Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22633 del 19/10/2020

Cassazione civile sez. III, 19/10/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 19/10/2020), n.22633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17458/2017 proposto da:

M.A., A.N., B.M.,

L.C., C.F., S.A., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 187, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRA TOMBOLINI, rappresentate e difese

dall’avvocato PAOLA ROSIGNOLI;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA, (OMISSIS), in persona dei rispettivi

rappresentanti in carica pro tempere, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonchè da

CU.EL., elettivamente domiciliata in Roma Via Sardegna,

50, presso lo studio dell’avvocato RICCI ALESSANDRO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CATALIOTO ANTONIO

DOMENICO;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E

RICERCA, MINISTERO SALUTE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona

dei rispettivi rappresentanti in carica pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonchè da

AL.CA., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA NOMENTANA 703, presso lo studio dell’avvocato CARLO

AMORUSO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E

RICERCA, MINISTERO SALUTE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

nonchè da

BA.AN., D.M.F., D.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE PINELLI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCESCO CARONIA;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E

RICERCA, MINISTERO SALUTE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

nonchè da

P.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIPRO 46,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI NOSCHESE, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato VINCENCO NOSCHESE;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E

RICERCA, MINISTERO SALUTE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonchè da

AC.MI., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DOMENICA CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato MARCO

TORTORELLA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E

RICERCA, MINISTERO SALUTE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

nonchè da

BI.GI.PI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FERDINANDO DI SAVOIA 3, presso lo studio dell’avvocato AMEDEO

GAGLIARDI, rappresentato e difeso da STEFANO SABATINO;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTUZIONE UNIVERSITA’ E

RICERCA, MINISTERO SALUTE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona

dei rispettivi rappresentanti in carica pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonchè da

SC.GI., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA BAIAMONTI 4, presso lo studio dell’avvocato LAURA

CAPPELLO, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati

BRUNO PUCCI, e GIOVANNA ANGELINI;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E

RICERCA, MINISTERO SALUTE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

nonchè da

N.A., NI.MA., NU.RO., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA R. GRAZIOLI LANTE 16, presso l’avvocato

PAOLO BUONAIUTI, rappresentati e difesi dagli avvocati LUCA

SCARSELLI e RAFFAELE IAMMARINO;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E

RICERCA, MINISTERO SALUTE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

nonchè da

sul ricorso 277/2018 proposto da:

PI.FR., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. FERRARI

35, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DI NUNZIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), MINISTERO ECONOMIA FINANZE, MINISTERO

SALUTE in persona dei rispettivi rappresentanti in carica pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende;

– contriricorrenti –

avverso la sentenza n. 3230/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Decidendo sulle cause riunite, proposte da numerosi medici – che avevano frequentato, dall’anno accademico 1991/1992, le scuole di specializzazione, conseguendo all’esito dei corsi i relativi titoli – ed aventi ad oggetto pretese risarcitorie del danno patrimoniale subito in conseguenza della omessa e tardiva attuazione da parte dello Stato italiano degli obblighi imposti dalla direttiva 93/16/CEE “intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici ed il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli”, e consistito nel mancato adeguamento economico, previsto dal D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, dell’importo della “remunerazione” attribuita agli specializzandi dall’ordinamento comunitario nella misura stabilita originariamente con D.Lgs. n. 257 del 1991, la Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 16.5.2017 n. 3230, pronunciata ai sensi dell’art. 352 c.p.c., comma 6, ha statuito, in base alla ragione più liquida, il rigetto delle domande sulla scorta del seguente percorso argomentativo:

– la direttiva 93/16/CEE, e così il D.Lgs. n. 368 del 1999, che ne dava attuazione, non erano intervenuti ad innovare alla disciplina del diritto alla attribuzione di una “adeguata remunerazione” riconosciuto dall’ordinamento comunitario già con le direttive 75/362/CEE e n. 75/363/CEE (poi modificata dalla direttiva 82/76/CEE): l’importo di tale diritto di credito era stato già determinato dalle norme del D.Lgs. n. 257 del 1991, di attuazione – sia pure con ritardo – della direttiva comunitaria, con applicazione a decorrere dall’anno accademico 1991/1992.

– alcuna violazione della normativa Europea era, pertanto, ascrivibile allo Stato dopo l’adozione del D.Lgs. n. 257 del 1991, di attuazione della direttiva comunitaria;

– il D.Lgs. n. 368 del 1999, non aveva introdotto alcun obbligo per lo Stato di modifica della misura della remunerazione, come prevista e disciplinata dal precedente D.Lgs. n. 257 del 1991 e che risultava quindi ancora applicabile, per espresso richiamo del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 46, comma 2, fino a che non fosse intervenuto il provvedimento legislativo autorizzativo dello stanziamento di nuove risorse, previsto dal comma 1 del medesimo articolo: infondata era, pertanto, la tesi dei medici specialisti secondo cui lo Stato non avrebbe adempiuto all’obbligo di recepimento della direttiva 93/16/CEE, posto che quest’ultima in nulla innovava al precedente regime della remunerazione e dunque non occorreva procedere ad alcun ulteriore adattamento nell’ordinamento interno;

– la disciplina dell’adeguamento dell’importo della remunerazione, previsto dal D.Lgs. n. 368 del 1999, non derivava da prescrizioni dettate dalla direttiva 93/16/CEE, ma era dovuta a scelte discrezionali proprie del Legislatore, non essendo sindacabile, pertanto, la decisione politica di differire il momento nel quale procedere a detto adeguamento, disposto soltanto con D.P.C.M. 7 marzo 2007 (emanato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, comma 3, come modificato dalla L. 26 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300) a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, rispondendo tale soluzione anche ad esigenze e vincoli di bilancio

– non veniva in questione neppure una lesione del principio di adeguata retribuzione del lavoro ex art. 36 Cost., in quanto il “contratto di specializzazione” non era inquadrabile nel rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato;

– alcuna prova era stata fornita dai medici, i quali avevano proseguito la frequenza dei corsi di specializzazione anche dopo l’anno 2007, di aver percepito una remunerazione inferiore a quella riadeguata con il D.P.C.M. 7 marzo 2007.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione da:

1- M.A. + 5 con ricorso notificato in data 14.7.2017, affidato ad un unico motivo, al quale hanno resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica;

2- Cu.El. con ricorso, notificato in data 22.11.2017, nel quale vengono dedotti quattro motivi ed al quale hanno resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, dell’Economia e delle Finanze, e della Salute

3- A.C. + 35 con ricorso notificato in data 6.12.2017, affidato a quattro motivi. Non hanno svolto difese gli intimati Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, dell’Economia e delle Finanze, e della Salute;

4- Ba.An. + 2 con ricorso notificato in data 15.12.2017, concernente sette motivi. Non hanno svolto difese gli intimati Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, dell’Economia e delle Finanze, e della Salute;

5- Ac.Mi. + altri con ricorso notificato in data 15.12.2017, affidato a cinque motivi ed illustrato da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. Non hanno svolto difese gli intimati Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, dell’Economia e delle Finanze, e della Salute;

6- N.A. + 2 deducendo con ricorso, notificato in data 15.12.2017, quattro motivi illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. Non hanno svolto difese gli intimati Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, dell’Economia e delle Finanze, e della Salute;

7- Bi.Gi.Pi. che ha affidato il ricorso, notificato in data 15.12.2017, ad unico motivo; resistono con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, dell’Economia e delle Finanze, e della Salute;

8- Sc.Gi. + 5 con ricorso notificato in data 15.12.2017, affidato a tre motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. Resistono con controricorso gli intimati Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, dell’Economia e delle Finanze, e della Salute;

9- P.I. che ha affidato la impugnazione (ricorso notificato in data 18.12.2017) ad un unico motivo cui, resistono con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, dell’Economia e delle Finanze, e della Salute.

