Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22633 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 08/11/2016, (ud. 12/10/2016, dep. 08/11/2016), n.22633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21535-2013 proposto da:

D.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SAN NICOLA DA TOLENTINO 50, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

DE TILLA, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

FIDITALIA SPA, in persona del Procuratore Avv. F.D.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 94, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNA FIORE, rappresentata e difesa

dall’avvocato CARLO VERTICALE giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

AUTO K DI D.S. & C SAS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 15325/2011 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 20/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. del 20 dicembre 2011 il Tribunale di Milano ha condannato D.S., quale socio illimitatamente responsabile (accomandatario) dell’estinta Auto K di D.S. & C. s.a.s. & C., a pagare a Fiditalia S.p.A. Euro 12.070, oltre a interessi e spese processuali, come restituzione per un contratto di finanziamento in cui l’asserito cliente della Auto K, R.E., aveva presentato denuncia-querela affermando di non averlo mai sottoscritto; obbligo di restituzione che il Tribunale aveva desunto da quanto stabilito dall’art. 6 del contratto di convenzionamento stipulato da Fiditalia con Auto K per il caso in cui “la domanda di intervento finanziario riportasse dati, firme o documentazione allegata falsi o alterati”, ritenendo che, vista anche l'”evidente difformità” tra le sottoscrizioni del preteso cliente nella richiesta di finanziamento e nella lettera con cui annunciava di avere presentato denuncia-querela, fosse provato l’inadempimento di Auto K al suo obbligo di accertamento dell’identità del richiedente. Avendo il D. proposto appello, ed essendosi Fiditalia costituita resistendo, con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. del 14-27 maggio 2013 la Corte d’appello di Milano dichiarava inammissibile il gravame.

2. Ha presentato ricorso il D. sulla base di un unico motivo, da cui si difende con controricorso Fiditalia S.p.A., che ha pure depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1 L’unico motivo presentato dal ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata interpretazione e applicazione degli artt. 1362-1363 c.c. quanto alle clausole 2 e 6, sesta riga, del contratto di convenzione standard di Auto K con Fiditalia.

Dapprima la ricorrente opera una ricostruzione dei fatti che ritiene necessaria, poi richiama l’atto d’appello, in cui al secondo punto si era “eccepita l’errata applicazione” dell’art. 6 del contratto di convenzione. Fa quindi riferimento alla motivazione dell’ordinanza del giudice d’appello al riguardo (per cui è “dirimente” che, essendosi il Raiola assunto la responsabilità di proporre denuncia-querela, competeva all’attuale ricorrente “l’onere di dimostrare che tale querela era ideologicamente falsa” e pertanto, non avendolo egli adempiuto, deve “considerarsi acquisita, in forza della clausola contrattuale n. 6, la sua responsabilità”) e adduce di avere, “a seguito di tale pronuncia”, cercata la documentazione sulla vendita che poi il R. aveva fatto dell’auto a un terzo, per poi affermare che “le considerazioni” del giudice d’appello “rivestono un’importanza particolare, in quanto in esse è riconosciuto espressamente” che il contratto di finanziamento non fu sottoscritto dal R., il quale invece ha proposto denuncia-querela; e quindi dai dati fattuali così esposti (anche per la seconda vendita) emergerebbe una truffa ai danni non solo della controricorrente ma anche di Auto K, onde l’ordinanza della corte territoriale sarebbe “errata”.

