Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22631 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 08/11/2016, (ud. 12/10/2016, dep. 08/11/2016), n.22631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20345-2012 proposto da:

C.S., C.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ANAPO 20, presso lo studio dell’avvocato CARLA RIZZO, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BIAGIOTTI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALLISNERI

11, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PACIFICI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELIDO GUERRINI giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1079/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato PAOLO BIAGIOTTI;

udito l’Avvocato ELIDO GUERRINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 120/2008 il Tribunale di Lucca respingeva la domanda di rivendica e conseguente rilascio di immobile proposta da G.G. e C.A.M. avverso C.S. e C.A., accogliendo invece la domanda riconvenzionale di questi ultimi di accertamento della loro acquisita proprietà per usucapione sugli stessi beni. Avendo G. e C. proposto appello, ed essendosi gli appellati costituiti, resistendo, con sentenza del 625 luglio 2012 la Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di rivendica, con conseguente rilascio, e respinto la domanda di usucapione degli appellati.

2. Hanno presentato ricorso C.S. e C.A. sulla base di sette motivi, sviluppati anche in memoria ex art. 378 c.p.c. Si difende con controricorso G.G., che pure ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso non merita accoglimento.

3.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 1141 c.c., comma 1, artt. 1158 e 2697 c.c. nonchè art. 116 c.p.c., e/o omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo.

La corte territoriale si sarebbe fondata sulla testimonianza di B.V., che il primo giudice aveva ritenuto “neutra”: ma le dichiarazioni di tale teste colliderebbero col principio per cui l’elemento psicologico del possessore utile ai fini della usucapione consiste nella sua intenzione di comportarsi come proprietario, anche se non è in buona fede (art. 1158 c.c.). Il motivo si sviluppa in argomenti che esaminano il contenuto della testimonianza, dubitano della credibilità del teste e richiamano una giurisprudenza citata dal giudice d’appello per qualificarla non pertinente.

Si tratta evidentemente di un motivo dal contenuto fattuale, che persegue dal giudice di legittimità una revisione degli esiti del compendio probatorio, così incorrendo in inammissibilità.

3.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. e/o omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo: avrebbe errato il giudice d’appello nell’attribuire qualche rilevanza alla testimonianza di C.R., che ha riferito solo “voci correnti” anzichè fatti specifici, e sarebbe pertanto probatoriamente irrilevante.

A tacer d’altro, anche questo motivo condivide la natura inammissibile del motivo precedente, poichè mira a modificare l’esito dell’accertamento fattuale operato dal giudice di merito, tenuto conto che, in effetti, pur avendo quest’ultimo operato un riferimento anche alle dichiarazioni di questo ulteriore teste, si fonda in realtà sulla testimonianza B..

3.3 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 c.c. e/o omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo.

Il giudice d’appello “non ha adeguatamente considerato” che i convenuti, nella comparsa di costituzione, avevano specificamente contestato il diritto di proprietà degli attori: la corte territoriale “riconosce l’esistenza di siffatta contestazione” ma la relativizza ingiustificatamente. Invece ne sarebbe disceso l’onere attoreo di provare il diritto di proprietà. Ma “gli attori non hanno minimamente dimostrato” un valido loro titolo d’acquisto; e d’altronde, a differenza di quanto ritenuto dalla corte territoriale, la proposizione di domanda riconvenzionale di usucapione nei loro confronti non significa ammetterne la qualità di proprietari.

Ancora una volta, come nei due motivi precedenti, i ricorrenti perseguono un terzo grado di merito, censurando in realtà gli esiti del compendio probatorio individuati dal giudice di merito, e tentando di schermare tale inammissibile natura con l’argomentazione attinente alla contestazione, che pure gli stessi ricorrenti riconoscono essere stata riconosciuta dalla corte territoriale, la quale – e qui si ritorna, inevitabilmente, sul piano dell’accertamento – l’avrebbe “relativizzata”: in realtà il giudice d’appello ha riconosciuto la contestazione degli attuali ricorrenti e poi ha descritto la prova che a suo avviso integra la dimostrazione del fatto contestato.

3.4 Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 c.c., artt. 112 e 116 c.p.c. e/o omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo.

Adduce la censura che nel giudizio di rivendicazione l’attore deve “allegare un titolo diverso (usucapione) rispetto a quello (contratto) posto inizialmente a fondamento della domanda”. Quindi la corte territoriale non avrebbe potuto rilevare d’ufficio, in mancanza di allegazione degli appellanti, l’intervenuto acquisto a titolo originario del diritto da parte degli appellanti stessi, che “per loro pacifica ammissione non hanno mai esercitato alcun potere di fatto” sugli immobili di cui si tratta.