Tutti i ricorsi sono confluiti nell’unica causa iscritta al n. 17458/2017 del Registro Generale della Cancelleria di questa Corte.

La medesima sentenza n. 3230/2017 della Corte d’appello di Roma, è stata separatamente impugnata da Pi.Fr. con ricorso per cassazione, notificato in data 15.12.2017, affidato ad un unico motivo. La causa è stata iscritta al n. 277/2018 del Registro Generale della Cancelleria di questa Corte. Non hanno svolto difese gli intimati Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, dell’Economia e delle Finanze, e della Salute.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. Tutti i ricorsi per cassazione sono stati proposti avverso la medesima sentenza n. 3230/2017 della Corte d’appello di Roma.

Deve pertanto disporsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi per cassazione distintamente proposti nella causa RG n. 17458/2017 cui va riunita anche la causa successivamente iscritta a ruolo generale al n. 277/2018.

p. 2. La trattazione delle diverse questioni in diritto verrà condotta unitariamente stante la stretta analogia delle censure prospettate nei singoli ricorsi. Sarà riserbato specifico esame a quei motivi che non consentano il raggruppamento con censure prospettanti i medesimi vizi di legittimità, o qualora occorra integrare la motivazione.

p. 3. La Corte d’appello ha affidato la decisione alle seguenti ragioni.

3.1 Fermo l’obbligo di corrispondere una adeguata remunerazione ai medici specializzandi, come prescritto dalla direttiva n. 82/76, attuata con il D.Lgs. n. 257 del 1991 (che aveva fissato l’importo in Euro 11.598,33 annui), le successive scelte di tipo organizzativo, ivi inclusa la diversa determinazione, con D.Lgs. n. 368 del 1999, dell’importo (pari annualmente a circa Euro 25/26.000,00 – di cui Euro 22.700,00 quale quota fissa -) da erogare a titolo di adeguata remunerazione per i corsi iniziati successivamente all’anno 2006/2007 (come disposto dal D.Lgs. n. 517 del 1999 e poi dalla L. n. 266 del 2005) rientrano nell’ambito delle scelte afferenti la discrezionalità del Legislatore, in ordine alle quali non può prospettarsi alcuna violazione del diritto comunitario: nè può invocarsi alcuna ingiustificata disparità di trattamento tra specializzandi, in quanto sulla diversa determinazione dell’ammontare della “borsa di studio” la Corte costituzionale, con la sentenza n. 432/1997, aveva rilevato come tali modifiche non perseguissero affatto l’intento di discriminare irragionevolmente i medici ammessi alle scuole di specializzazione, ma rispondessero ad una logica di bilanciamento con le fondamentali scelte di politica economica. Nella specie, infatti, non si trattava di adeguamenti “automatici” previsti ex lege, ma la variazione dell’importo della adeguata remunerazione era agganciata alla contrattazione collettiva per il personale medico di ruolo, venendo quindi ad essere pienamente giustificata la differenza di importi in quanto correlata a parametri che potevano variare nel tempo.

3.2 La direttiva n. 93/16 non era, inoltre, intervenuta a modificare il regime giuridico già disciplinato dalla direttiva n. 82/76, ma soltanto a codificare in un testo unico – “per motivi di razionalità e per maggiore chiarezza” – le molteplici precedenti direttive comunitarie che regolavano in materia, sicchè non aveva dettato agli Stati membri nuovi obblighi di attuazione, con la conseguenza che non poteva configurarsi alcun inadempimento dello Stato rispetto alla normativa comunitaria.

3.3 Quanto alle posizioni dei medici specializzandi che avevano frequentato i corsi “a cavallo” dell’anno accademico 2006/2007, alcuna allegazione e prova risultava dagli atti di causa del minor compenso percepito dopo l’anno 2006, e che dunque avessero subito un danno per la condotta illecita dello Stato ostativa alla attribuzione del maggiore importo della borsa di studio come rideterminato dal D.P.C.M. 7 marzo 2007.

p. 4. La Corte territoriale si è conformata a principi già ripetutamente

affermati da questa Corte di legittimità, secondo cui “la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacchè la Direttiva 93/16/CEE non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui al D.Lgs. cit.” (tra le ultime decisioni, in tal senso, Corte cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24805 del 9.10.2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24804 del 9.10.2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24803 del 9.10.2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24802 del 9.10.2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24708 del 8.10.2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 20419 del 2.8.2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6355 del 14/03/2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13445 del 29/05/2018; id. Sez. Lav., Sentenza n. 4449 del 23/02/2018).

4.1 Al proposito si rileva quanto segue.

Con la L. 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, il Legislatore italiano, dando attuazione, sia pure tardivamente, al disposto della direttiva n. 82/76/CEE del Consiglio, stabilì in favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione una borsa di studio determinata per l’anno 1991 nella somma di lire 21.500.000. Tale somma era destinata ad un incremento annuale, a decorrere dal 1 gennaio 1992, sulla base del tasso programmato di inflazione, incremento fissato ogni triennio con decreto interministeriale. Il meccanismo di adeguamento venne peraltro bloccato successivamente, con effetto retroattivo, dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, passata indenne al vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 432 del 1997), e da altre leggi successive (v. sul punto, ampiamente, Corte cass., sentenza n. 4449 del 2018).

In seguito, dando attuazione alla direttiva n. 93/16/CE (che aveva coordinato la disciplina delle precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363 CEE, con le relative successive modificazioni, il legislatore nazionale intervenne sulla materia con il D.Lgs. attuativo 17 agosto 1999, n. 368.

Tale decreto – in seguito ampiamente modificato dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300 – ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione-lavoro” e poi “contratto di formazione-specialistica”, art. 37 del D.Lgs. cit.), da stipulare e rinnovare annualmente tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed in una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali (art. 39 D.Lgs. cit.).

Tale contratto, peraltro, come la Sezione Lavoro di questa Corte ha ribadito in plurime occasioni, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost. ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (v. in tal senso, Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 27481 del 19/11/2008; id. Sez. L, Sentenza n. 20403 del 22/09/2009; id. Sez. L -, Ordinanza n. 18670 del 27/07/2017).

