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, ai sensi dell’art. 331 c.p.c. qualora sia decorso oltre un anno dalla data di pubblicazione della sentenza, dovesse effettuarsi alla parte personalmente e non già al procuratore costituito davanti al giudice che ha emesso la sentenza impugnata.

Dunque, non si era in presenza di un consolidato orientamento in materia, bensì di una situazione di contrasto (ampiamente descritta nella motivazione della ordinanza e poi della stessa sentenza) che giustificava, previa valutazione del Primo Presidente, una pronuncia della Corte di legittimità a Sezioni Unite.

Non ricorrono, quindi, i presupposti invocati dalla ricorrente per ritenere un proprio legittimo affidamento desunto da un termine a comparire troppo breve e, rettamente, la Corte di appello ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello.

4. Ne discende il rigetto di tutti e due i motivi del ricorso.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro ivi compresi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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