Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2263 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 26/01/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 26/01/2022), n.2263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23444-2020 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SUSA, 1, presso

lo studio dell’avvocato ADRIANO GALLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato STEFANO LIGUORI;

– ricorrente –

contro

C.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO SPOSATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 355/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 05/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

M.F. ricorre per la cassazione della sentenza n. 355/2020 della Corte d’Appello di Catanzaro, pubblicata in data 5 marzo 2020, formulando due motivi, ribaditi con memoria.

Resiste con controricorso, illustrato con memoria, C.M..

L’odierno ricorrente citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Castrovillari, C.M. e, assumendone la responsabilità, ai sensi dell’art. 2051 c.c., per l’incidente occorsogli in data 10 luglio 2013, chiedeva che fosse condannato a risarcirgli i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

A tal fine precisava che, uscendo dalla casa del convenuto, ove si era recato per ragioni lavorative, finiva con il piede nella buca prodotta dal cedimento di una griglia di appoggio e cadeva rovinosamente, riportando lesioni personali.

Aggiungeva che era stato costretto a rivolgersi al Tribunale, perché la compagnia assicuratrice del danneggiante, cui quest’ultimo aveva denunciato il fatto con atto scritto recante la sottoscrizione anche di un testimone, S.F., oltre a quella propria e a quella di C.M., non gli aveva liquidato alcunché.

Il Tribunale, con sentenza n. 105/2018, rigettava la domanda, ritenendo non soddisfatti gli oneri probatori gravanti sull’attore.

Affidandosi a tre motivi, M.F. impugnava la suddetta decisione dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, la quale, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, rigettava il gravame.

Per quanto ancora di interesse, il giudice a quo escludeva che la denuncia del sinistro alla propria compagnia di assicurazioni, quindi, ad un terzo, potesse fare piena prova e la riteneva liberamente apprezzabile quale presunzione iuris tantum alla luce di tutti gli elementi acquisiti al giudizio. E considerando tanto che il teste S.F., il quale risultava uno dei sottoscrittori della denuncia alla compagnia di assicurazioni, non solo aveva disconosciuto la sottoscrizione in calce al documento, ma aveva dichiarato di essere a conoscenza del fatto che le lesioni lamentate dall’attore erano state originate da una partita di calco amatoriale cui egli stesso aveva preso parte ed aveva negato di essere a conoscenza dell’esistenza della denuncia quanto che la dinamica dell’incidente che l’appellante aveva descritto non corrispondeva alle prove fotografiche acquisite – la caduta era stata attribuita alla presenza di una griglia in cemento, le fotografie davano atto della presenza di una griglia di ferro leggermente spostata dalla sua sede – concludeva (dopo aver, peraltro, escluso che avesse rilievo probatorio la mancata risposta all’interrogatorio formale di C.M.) che non era stata dimostrata la dinamica del sinistro.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2702,2735,2697 c.c., del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 143, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Oggetto di censura è la statuizione con cui la Corte territoriale ha qualificato la denuncia che C.M. aveva presentato alla propria compagnia di assicurazioni alla stregua di una denunzia di danno indirizzata ad un terzo non suscettibile di valere come atto confessorio.

L’errore del giudice a quo sarebbe consistito nel non aver considerato che l’atto era stato sottoscritto da entrambe le parti in causa e che, pertanto, costituiva non una dichiarazione unilaterale inviata al proprio assicuratore, ma una scrittura privata avente efficacia di piena prova nei confronti di C.M.. In particolare, si sarebbe trattato di una confessione fatta alla parte, poiché nella denuncia veniva descritto l’evento dannoso. A sostegno di detta conclusione, il ricorrente invoca l’applicazione analogica del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 143, a proposito della denuncia alla propria assicurazione dell’incidente stradale, il quale prescrive che il modello fornito dalla propria compagnia assicuratrice fa presumere, ove sia firmato dai conducenti coinvolti nel sinistro, salvo prova contraria da parte dell’assicurazione, che il sinistro si sia svolto come indicato e con le conseguenze da esso risultanti.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2702,2722,2735 c.c., e degli artt. 115,116, e 293 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Proprio perché qualificabile come scrittura privata e confessione, la denuncia di danno non avrebbe dovuto essere considerata dal giudice a quo liberamente apprezzabile quale presunzione iuris tantum. La scrittura privata, oggetto di controversia, non era stata disconosciuta da C.M., quindi non poteva che fare piena prova nei suoi confronti, e avrebbe dovuto esserle attribuito efficacia confessoria perché in essa erano dichiarati all’altra parte fatti a sé sfavorevoli e favorevoli al danneggiato. In aggiunta, C.M. non aveva fornito la prova contraria dei fatti da lui stesso ammessi, tali non avrebbero potuto considerarsi le dichiarazioni testimoniali del genero del danneggiante, inutilizzabili per fornire la prova contraria di quanto risultante da prove documentali, e non aveva risposto all’interrogatorio formale, ritualmente deferitogli.

3. I motivi possono essere esaminati congiuntamente, perché sono accomunati dalla premessa secondo cui la scrittura privata avrebbe i caratteri della confessione stragiudiziale in quanto sottoposta al danneggiato e da lui sottoscritta.

Nondimeno, il giudice a quo ha ritenuto che destinatario della stessa fosse l’assicuratore, di conseguenza la sottoscrizione in calce era da intendersi come sottoscrizione in calce ad una dichiarazione che aveva come destinatario, non il danneggiato, bensì l’assicuratore.

A tale presupposto di fatto, parte ricorrente ne oppone uno diverso, cioè che la dichiarazione fosse destinata, non solo all’assicuratore, ma anche al danneggiato.

Il che rende la censura, che muove da un presupposto fattuale diverso da quello su cui si è basata la statuizione impugnata, inammissibile.

Del tutto inconferente è l’invocazione dell’art. 143 cod. ass., comma 2, a mente del quale, nel caso di sinistro avvenuto tra veicoli a motore per i quali vi sia obbligo di assicurazione, il modulo di denuncia, ove firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro, fa presumere, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso”, perché si tratta di una previsione insuscettibile di applicazione analogica.

Va aggiunto che il fatto che S.F. abbia disconosciuto la sottoscrizione deve considerarsi irrilevante, perché la scrittura privata non era stata fatta valere nei suoi confronti, bensì nei confronti di C.M.. Quella di S.F. può essere considerata, infatti, alla stregua di una testimonianza anomala avente valore indiziario, di cui parte ricorrente avrebbe potuto semmai invocare il carattere di indizio da valorizzare in connessione con altri elementi o argomenti di riscontro.

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della parte controricorrente, liquidandole in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

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