Il nuovo meccanismo retributivo di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999, è divenuto operativo solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007 (art. 46, comma 2, D.Lgs. cit., nel testo risultante dalle modifiche introdotte prima dal D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, art. 8 e poi dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300); mentre, per espressa disposizione legislativa (D.Lgs. n. 368 cit., art. 46, comma 2, secondo parte) la disciplina giuridica ed economica del D.Lgs. n. 257 del 1991, è rimasta applicabile ai medici che frequentavano i corsi di specializzazione fino all’anno accademico 2005/2006. Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base alla stipula del nuovo “contratto di formazione specialistica” è stato successivamente fissato con i D.P.C.M. 7 marzo 2007, D.P.C.M. 6 luglio 2007 e D.P.C.M. 2 novembre 2007, ed erogato a decorrere dall’anno accademico 2006/2007.

p. 5. Tanto premesso, la direttiva n. 93/16/CE, come risulta dalla sua stessa formulazione (primo considerando), non ha una portata innovativa, prefiggendosi soltanto l’obiettivo, “per motivi di razionalità e per maggiore chiarezza”, di procedere alla codificazione delle tre suindicate direttive “riunendole in un testo unico”; il che risulta ancor più evidente per il fatto che la direttiva in questione lascia “impregiudicati gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini per il recepimento delle direttive” di cui all’allegato III, parte B (così l’ultimo dei Considerando). Il termine “adeguata remunerazione” compare per la prima volta nell’Allegato alla direttiva n. 82/76/CEE e si ritrova, senza alcuna modificazione, nell’Allegato I alla direttiva n. 93/16/CE, per cui è dalla scadenza del termine di adempimento della direttiva del 1982 che l’esigenza di determinare un tale importo adeguato divenne regola di obbligatorio recepimento nel diritto interno.

Lo Stato italiano ha adempiuto al proprio obbligo di fissazione di una adeguata rimunerazione con il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 8. La violazione della normativa comunitaria per ingiustificato ritardo nella attuazione della direttiva n. 82/76/CEE che prevedeva come termine di trasposizione la data del 31.12.1982, è infatti cessata con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, come del resto la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha già da tempo affermato (v. le sentenze 25 febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari, e 3 ottobre 2000, causa C-371/97, Gozza).

L’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi dunque sufficiente ed idoneo adempimento agli obblighi comunitari, non essendo stati introdotti, in relazione alla adeguatezza di detto importo, ulteriori obblighi dalla direttiva 93/16/CEE, fondati su diversi criteri di parametrazione della misura economica ritenuta adeguata, che imponessero agli Stati membri di revisionare il “quantum” del compenso come già determinato dalle rispettive norme interne (cfr. Corte cass. 14/03/2018, n. 6355 del 2018, id. 29/05/2018, n. 13445).

Ne segue che, una volta data attuazione – anche se tardiva – alla direttiva comunitaria, le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 368 del 1999, relative alla organizzazione ed al nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla L. n. 266 del 2005), e il corrispondente meccanismo di retribuzione, non possono, pertanto, ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie – in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi -, ma costituiscono esercizio di una scelta propriamente discrezionale atteso che, come è stato affermato da questa Corte cass. Sezione Lavoro nella sentenza n. 4449 del 2018, il Legislatore, nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 (del D.Lgs. n. 368 del 1999) e la sostanziale conferma del contenuto del D.Lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa volta a regolare diversamente situazioni successive nel tempo (cfr., Corte cass. n. 15362/2014; id. 19/02/2019, n. 4809), non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico nè ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato.

Risultano, in conseguenza, manifestamente infondate le dedotte violazioni dei principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., atteso che non è dato rilevare una incongruità – per irrisorietà – dell’originario importo della borsa di studio prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991, non connessa all’insussistente presupposto del rapporto di lavoro, ed alcuna irragionevolezza o disparità di trattamento tra i corsi svolti ante e post anno accademico 2006/2007, atteso che l’incremento previsto nell’esercizio della discrezionalità legislativa per i corsi di specializzazione collocati in tempi successivi, non escludendo l’adeguatezza della remunerazione precedente, è stato espressione di una scelta che rientra nella discrezionalità legislativa di regolare diversamente situazioni analoghe in quanto suscettibili di differente considerazione nel tempo (cfr., Corte cass. Sez. 3, Ordinanza n. 20108 del 25/07/2019). Infatti, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, il legislatore può differire nel tempo gli effetti di una riforma, senza che, per ciò solo, ne possa derivare una disparità di trattamento tra soggetti che, in ragione dell’applicazione differente nel tempo della normativa in questione, ricevano trattamenti diversi, poichè il fluire del tempo costituisce un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche (cfr. Corte. Cost. sentenza n. 94 del 2009; sentenza n. 432 del 1997; Corte Cost. ordinanze nn. 25 del 2012, n. 224 del 2011, n. 61 del 2010, n. 170 del 2009, n. 212 del 2008, n. 77 del 2008. Cfr. Corte cass. 23/02/2018, n. 4449).

p. 6. Tanto premesso, alla stregua delle svolte considerazioni:

A- deve ritenersi infondata la censura, con la quale si deduce il vizio di nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), formulata con il primo motivo di ricorso ( Al.Ca. + 35): nullità della sentenza per motivazione meramente apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

6.1 I ricorrenti assumono che la Corte territoriale avrebbe omesso del tutto di fornire idonea risposta alla questione relativa alla disparità di trattamento e lesione del principio di eguaglianza determinatosi in conseguenza del differente trattamento economico riservato ai medici specializzandi che avevano seguito i corsi dopo le modifiche apportate dalla direttiva 93/16/CEE e dal D.Lgs. n. 368 del 1999, ma prima della applicazione, a far data dall’anno accademico 2006/2007, della disciplina del compenso introdotta con D.P.C.M. 7 marzo 2007.

6.1.1. Orbene è affermazione pacifica che la motivazione è solo “apparente”, ovvero “perplessa” o “incomprensibile”, e la sentenza è quindi nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture: “in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. civ. sez. un. 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009)…” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017).

6.1.2. Tanto premesso la sentenza impugnata non difetta dell’apparato motivazionale, nè in relazione al suo aspetto materiale, nè in relazione all’impianto logico il cui sviluppo è del tutto coerente con le premesse e fornisce in modo chiaro la rappresentazione delle ragioni in fatto e diritto che hanno condotto la Corte distrettuale a raggiungere la conclusione del rigetto dell’appello, risultando in conseguenza dotata del requisito di validità – nel “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 – prescritto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4).

B- debbono ritenersi infondate tutte le censure relative alla asserita violazione della norma comunitaria che riconosce una “adeguata” remunerazione ai medici specializzandi, sull’assunto che l’importo stabilito con il D.Lgs. n. 257 del 1991, non era stato tempestivamente riadeguato ai nuovi livelli determinati dai D.P.C.M. 7 marzo 2007, D.P.C.M. 6 luglio 2007 e D.P.C.M. 2 novembre 2007, atteso l’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di corretta attuazione nell’ordinamento interno della direttiva 93/16/CEE con conseguente danno patrimoniale risarcibile.