In questo modo, poi, il giudice d’appello avrebbe trascurato gli esiti delle testimonianze favorevoli al potere di fatto ad usucapione esercitato dal padre dei ricorrenti, C.G., fin dagli anni ‘50 del secolo scorso, e quindi ben prima della successione (12 settembre 1982) degli appellanti al loro dante causa G.L., che non è comunque dante causa di ambo le parti.

Inoltre è vero che l’esercizio dell’azione di rivendicazione vale come accettazione tacita dell’eredità, ma il giudice d’appello non avrebbe considerato che il diritto alla accettazione era già prescritto al momento della notifica dell’atto introduttivo del giudizio (22 febbraio 2003).

Anche l’intestazione catastale non proverebbe l’esistenza di un potere di fatto su cui fondare un acquisto a titolo originario di proprietà; e non sarebbero stati dimostrati neppure i contratti di affitto e comodato addotti dagli appellanti.

Il motivo è carente di autosufficienza per quanto riguarda l’asserto che G. e C. avevano dedotto solo un contratto come titolo, considerato anche che nel descrivere lo svolgimento del processo la corte territoriale ha rilevato che il primo motivo dell’atto d’appello adduceva proprio un “acquisto a titolo originario”. Parimenti privo di autosufficienza è l’asserto che G. e C. avessero ammesso di non avere mai avuto potere di fatto sul bene, argomento che, per di più, è inammissibilmente di merito. Riconducibile al merito è pure il richiamo agli esiti delle prove che il motivo ancora una volta illustra come valutazione alternativa. Quanto alla prescrizione, questa ovviamente è una eccezione in senso stretto che il giudice d’appello non avrebbe potuto rilevare, se mai fosse maturata; si tratta d’altronde di una questione nuova, non avendo i ricorrenti indicato in quale atto l’avessero in precedenza addotta, incorrendo anche sotto questo profilo nella carenza di autosufficienza che pervade il motivo. Di questo, poi, gli ultimi argomenti sono ancora fattuali, strutturati per smontare la complessiva costruzione probatoria effettuata dal giudice d’appello. Tutto il motivo, in ultima analisi, risulta pertanto inammissibile.

3.5 Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. e/o omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo: non vi sarebbe prova, a differenza di quanto ritenuto dalla corte territoriale, di un contratto d’affitto tra G.L. e C.G. nè della sua trasformazione in comodato precario. Inoltre la corte territoriale avrebbe trascurato o esaminato in modo insufficiente la questione di fatto dell’interversione della detenzione in possesso.

Anche questo motivo non si discosta dalla linea adottata nei motivi precedenti, censurando la ricostruzione probatoria effettuata dal giudice di merito e proponendo una valutazione alternativa del frutto dell’istruttoria: è perciò inammissibile.

3.6 Il sesto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 1159 bis c.c. e/o omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo, per avere il giudice d’appello trascurato completamente la domanda riconvenzionale subordinata degli attuali ricorrenti di usucapione speciale della piccola proprietà rurale ai sensi appunto dell’art. 1159 bis c.c. e della L. 10 maggio 1976, n. 3461, “non riproposta espressamente in appello perchè rimasta assorbita” nella sentenza di primo grado di accoglimento totale della domanda principale di usucapione ordinaria.

Lo stesso motivo attesta che tale domanda non fu riproposta da parte degli attuali ricorrenti in sede di appello, tanto è vero che non viene conformato in riferimento all’art. 112 c.p.c.. Il motivo è pertanto infondato, visto il dettato dell’art. 346 c.p.c. che rende rinuncia l’omessa riproposizione espressa di una domanda.

3.7 n settimo motivo (erroneamente indicato ancora come sesto) denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e/o omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo: la corte territoriale ha “glissato” su un fatto “risolutivo, cioè che nella conclusionale gli appellanti chiedevano di qualificare il giudizio come un’azione personale di restituzione e non di rivendica”: in questo modo vi sarebbe stata rinuncia alla domanda di rivendicazione.

Questo motivo, a tacer d’altro, non è dotato di adeguata autosufficienza su come la pretesa rinuncia sarebbe venuta ad inserirsi nel complessivo contesto della comparsa conclusionale, il che impedisce di comprenderne l’effettivo significato, con conseguente inammissibilità.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna – in solido per il comune interesse processuale – dei ricorrenti alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna solidalmente i ricorrenti a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 8200, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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