In seguito, “in virtù della ricostruzione dei fatti”, il ricorrente adduce che il primo giudice avrebbe dato errata interpretazione delle clausole del contratto di convenzione standard nel ritenere che Auto K e il ricorrente stesso fossero oggettivamente responsabili della truffa commessa da ignoti ai danni di Auto K e Fiditalia. Si “eccepisce”, allora, che il primo giudice avrebbe errato nell’interpretare le clausole del contratto di convenzionamento, perchè si sarebbe limitato solo al loro senso letterale, violando gli artt. 1362 e 1363 c.c. nell’interpretazione in particolare dell’art. 6, sesta riga, e dell’art. 2 di tale contratto. Segue la loro trascrizione, per dedurne poi che il Tribunale, interpretando appunto i due artt. soltanto in base al loro tenore letterale, avrebbe erroneamente ritenuto che Auto K si fosse obbligata a tenere indenne controparte qualora uno o più dei documenti allegati alla domanda di finanziamento risultassero falsi, e ad accertare l’identità del richiedente con tecniche insostenibili. Tali obblighi contrattuali richiederebbero competenze che Auto K non poteva possedere. Nel caso in esame, Fiditalia avrebbe ricevuto comunque da Auto K “l’intero incartamento” della pratica, valutandola “completa ed idonea per la propria approvazione, confermando la correttezza dell’operato di Auto K, proprio per la impossibilità di accertare che i documenti esibiti non erano validi”. Pertanto il primo giudice avrebbe violato i canoni e i contenuti interpretativi. Infatti dall’art. 6, sesta riga, e dall’art. 2, lett. a), b) e c) del contratto di convenzione standard emergerebbero obblighi contrattuali diversi da quelli indicati dal Tribunale, illustrati poi con altri argomenti fattuali, per concludere che “in tale ottica” non sussisterebbe alcuna responsabilità contrattuale di Auto K. Vengono successivamente riversati ulteriori argomenti fattuali in ordine al significato dell’art. 6, sesta riga, e art. 2, per concludere che il Tribunale li avrebbe interpretati in modo contraddittorio, e per affermare che non vi è responsabilità illimitata di Auto K nel caso in cui i documenti e le firme raccolti ex art. 2 si rivelino in un secondo momento falsi.

3.2 E’ stata esposta una dettagliata descrizione del contenuto del motivo perchè dalla sua mera lettura ne emerge la netta e “plurale” inammissibilità.

In primo luogo, infatti, vi si mescolano censure relative all’ordinanza della corte territoriale con censure relative alla sentenza di primo grado: a parte la non correttezza di per sè di una simile commistione, il motivo pretermette che il legislatore ha ben chiarito che, nel caso in cui l’appello viene dichiarato inammissibile ex art. 348 ter c.p.c., è “contro il provvedimento di primo grado” che può essere proposto ricorso per cassazione ex art. 360, come recita appunto il secondo comma dell’art. 348 ter. D’altronde, il recente intervento delle Sezioni Unite con la sentenza 2 febbraio 2016 n. 1914 ha dichiarato ricorribile per cassazione l’ordinanza d’inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter a mezzo di ricorso straordinario ex art. 117 Cost., comma 7, ma limitatamente a determinati vizi, cui non sono riconducibili le doglianze presenti nel motivo in esame. Il che conduce ad un ulteriore profilo di inammissibilità: sia le censure attinenti all’ordinanza che ha dichiarato l’inammissibilità del gravame, sia le censure attinenti alla sentenza di prime cure sono chiaramente fattuali, perseguendo un terzo grado di merito, che dal merito non esce neppure con il formale riferimento alle norme ermeneutiche e con l’asserto della loro violazione, dal momento che la censura, in realtà, si attesta sulla prospettazione di un significato del contratto oggetto della controversia alternativo rispetto a quello ricostruito dal giudice nel provvedimento impugnato.

Invero, l’indagine attinente alla effettiva volontà delle parti come manifestata nel negozio è un accertamento fattuale, riservato quindi istituzionalmente al giudice di merito. Di per sè, pertanto, non può essere “corretto” adottando esiti alternativi nell’esercizio del sindacato di legittimità, che può vagliare esclusivamente il metodo dell’accertamento sotto il profilo della sua correttezza normativa e non, invece, il risultato dell’indagine (di recente conferma in tal senso una giurisprudenza consolidata Cass. sez. 3, 10 febbraio 2015 n. 2465: “In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati”; conforme Cass. sez. 3, 26 maggio 2016 n. 10891; e sulla stessa linea v. Cass. sez. 1, 22 febbraio 2007 n. 4178 – che puntualizza come la configurabilità di valutazioni alternative rispetto a quella eletta dal giudice di merito non possa automaticamente implicare violazione di legge, ovvero aprire la strada al sindacato di legittimità, perchè “per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra” -; e v. pure Cass. sez.3, 13 febbraio 2002 n. 2074, Cass. sez. 1, 7 marzo 2007 n. 5273, Cass. sez. 3, 12 luglio 2007 n. 15604 e Cass. sez. 2, 3 settembre 2010 n. 19044).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 4200, oltre a Euro 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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