6.2 Tali censure sono state formulate con l’unico motivo ( M.A. + 4): violazione e falsa applicazione delle direttive 82/76/CEE, 93/16/CEE e del D.Lgs. n. 368 del 1999, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; con il primo motivo ( Cu.El.): violazione e falsa applicazione delle norme in materia di recepimento delle direttive comunitarie, delle direttive 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE; artt. 5 e 189 Trattato; D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37-41, 45-46; D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6; L. n. 370 del 1999, art. 11; artt. 2,3,10,97 Cost., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; con il terzo motivo ( Al.Ca. + 35): violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37-39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; con il terzo motivo ( Ba.An. + 2): vizio di omessa pronuncia, e violazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37, 38 e 39 e 46, della direttiva 93/16/CEE, D.Lgs. n. 379 del 1999, art. 11, art. 189 Trattato, in ordine al mancato riconoscimento del risarcimento del danno per mancata decretazione ed inesatta attuazione della direttiva, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; con il primo ed il terzo motivo ( Ac.Mi. ed altri): violazione e falsa applicazione delle norme in materia di recepimento delle direttive comunitarie, delle direttive 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE e 05/36/CEE; artt. 5 e 189 Trattato; D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37-41, 45-46; D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 8; L. n. 266 del 2005, art. 1; D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6; L. n. 370 del 1999, art. 11; art. 112 c.p.c., artt. 1,10,11,12 preleggi; art. 10 Cost., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5; con il primo motivo ( N.A. + 2): violazione art. 5 Trattato; ritardato adempimento direttiva n. 93/16/CEE nella parte che prevede una remunerazione adeguata; tardiva emissione dei provvedimenti previsti dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 46; con l’unico motivo ( Bi.Gi.Pi.): violazione e falsa applicazione direttive 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE; art. 5 Trattato; principi espressi dalla sentenza CGCE 25.2.1999 C-131/97; D.Lgs. n. 368 del 1999; con il primo motivo ( Sc.Gi. + 5): violazione direttiva 93/16/CEE; artt. 5 e 189 Trattato; D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37,38,39,46; D.P.C.M. 7 marzo 2007; artt. 3,36 e 97 Cost.; violazione principio di parità di trattamento, adeguatezza della retribuzione ragionevolezza dell’azione amministrativa; con l’unico motivo ( P.I.): omessa considerazione di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; con l’unico motivo ( Pi.Fr. – causa RG 277/2018): violazione e falsa applicazione dell’art. 189 Trattato, dell’art. 288 TFUE, delle direttive 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE; D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 39,41 e 46.

6.2.1. Deve aggiungersi ai rilievi generali sopra svolti che le critiche svolte con i suddetti motivi di ricorso, sono tutte incentrate sul presupposto della asserita violazione della direttiva n. 93/16/CEE per tardiva ed inesatta trasposizione nell’ordinamento statale e per mancata applicazione retroattiva dei criteri di rideterminazione della adeguata remunerazione previsti dal D.Lgs. n. 368 del 1999: nessuno dei ricorrenti ha tuttavia investito idoneamente la statuizione della Corte d’appello secondo cui la direttiva n. 93/16/CEE non richiedeva affatto agli Stati membri alcun ulteriore atto di adattamento nell’ordinamento interno in relazione alla adeguata remunerazione nè prescriveva alcun criterio volto a definire contenutisticamente la nozione di “adeguatezza” così da richiedere una necessaria modifica della misura della borsa di studio come già stabilita con il D.Lgs. n. 257 del 1991, risultando quindi del tutto infondata la configurabilità di una responsabilità per danni dello Stato per “omessa o tardiva trasposizione delle direttive”.

6.2.2. Inammissibili sono le censure dedotte in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (primo motivo ricorso Ac.Mi. + 35; unico motivo, ricorso P.) in quanto, rispettivamente, la deduzione del vizio per errore di fatto non corrisponde al paradigma legale, e non viene indicato il “fatto storico decisivo” che la Corte territoriale avrebbe pretermesso, difettando quindi lo stesso presupposto normativo per l’accesso al sindacato di legittimità.

6.2.3. Il terzo motivo di ricorso Ac.Mi. +35 è anche inammissibile per difetto del requisito di specificità e della chiara esposizione del fatto ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4: la Corte territoriale ha rilevato come la introduzione della nuova disciplina degli adeguamenti della remunerazione ed il momento temporale di applicazione della stessa, così come definito dal D.Lgs. n. 368 del 1999, fossero riservati – nei limiti della ragionevolezza ex art. 3 Cost., alla discrezionalità politica del Legislatore, a fronte della quale i medici non potevano vantare alcun diritto. La critica mossa dai ricorrenti secondo cui nel periodo tra l’entrata in vigore del D.Lgs. predetto e la modifica dell’art. 46, comma 2, operata dal D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 8, l’Università avrebbe dovuto stipulare con i medici i nuovi “contratti di formazione specialistica”, non è pertinente. Premesso che neppure è indicato con quali, tra i medici ricorrenti, si sarebbe dovuto stipulare un nuovo contratto, la censura è inconferente laddove volta ad ottenere l’applicazione del “nuovo” trattamento economico, posto che la richiamata modifica normativa, disposta dal D.Lgs. n. 517 del 1999, si è limitata a precisare che il differimento temporale (fino alla emanazione del provvedimento indicato dell’art. 46, comma 1), doveva intendersi esteso anche al D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37, 38 e 42, concernenti la disciplina delle modalità di svolgimento del corso e la disciplina della stipula del contratto di formazione -, mentre l’importo della remunerazione, anche prima della modifica legislativa indicata, rimaneva comunque fissato nei limiti previsti dal D.Lgs. n. 257 del 1991 fino, appunto, alla adozione dei provvedimenti attributivi delle risorse finanziarie, ai quali era collegata anche l’applicazione del nuovo regime della remunerazione previsto dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 41.

C- debbono ritenersi infondate anche le censure che prospettano la violazione dell’art. 36 Cost., in relazione al principio di adeguata retribuzione, la violazione del principio eguale trattamento di situazioni identiche di cui all’art. 3 Cost. e la violazione dell’art. 97 Cost., con riferimento al distinto trattamento economico riservato ai medici che hanno seguito i corsi prima e dopo l’anno accademico 2006/2007, formulate con il quarto motivo ( Al.Ca. + 35): violazione dell’art. 36 Cost.; con il secondo e terzo motivo ( N.A. + 2): violazione art. 3 Cost., per disparità di trattamento; violazione art. 36 Cost.; con il primo motivo ( Sc.Gi. + 5): violazione direttiva 93/16/CEE; artt. 5 e 189 Trattato; D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37,38,39,46; D.P.C.M. 7 marzo 2007; artt. 3,36 e 97 Cost.; violazione principio di parità di trattamento, adeguatezza della retribuzione ragionevolezza dell’azione amministrativa.

