Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2263 del 02/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 02/02/2021, (ud. 14/07/2020, dep. 02/02/2021), n.2263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13814/2016 proposto da:

G. C. SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A,

presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 73 sc. B int. 2, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

AUGUSTO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2909/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 24/11/2015, R.G.N. 2341/2013.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con ricorso al Tribunale di Trani, depositato in data 6 ottobre 2011, B.M. conveniva in giudizio la GC SERVICE s.r.l. per sentir dichiarare il proprio diritto: – al ripristino del rapporto di lavoro (ai sensi dell’art. 18 S.L.), in ragione dell’illegittimità del licenziamento intimatole con comunicazione del 27 maggio 2001; – alle retribuzioni maturate nel periodo dal dicembre 2010 al maggio 2011, indebitamente (e unilateralmente) imputate a ferie ed a permessi di assenza (ROL); – alle differenze retributive maturate per tutta la durata del rapporto di lavoro, per svolgimento di mansioni di III (o IV) livello del c.c.n.l. commercio e servizi, a fronte dell’inquadramento attribuitogli nel V livello; – al risarcimento dei danni (alla salute) cagionati dalla condotta “vessatoria e mobbizzante” posta in essere nei suoi confronti.

A fondamento delle spiegate pretese deduceva la ricorrente: – di aver lavorato alle dipendenze della convenuta, nel periodo dal 21 giugno 2007 al 27 maggio 2011, con mansioni di addetta all’ufficio del personale ed osservando un orario di lavoro articolato su 6 giorni alla settimana (con prestazione sistematica di due ore di lavoro straordinario giornaliero); che le sue mansioni andavano ascritte ai (superiori) livelli di inquadramento (III o IV) del c.c.n.l., piuttosto che al V livello attribuitogli); che nel corso del rapporto di lavoro, era stata fatta oggetto di condotte vessatorie; – che con provvedimento del 10.9.10 ella era stata trasferita da (OMISSIS) presso la sede di (OMISSIS) (a decorrere dal 14.9.10); che a detto provvedimento di mobilità contestato in più occasioni – era seguita contestazione disciplinare del 6.5.11 avente ad oggetto l’assenza ingiustificata dal 21.4.11; che il recesso intimato doveva considerarsi immotivato ed illegittimo in quanto essa esponente aveva offerto le proprie prestazioni presso la sede (OMISSIS).

Resistente la convenuta, che spiegava riconvenzionale di condanna per danni asseritamente procuratigli dalla ricorrente, il Tribunale, istruita la causa, accoglieva solo parzialmente il ricorso, condannando la società al pagamento delle differenze retributive dovute in ragione dello svolgimento giornaliero di due ore di lavoro straordinario e, nel resto, rigettando le pretese dalle parti azionate.

Ha rilevato, in sintesi, il primo Giudice: – che il trasferimento della lavoratrice presso la (nuova) sede di lavoro di (OMISSIS) era giustificato dalla soppressione degli uffici amministrativi nella città di (OMISSIS), ov’era rimasta la sola sede legale della società; che pertanto, non essendovi alcuna ragione discriminatoria, il licenziamento doveva considerarsi legittimo a causa del rifiuto della dipendente di eseguire la prestazione nel nuovo luogo di lavoro, così come era legittimo l’inquadramento contrattuale.

La pronuncia veniva gravata dalla B.; resisteva la società.

Con sentenza depositata il 24.11.15, la Corte d’appello di Bari, in parziale riforma della sentenza impugnata, riconosceva alla B. la somma di Euro 23.221,46 a titolo di compensi di straordinario.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a due motivi, cui resiste la B. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.- Con il primo motivo la GC SERVICE denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 414 c.p.c., lamentando che la B. non aveva specificato esattamente le mansioni di assunzione e quelle svolte, con riferimento ai superiori livelli contrattuali richiesti, lamentando che la sentenza impugnata aveva confermato quelle i primo grado in ordine alla riconducibilità delle mansioni svolte al IV livello del c.c.n.l..

Il motivo è sostanzialmente inammissibile, censurando (con ampi riferimenti critici alle testimonianze escusse) apprezzamenti di merito in ordine alle mansioni svolte dalla B. nel regime di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5.

2.- Con secondo motivo la società censura la statuizione in ordine al riconoscimento del lavoro straordinario, non ribadita nelle note conclusive, lamentando inoltre che ciò si basava su di una c.t.u. nulla in assenza di esplicita domanda di parte e di specifica indicazione nel quesito peritale.

Anche tale motivo è infondato posto che censura l’interpretazione della domanda contenuta nel ricorso introduttivo, accertamento in fatto riservato al giudice di merito, che la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto integrato dagli analitici conteggi ad esso allegati (mentre peraltro risulta, dalle stesse deduzioni dell’odierna ricorrente, pag. 33 attuale ricorso, che il ricorso ex art. 414 c.p.c., conteneva due interpolazioni manoscritte con cui si chiedeva anche il riconoscimento del lavoro straordinario). Deve inoltre rilevarsi che secondo il prevalente orientamento di legittimità la mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni” di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a proporla, essendo, a tal fine, necessario che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno dell’interesse a coltivarla (ex aliis, Cass. n. 17582/17, n. 15860/14). Ne consegue che la c.t.u. non è affetta da alcun vizio, non essendo affatto illegittimo il quesito formulato.

3.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 (tremila) per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021

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