6.3 Deve aggiungersi alle considerazioni sopra svolte, che una volta esclusa la violazione del diritto comunitario, alcuna discriminazione può ravvisarsi nel differimento della applicazione del nuovo regime contrattuale e dell’adeguamento del compenso previsto dal D.Lgs. n. 368 del 1999, essendo riservato alla discrezionalità politica del Legislatore la scelta del momento in cui applicare tale adeguamento, sicchè difettando una condotta “non jure” non può insorgere alcuna responsabilità da illecito fonte di obbligazioni risarcitorie: la previsione legislativa di una futura modifica incrementativa dell’importo della originaria borsa di studio, non produce l’effetto di rendere “inadeguato”, con effetto retroattivo, il minore importo precedentemente corrisposto a tale titolo in conformità alle disposizioni normative vigenti “ratione temporis”. Deve quindi concludersi che la prospettata diversità di trattamento, tra coloro che hanno frequentato i corsi nel regime del D.Lgs. n. 257 del 1991 e coloro che hanno invece fruito, dopo l’anno accademico 2006/2007 del regime previsto dal D.Lgs. n. 368 del 1999, non è irragionevole, in quanto il Legislatore è libero di differire gli effetti di una riforma ed il fluire del tempo costituisce di per sè idoneo elemento di diversificazione della disciplina, dovendosi rinvenire la sua giustificazione nello stretto collegamento istituito con le variazioni retributive disposte con la contrattazione collettiva del personale sanitario dipendente del SSN e nella considerazione delle contingenti esigenze di controllo della spesa pubblica (cfr. Corte cass. Sez. L -, Ordinanza n. 18670 del 27/07/2017; id. Sez. L -, Sentenza n. 4449 del 23/02/2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13572 del 20/05/2019). I ricorrenti, peraltro, nel denunciare la lesione dell’art. 36 Cost., non adducono alcun ulteriore argomento idoneo a modificare le conclusioni cui questa Corte è pervenuta in ordine alla non inquadrabilità del rapporto costituito con il “contratto di formazione specialistica”, non solo nel rapporto di impiego (espressamente escluso dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 4, comma 3) ma in qualsiasi schema del rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato – con conseguente inapplicabilità dell’art. 36 Cost. – difettando la relazione sinallagmatica di scambio tra la suddetta attività e la remunerazione prevista dalla legge “in quanto tali emolumenti sono destinati a sopperire alle esigenze materiali per l’impegno a tempo pieno degli interessati nell’attività rivolta alla loro formazione e non costituiscono, quindi, il corrispettivo delle prestazioni svolte, le quali non sono rivolte ad un vantaggio per l’università, ma alla formazione teorica e pratica degli stessi specializzandi e al conseguimento, a fine corso, di un titolo abilitante” (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 20403 del 22/09/2009; id. Sez. L, Sentenza n. 1891 del 09/02/2012; id. Sez. L, Ordinanza n. 18670 del 27/07/2017).

6.3.1. Non appare inoltre condivisibile l’argomento svolto nel quarto motivo di ricorso ( Al.Ca. + 35) secondo cui il principio di adeguatezza della retribuzione al lavoro svolto, stabilito dall’art. 36 Cost., dovrebbe trovare applicazione non soltanto al rapporto di lavoro subordinato ma in via generale anche al “contratto di formazione specialistica”, da assimilare al contratto di formazione lavoro e di “apprendistato”. Il motivo è inammissibile prima ancora che infondato, non essendo in alcun modo evidenziate, nè argomentate le ragioni giuridiche dell’assunto. La frammentata citazione della risalente dottrina riportata nel ricorso – che non consente neppure di individuare con chiarezza l’argomento speso a supporto del motivo – non assolve al requisito minimo di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4: la censura non supera, peraltro, la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui deve ritenersi legittima la decurtazione retributiva per i dipendenti il cui apporto alla produttività aziendale sia stato ridotto a causa della specificità del rapporto di formazione e lavoro (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 11206 del 14/05/2009; id. Sez. L, Sentenza n. 4374 del 23/02/2010) e che considera il contratto di formazione e lavoro come un contratto con causa mista, che prevede, a fronte della prestazione di lavoro, l’obbligo del datore di lavoro di fornire una retribuzione ed un addestramento in funzione della successiva immissione nel mondo del lavoro, essendo, conseguentemente, legittima la previsione di una disciplina contrattuale differenziata per i lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, con l’attribuzione di una retribuzione inferiore rispetto a quella degli altri lavoratori, a meno che non vi sia l’espletamento, con pienezza di funzioni ed attribuzioni, delle mansioni proprie della qualifica di destinazione, dovendo trovare applicazione, in tal caso, la tutela dell’art. 2103 c.c. e del principio della giusta retribuzione ex art. 36 Cost., che assicurano il diritto alla qualifica corrispondente alle mansioni di fatto svolte e al relativo trattamento economico (Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 12321 del 15/05/2008). Ed il motivo in esame risulta totalmente carente, tanto sul piano allegatorio quanto su quello dimostrativo, della “pienezza di funzioni ed attribuzioni” che i medici specializzandi svolgono in modo corrispondente a quelle svolte dal personale sanitario assunto nel SSN con contratto di lavoro dipendente.

p. 7. Diversa questione sottoposta dai ricorrenti all’esame della Corte concerne la dedotta violazione di norme di diritto statali e comunitarie e la omessa considerazione di fatti decisivi, avendo la Corte d’appello rigettato le domande volte ad ottenere l’importo della adeguata remunerazione, rideterminato dal D.P.C.M. 7 marzo 2007, per i corsi di specializzazione che si erano svolti “a cavallo” dell’anno accademico 2006/2007.

7.1 La sentenza impugnata ha statuito il rigetto di tali domande sul presupposto della genericità delle stesse – in quanto formulate in modo da non consentire la differenziazione tra le posizioni dei singoli specializzandi – e comunque non essendo stata fornita alcuna prova che per il periodo di corso successivo a quello accademico 2006/2007 fossero state erogati agli appellanti trattamenti economici inferiori a quello stabilito con il D.P.C.M. 7 marzo 2007.

7.2 Tanto premesso la statuizione è stata impugnata con il quinto motivo ( Ac.Mi. ed altri): violazione artt. 5 e 189 Trattato; direttive comunitarie, delle direttive 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE; sentenze CGUE 25.2.1999 e 3.10.2000; artt. 2,3,10 e 97 Cost.; D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6;. 11 L. n. 370 del 1999, art. 11; violazione e falsa applicazione artt. 100,103,104,105,112 c.p.c., nonchè omessa pronuncia ed omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; e con il secondo motivo ( Sc.Gi. + 5): violazione artt. 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7.2.1. Quanto al quinto motivo ( Ac. ed altri), sostengono i ricorrenti che la Corte territoriale, rigettando le domande dei medici che avevano frequentato i corsi di specializzazione “a cavallo” dell’anno accademico 2006/2007, volte ad ottenere l’adeguamento del compenso ai nuovi livelli di importo fissati dal D.M. 7 marzo 2007, era incorsa nei vizi di legittimità indicati in rubrica, in quanto erano stati allegati dalle parti tutti gli elementi (tipo di corso frequentato; anno di inizio e di termine del corso) necessari all’accoglimento della domanda.

Come precedentemente rilevato il Giudice di appello ha statuito che tali domande risultavano del tutto generiche – e dunque inammissibili – non essendo stato allegato e dimostrato che per il periodo di corso successivo all’anno 2006/2007 i medici avessero percepito un compenso inferiore all’importo stabilito nel D.M. 7 marzo 2007.

Orbene, tale la statuizione impugnata, il motivo si palesa inammissibile in relazione a tutte le censure svolte: 1-quanto al vizio di “omessa pronuncia” ex art. 112 c.p.c., avendo la Corte territoriale espressamente deciso e motivato sul punto; 2-quanto al “vizio di motivazione”, in quanto privo di supporto argomentativo e comunque non corrispondente al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012; 3- quanto alle altre censure per “error juris”, in quanto inconferenti rispetto alla “ratio decidendi”, essendo inoltre appena il caso di osservare come gli elementi circostanziali allegati dagli appellanti non fornissero alcuna indicazione circa le somme effettivamente percepite dai singoli specializzandi nel periodo successivo all’anno 2006/2007.

7.2.2. Quanto al secondo motivo ( Sc.Gi. + 5) lo stesso deve essere dichiarato inammissibile.

Si contesta, infatti, come vizio di “error in judicando”, quello che invece è un “errore sul fatto”, in cui sarebbe incorso il Giudice di appello non considerando che la Dott.ssa Ma.Ro. aveva prodotto documentazione dalla quale emergeva che la stessa aveva frequentato il corso di specializzazione in “radioterapia oncologica” con iscrizione nell’anno 2003 e conseguimento del titolo in data 24.10.2007, sicchè alla stessa doveva essere corrisposta la remunerazione prevista dalla L. n. 266 del 2005.

Indipendentemente dall’errore nella prospettazione del vizio di legittimità, osserva il Collegio che: a) la Corte d’appello – come emerge dalla trascrizione della domanda introduttiva: pag. 7/9 ricorso – era stata chiamata a decidere, sulla richiesta di “risarcimento danni” fondata sulla asserita violazione da parte dello Stato della normativa comunitaria e nazionale, per mancata attuazione della direttiva 93/16/CEE, e non invece in relazione all’inesatto adempimento della obbligazione, gravante sulle Università D.Lgs. n. 368 del 1999, ex art. 39, comma 4, di pagamento della remunerazione – nell’importo determinato dal D.P.C.M. 7 marzo 2007 – dipendente dal “contratto di formazione specialistica”; b) quanto agli importi delle rate effettivamente corrisposte alla Dott.ssa Ma. nell’anno 2007, non emerge dal ricorso per cassazione alcuna indicazione, nè è stato addotto dalla parte ricorrente che nell’atto introduttivo fosse stato specificato tale importo: orbene la parte che intenda investire con il ricorso per cassazione la sentenza impugnata per non avere il Giudice di merito tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, è onerata della indicazione dell’atto nel quale sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 15961 del 18/07/2007; id. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24062 del 12/10/2017). Con l’ulteriore precisazione, quanto alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., che l’onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’individuazione del tema della decisione dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del “thema decidendum” opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa, sicchè, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 21847 del 15/10/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 3023 del 17/02/2016; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 21075 del 19/10/2016; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11252 del 10/05/2018). Consegue che – in difetto di dimostrazione della “non contestazione” da parte delle Amministrazioni statali del minore importo asseritamente corrisposto alla specializzanda nell’anno 2006/2007, la pronuncia della Corte di merito va esente da censura.

p. 8. Diversa questione attiene al vizio di omessa pronuncia in cui è incorsa la Corte d’appello sulle domande proposte in primo grado e reiterate con gli atti di appello, relative alla condanna delle Amministrazioni pubbliche al risarcimento dei danni per mancata attualizzazione della adeguata remunerazione, corrisposta nell’importo stabilito dal D.Lgs. n. 257 del 1991, in base alla “indicizzazione annuale” al tasso di inflazione programmato ed al “riallineamento triennale” in base all’incremento percentuale della retribuzione minima riconosciuta dal CCNL al personale medico dipendente del Servizio sanitario pubblico.

8.1 Le censure sono state svolte con il secondo motivo ( Cu.El.): vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.; con il secondo motivo ( Al.Ca. + 35): violazione art. 112 c.p.c., con riferimento alla mancata pronuncia sul risarcimento del danno subito “diverso” dalla minore remunerazione percepita rispetto al D.P.C.M. 7 marzo 2007; con il primo motivo ( Ba.An. + 2): vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in ordine al mancato riconoscimento della rideterminazione triennale dell’importo della borsa di studio in relazione al CCNL del personale medico pubblico, e conseguente violazione e falsa applicazione del D.L. n. 384 del 1992, art. 7, conv. in L. n. 438 del 1992; L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 36; L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 33; L. n. 662 del 1996, art. 1 commi 66 e 67; L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12; L. n. 488 del 1999, art. 22; L. n. 289 del 2002, art. 36 e con il secondo motivo ( Ba.An. + 2): vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in ordine al mancato riconoscimento della indicizzazione annuale dell’importo della borsa di studio in relazione al CCNL del personale medico pubblico, e conseguente violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1, D.L. n. 384 del 1992, art. 7, comma 5, conv. in L. n. 438 del 1992; L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 36; L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 33; L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12; L. n. 488 del 1999, art. 22; L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 36; con il secondo motivo ( Ac.Mi. ed altri): violazione e falsa applicazione delle norme in materia di recepimento delle direttive comunitarie, delle direttive 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE e 05/36/CEE; artt. 5 e 189 Trattato; D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37-41, 45-46; D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 8; L. n. 266 del 2005, art. 1; D.L. n. 384 del 1992, art. 7, comma 5, prorogato fino al 31.12.2005; D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6; L. n. 370 del 1999, art. 11; artt. 1, 10, 11, 12 preleggi; art. 112 c.p.c., art. 10 Cost., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5; con il quarto motivo ( N.A. + 2): violazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1 (mancata applicazione della indicizzazione al tasso di inflazione e del riallineamento triennale); omessa pronuncia; con il primo motivo ( Sc.Gi. + 5): violazione direttiva 93/16/CEE; artt. 5 e 189 Trattato; D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37,38,39,46; D.P.C.M. 7 marzo 2007; artt. 3,36 e 97 Cost.; violazione principio di parità di trattamento, adeguatezza della retribuzione e ragionevolezza dell’azione amministrativa; con l’unico motivo ( P.I.): omessa considerazione di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; con l’unico motivo ( Pi.Fr. – causa RG 277/2018): violazione e falsa applicazione dell’art. 189 Trattato, dell’art. 288 TFUE, delle direttive 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE; D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 39,41 e 46.

8.2 Indipendentemente dalla inammissibilità delle censure di omessa pronuncia, che non superano il vaglio dell’art. 366 c.p.c., comma 1 e di quelle prospettanti un inesistente “errore di fatto” ed “errori di diritto”, che la Corte territoriale non ha commesso essendo, invece, incorsa nel vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo del tutto trascurato il Giudice di appello di esaminare le domande volte ad ottenere il differenziale tra quanto effettivamente percepito dai medici specializzandi e quanto avrebbero invece dovuto ricevere se fossero stati applicati gli incrementi previsti dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1, osserva il Collegio che l’accertamento del vizio di legittimità per violazione della norma processuale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato non è sufficiente a determinare la cassazione della sentenza con rinvio affinchè il Giudice di appello pronunci sulla questione pretermessa. Non occorrendo, infatti, procedere a verifiche in fatto – essendo stata dedotta con i motivi di gravame una questione di mero diritto -, questa Corte è posta in condizione di esaminare direttamente la questione pretermessa e di pronunciare su di essa nel merito, trovando fondamento tale conclusione nell’esercizio dei poteri conferiti alla Corte in funzione nomofilattica secondo una interpretazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, costituzionalmente orientata ai principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. (cfr. Corte cass. II sez. 1.2.2010 n. 2313; id. I sez. 22.11.2010 n. 23581; id. sez. lav. 3.3.2011 n. 5139; id. Sez. 3, Sentenza n. 15112 del 17/06/2013; id. Sez. 1, Sentenza n. 28663 del 27/12/2013; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014; id. Sez. L, Sentenza n. 23989 del 11/11/2014 che estende l’intervento correttivo ex art. 384 c.p.c., u.c., finanche al vizio di nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente).

8.3 Tanto premesso va preliminarmente dichiarato inammissibile il secondo motivo del ricorso Al.Ca. + 35.

8.3.1. La censura è inammissibile per difetto di chiara esposizione del fatto processuale ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6. Assumono i ricorrenti che oggetto della domanda risarcitoria era non soltanto il differente trattamento economico relativo all’importo del compenso, ma anche la mancata applicazione, sull’importo corrisposto ai sensi del D.Lgs. n. 257 del 1991, dell’incremento pari al tasso annuo di inflazione e della rideterminazione triennale prevista dal CCNL per il personale medico dipendente del SSN. Tuttavia, da un lato, omettono del tutto di descrivere compiutamente il “fatto processuale”, non fornendo alcune elemento di riscontro indispensabile a verificare se tale ulteriore voce di danno fosse stata effettivamente reclamata con la domanda svolta in primo grado e reiterata con i motivi di gravame, essendo appena il caso di ribadire che tale motivo di ricorso per cassazione, in tanto supera il vaglio di ammissibilità, in quanto la parte fornisca la specifica indicazione dei motivi sottoposti al Giudice del gravame sui quali egli non si sarebbe pronunciato, essendo in tal caso indispensabile la conoscenza puntuale dei motivi di appello (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 317 del 11/01/2002; id. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 14561 del 17/08/2012; id. Sez. 2, Sentenza n. 17049 del 20/08/2015); dall’altro neppure indicano la collocazione degli atti nel fascicolo di merito, dall’esame dei quali poter riscontrare l’assunto difensivo e l’eventuale errore in cui sarebbe incorso il Giudice di appello, tanto in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 28547 del 02/12/2008; id. Sez. 3, Ordinanza n. 20535 del 23/09/2009; id. Sez. U, Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 124 del 04/01/2013; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 27475 del 20/11/2017).

8.4 Venendo ad esaminare “funditus” la questione prospettata con i motivi di gravame dagli altri ricorrenti, il Collegio la ritiene infondata, in quanto incentrata sulla errata ipotesi di una soluzione di continuità del “blocco” della applicazione delle misure incrementative della borsa di studio collegate agli aumenti retributivi del personale medico dipendente.

8.4.1. Vale al riguardo richiamare i precedenti di questa Corte, in tema di trattamento economico dei medici specializzandi: le Sezioni Unite di questa Corte (n. 29345/2008), successivamente confermate dalle Sezioni semplici (Corte cass. nn. 20403/2009, 11565/2011, 12624/2015, 18710/2016) hanno statuito che l’importo della borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6 (rideterminato per l’anno 1992 in base alla variazione del tasso di inflazione programmato) non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni accademici dal 1992-1993 al 2004-2005, in applicazione di quanto disposto dal D.L. n. 384 del 1992, art. 7, comma 5 (convertito in L. n. 438 del 1992), e confermato per il triennio 1994-1996 dalla L. n. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 36; per il triennio 1997-1999 dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 66 e 67; per il triennio 2000-2002 dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 22, comma 1; per il triennio 2003-2005 dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36; per il triennio 2006-2008 dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 212, in quanto il blocco degli incrementi della suddetta borsa dovuti al tasso di inflazione si iscrive in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato.

8.4.2. L’intervento legislativo volto a differire la applicazione della “indicizzazione annuale”, quanto meccanismo automatico di rimodulazione dell’importo delle retribuzioni era stato sottoposto al vaglio del Giudice delle Leggi, nell’esaminare la questione di costituzionalità della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 33, aveva ritenuto le norme di legge conformi al parametro dell’art. 3 Cost., in quanto non irragionevolmente discriminatorie nei confronti dei medici ammessi alle scuole di specializzazione, assolvendo ad una logica di bilanciamento con le fondamentali scelte di politica economica e volte ad attuare il contenimento della spesa pubblica attraverso “il diverso principio generalizzatosi tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico – secondo il quale la difesa dall’aumento del costo della vita è da affidarsi precipuamente alle dinamiche contrattuali, in particolar modo alla contrattazione collettiva, piuttosto che a strumenti legislativi di adeguamento automatico” (cfr. Corte Cost., sentenza 23 dicembre 1997, n. 432). Le successive misure di proroga adottate, in quanto meramente conseguenziali ad attuare la medesima esigenza di politica economica fino all’anno 2008, rimangono anch’esse attratte nel limite di ragionevolezza verificato e definito dal Giudice delle Leggi, come peraltro più volte ribadito da questa Corte (cfr. Corte cass. Sez. L, Ordinanza n. 19449 del 03/08/2017; id. Sez. L -, Ordinanza n. 18670 del 27/07/2017 secondo cui “l’importo della borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni accademici dal 1992-1993 al 2004-2005, in applicazione di quanto disposto dal D.L. n. 384 del 1992, art. 7 (ed analoghe normative successive)”).

8.4.3. Quanto al principio, affermato nei precedenti giurisprudenziali richiamati da alcuni dei ricorrenti a sostegno della tesi difensiva, secondo cui, soltanto la “indicizzazione annuale” doveva ritenersi differita senza soluzione di continuità fino al 2007, mentre “in materia di trattamento retributivo del pubblico impiego, il D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 14 novembre 1992, n. 438, ha bloccato gli incrementi retributivi conseguenti alla contrattazione pubblica fino al 31 dicembre 1993”, sicchè dall’anno 1994 veniva a riprendere vigore la disposizione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1, che prevedeva la “rideterminazione triennale” della borsa di studio in proporzione agli aumenti della retribuzione base conseguiti in esito alla contrattazione collettiva del personale medico dipendente pubblico (cfr. Corte cass. Cass. 17 giugno 2008 n. 16385; Cass. 29 ottobre 2012 n. 18562; id. Sez. L, Sentenza n. 12624 del 18/06/2015), osserva il Collegio che tale affermazione è stata successivamente riconsiderata e meglio precisata da questa Corte, che ha rilevato come la cessazione del blocco del “riallineamento triennale” doveva intendersi riferita esclusivamente alla contrattazione collettiva incidente “sui rapporti di lavoro pubblico” (cfr. Corte costituzionale, sentenza 17.6.1999, n. 242 che ha esaminato la questione della legittimità del D.L. n. 384 del 1992, art. 7, comma 5, ponendo rilievo alla disciplina “diacronica” del blocco volto ad “inibire aumenti automatici della retribuzione”, essendo stati, invece, limitati soltanto fino all’anno 1993 gli incrementi retributivi determinati da “nuove contrattazioni”), rimanendo, invece, espressamente ad essa sottratti i rapporti non di lavoro relativi alla frequentazione dei corsi specialistici. Le successive pronunce di questa Corte hanno, infatti, statuito che “L’importo delle borse di studio dei medici specializzandi, iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici dal 1998 al 2005, non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1, in quanto della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, con disposizione confermata dalla L. n. 289 del 2002, art. 36, comma 1, ha consolidato la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio ed escluso integralmente l’applicazione del citato art. 6” (cfr. Corte cass. Sez. L -, Sentenza n. 4449 del 23/02/2018; id. 19/02/2019, n. 480; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13572 del 20/05/2019): la norma della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, rinvia espressamente, infatti, all’intera disciplina dell’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 257/1991, includendo pertanto nel limite applicativo tutte le forme di adeguamento economico ivi previste (“12. A partire dal 1998 resta consolidata in lire 315 miliardi la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio per la formazione dei medici specialisti di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257; conseguentemente non si applicano per il triennio 1998-2000 gli aggiornamenti di cui del predetto D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1”).

8.4.4. Tanto il “blocco” dell'”indicizzazione annuale” quanto quello della “rideterminazione triennale” delle borse di studio, previsto della L. n. 449 del 1997, citato art. 32, comma 12, è stato poi confermato dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1 (legge finanziaria 2003), stabilendo tale norma che, fino alla stipula del contratto annuale di formazione e lavoro, previsto dal D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, art. 37, l’ammontare delle borse di studio corrisposte ai medici in formazione specialistica, ai sensi del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, a carico del Fondo sanitario nazionale, rimane consolidato nell’importo previsto dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12 e successive modificazioni.

8.4.5. Le palesi lacune nella allegazione dei fatti posti a fondamento del motivo di ricorso determinano la inammissibilità del primo motivo di ricorso per cassazione Ba. + 2 con il quale è stato chiesto l'”adeguamento triennale” della borsa di studio, a far data dal periodo successivo alla cessazione del blocco (31.12.1993), sull’assunto dell’incremento percentuale, pari al 19,30% del trattamento stipendiale minimo del personale medico SSN, previsto dall’art. 41 del c.c.n.l. sottoscritto in data 5.12.1996 relativo al “comparto sanità” per il periodo economico 1994-1995, e che, secondo i ricorrenti, avrebbe comportato un aumento della borsa di studio da rideterminare per il complessivo importo di Euro 1.153,63. Ed infatti se è pure vero che “a partire dal 1998 e sino al 2005 le borse di studio dei medici specializzandi non erano soggette all’incremento triennale previsto del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1” (cfr. Corte cass. Sez. L -, Sentenza n. 4449 del 23/02/2018), e dunque nel precedente periodo 1994 (anno di cessazione del blocco per gli aumenti retributivi determinati dalla contrattazione collettiva) fino appunto al 1998, non operando il blocco relativamente agli aumenti non automatici, dovrebbe tenersi conto della relativa variazione percentuale, ai fini della rideterminazione della borsa di studio (tale incremento sarebbe, peraltro, l’unico che viene a rilevare, poichè l’incremento successivo, disposto con c.c.n.l. sottoscritto in data 8.6.2000 viene a riguardare un periodo -anno 1998/2001- per cui era stato ripristinato, con la L. n. 449 del 1997, il blocco del riallineamento triennale per le borse di studio), tuttavia osserva il Collegio che i ricorrenti omettono di specificare nel motivo di ricorso:

1) a quanto ammontava il precedente importo della borsa di studio dagli stessi effettivamente percepito;

2) in che anno i singoli specializzandi avevano iniziato a frequentare i corsi e quando avevano ultimato la specializzazione (nel ricorso viene soltanto allegato che i corsi erano stati svolti anteriormente all’anno 2007, ma non si specifica nè la data di inizio, nè la durata del periodo di specializzazione)

Il motivo di ricorso non supera, pertanto, il vaglio di ammissibilità per difetto del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), non essendo stata posta in condizione questa Corte di verificare se gli specializzandi avessero o meno iniziato a frequentare i corsi dopo l’anno 1994 (cessazione del blocco dalla contrattazione collettiva ai fini del riallineamento triennale) concludendoli prima dell’anno 1998. Ed infatti:

se la frequenza ai corsi di specializzazione è stata iniziata e conclusa prima dell’accordo collettivo di lavoro del 1996, questo, in quanto recante una disciplina economica sopravvenuta, non può trovare applicazione a rapporti obbligatori che debbono ritenersi già definiti al momento della stipula e dell’applicazione di quel c.c.n.l.;

se i corsi di specializzazione sono stati iniziati dopo il 1998, quando scattò il blocco con la L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, non può essere preteso alcun adeguamento della borsa di studio, giustificato “in via transitoria” soltanto per coloro che avessero frequentato i corsi durante il periodo di vigenza della applicazione del c.c.n.l. del 1996.

8.4.6. Non essendo stati forniti gli elementi circostanziali necessari a comprendere quale tra le diverse ipotesi ricorra nel caso di specie, il primo motivo del ricorso Ba. + 2 risulta del tutto privo della necessaria chiarezza per individuare i termini della questione di diritto proposta e va dichiarato pertanto inammissibile.

Gli altri motivi in esame debbono, invece, ritenersi tutti infondati.

p. 9. La inammissibilità ed infondatezza dei precedenti motivi formulati con i ricorsi per cassazione determinano l’assorbimento delle altre censure di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione ai motivi di gravame dedotti avverso la decisione di prime cure che aveva ritenuto privi di legittimazione passiva i Ministeri ed aveva dichiarato inammissibili gli atti di intervento.

9.1 La censura relativa al difetto di legittimazione passiva dei Ministeri è stata formulata con il terzo motivo ( Sc.Gi. + 5): nullità della sentenza per violazione artt. 112,166 e 167 c.p.c.; L. n. 260 del 1958, art. 4; D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

9.2 Le censure concernenti invece la inammissibilità dei successivi atti di intervento volontario in causa sono state formulate con il terzo motivo ( Cu.El.): violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omessa pronuncia sul primo motivo di appello (diretto ad impugnare la decisione di prime cure che aveva dichiarato inammissibili gli atti di intervento). Vizio di violazione degli artt. 100,103,104 e 105 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e con il quarto motivo ( Ac.Mi. ed altri): violazione principi in materia risarcimento danni per mancato recepimento delle direttive comunitarie, delle direttive 82/76, 75/363, 93/16, sentenze CGCE Carbonari e Gozza, artt. 5 e 189 Trattato, artt. 2,3,10,97 Cost., D.Lgs. n. 251 del 1997 e L. n. 370 del 1999, artt. 100, 103,104,105 e 112 c.p.c., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

9.3 Solo ad abundantiam può rilevarsi la infondatezza delle censure del vizio di omessa pronuncia, avendo la Corte d’appello inteso decidere il merito, espressamente tralasciando l’esame delle questioni pregiudiziali e preliminari, richiamandosi al principio della ragione più liquida, e la inammissibilità del vizio per errore di fatto declinato difformemente dal paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

p. 10. In conclusione i ricorsi per cassazione debbono essere tutti rigettati.

In assenza di difese spiegate dalle parti intimate, non occorre procedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità in ordine ai ricorsi proposti da Al.Ca. + 35; Ba.An. + 2; Ac.Mi. + altri; N.A. + 2; Pi.Fr..

La particolare complessità delle questioni in diritto può essere ricondotta tra le “gravi ed eccezionali ragioni” di cui all’art. 92 c.p.c., quale categoria generale di riferimento, secondo l’insegnamento di Corte Cost. sentenza 19.4.2018 n. 77, della dichiarazione di compensazione delle spese di lite e nella specie delle spese del giudizio di legittimità tra le Amministrazioni pubbliche controricorrenti ed i ricorrenti M.A. + 5; Cu.El.; Bi.Gi.Pi.; Sc.Gi. + 5; P.I..

P.Q.M.

riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., tutti ricorsi, e la causa iscritta al RG n. 277/2018 alla causa precedentemente iscritta al RG n. 17458/2017;

– rigetta tutti i ricorsi.

Compensa integralmente le spese processuali tra le Amministrazioni pubbliche controricorrenti ed i ricorrenti M.A. + 5; Cu.El.; Bi.Gi.Pi.; Sc.Gi. + 5; P.I..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ciascun ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020

 

 

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