Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22629 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. III, 16/10/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 16/10/2020), n.22629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34574/2018 R.G. proposto da:

A.A., in proprio e quale successore a titolo particolare

della Gisa Sas di A.A., rappresentato e difeso

dall’avvocato Bruno Russo De Luca, e con il medesimo elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’avvocato Gerardo Russillo, in

Roma, via Cipro n. 77;

– ricorrente –

contro

ENI DIVISIONE REFINING E MARKETING SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato

Francesco Mainetti ed elettivamente domiciliato in Roma, presso lo

studio del medesimo in piazza Mazzini n. 27;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3221/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/5/2018;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 25/06/2020 dal relatore Dott. Anna MOSCARINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Eni SpA (di seguito Eni) con atto di citazione del 9/3/2009, espose di aver stipulato con la società Gisa SaS di A.A. (di seguito Gisa Sas), due distinti contratti, tra loro collegati, di comodato gratuito di un impianto di erogazione di carburante, e di somministrazione del prodotto, con durata pattuita in anni sei, decorrenti dalla data di consegna, e rinnovabili tacitamente in difetto di disdetta, da comunicarsi con raccomandata con ricevuta di ritorno almeno sei mesi prima della scadenza. Assunse di aver dato disdetta nei termini, peraltro reiterata con ulteriori comunicazioni, senza ottenere la restituzione dell’impianto. Agì pertanto dinanzi al Tribunale di Roma per sentir condannare la società all’immediato rilascio ed a pagare, in solido con il socio accomandatario, il risarcimento del danno previsto da una clausola penale contenuta nel contratto. I convenuti si costituirono eccependo di non aver ricevuto alcuna disdetta, non potendo attribuirsi tale valore nè alla comunicazione del 19/9/2007, contenente un mero messaggio commerciale, nè a quella del 21/7/2008, tardiva poichè spedita e ricevuta oltre il termine di sei mesi; chiesero, in via riconvenzionale, la condanna della società attrice al risarcimento del danno alla salute loro procurato da vizi presenti nella struttura imputabili a difetti di manutenzione propri della società concedente. il Tribunale adito, con sentenza n. 20089 del 2012, condannò la sola società convenuta al rilascio ed al risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione dell’impianto e rigettò la domanda riconvenzionale.

La Corte d’Appello di Roma, adita dalla Gisa Sas in via principale e dall’Eni in via incidentale, con sentenza n. 3221 del 15/5/2018, ha

accolto il solo motivo di appello relativo alle spese di lite, rigettando per il resto l’appello principale ed anche l’incidentale. Per quel che è ancora qui di interesse la Corte territoriale ha statuito che l’Eni aveva assolto all’onere di comunicazione della disdetta, atto unilaterale e recettizio, giunto nella sfera di conoscibilità del destinatario entro il termine contrattuale, in mancanza di prova, da parte degli appellanti, di non averne avuto notizia senza colpa. In base all’art. 1335 c.c., la presunzione di conoscenza delle dichiarazioni recettizie è collegata all’invio del plico presso il destinatario, dovendo il mittente soltanto dar prova dell’avvenuto recapito della dichiarazione, spettando al destinatario la prova della mancata ricezione. Nel motivare il rigetto dell’appello incidentale di Eni, con il quale si chiedeva la condanna del socio accomandatario, in solido con la società, al pagamento della penale, la Corte ha statuito di non poter emettere una condanna diretta in quanto il socio non aveva partecipato personalmente alla stipula del contratto, essendo peraltro la responsabilità del socio sempre sussidiaria rispetto a quella della società in ragione del beneficio della preventiva escussione.

Avverso la sentenza A.A., in proprio e nella qualità di successore a titolo particolare della ditta Gisa Sas, ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, illustrati anche da memoria. L’Eni ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale sulla base di un unico motivo, anch’esso illustrato da memoria. Il P.G. ha depositato le proprie conclusioni scritte nel senso del rigetto di entrambi i ricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale – violazione del combinato disposto di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c. e del Verbale di Accordo tra Unione Petrolifera e Sindacati del 20/7/1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa – il ricorrente censura la sentenza per aver ritenuto che la disdetta era tempestiva e che il mittente aveva assolto al relativo onere probatorio, senza tenere conto di un verbale di accordo sindacale che stabiliva il termine per l’utile esercizio della disdetta in un anno anzichè in sei mesi. Il ricorrente censura anche la motivazione dell’impugnata sentenza la quale, pur contestando alla Gisa la scarsa redditività dell’impianto e la mancanza di decoro, ha disposto, in favore della medesima, un premio nazionale di produttività riservato a gestori che avessero incrementato le vendite.

1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

1.1 E’ inammissibile per difetto di autosufficienza, e dunque per contrasto con l’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, in quanto il ricorrente non ha adempiuto all’onere di esposizione sommaria dei fatti di causa e non ha indicato la sede del giudizio di merito nella quale la produzione documentale, su cui si basa la propria tesi difensiva, sarebbe allegata. Il ricorrente non ha riprodotto, in particolare, dove e come avrebbe provato la mancata ricezione della disdetta, in palese contrasto con i suindicati criteri di autosufficienza del ricorso (Cass., 3, 9/4/2013 n. 8569; Cass., 5, n. 14784 del 15/7/2015; Cass., 6-1, n. 18679 del 27/7/2017). Pure inficiata da difetto di autosufficienza è la censura relativa al termine di scadenza della disdetta perchè l’accordo sindacale contenente la previsione di un termine annuale – depositato tardivamente in giudizio – non è stato posto a confronto con le previsioni specifiche del contratto di comodato di cui il ricorrente non trascrive il contenuto per dimostrare che esso conteneva una disciplina contrattuale, in ordine ai tempi della disdetta, coerente con il suddetto verbale.

1.2 Il motivo è infondato in ordine alla censura relativa alla prova di avvenuta ricezione della disdetta. La parte interessata a sostenere che l’atto contenente la disdetta non sia pervenuto nella sfera di conoscibilità del destinatario ha l’onere di provare la pretesa mancata ricezione ovvero indicare quale atto – diverso dalla disdetta – sia stato effettivamente ricevuto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., 1, n. 22687 del 28/9/2017: “Ai sensi dell’art. 1335 c.c., la dichiarazione unilaterale comunicata mediante lettera raccomandata si presume ricevuta (e quindi conosciuta nel suo contenuto), pur in mancanza dell’avviso di ricevimento, sulla base dell’attestazione della spedizione da parte dell’ufficio postale, sicchè incombe sul destinatario l’onere di provare l’asserita non corrispondenza della dichiarazione ricevuta – perchè la raccomandata non conteneva alcun atto o conteneva un atto diverso – rispetto a quella indicata dal mittente, non potendo il destinatario limitarsi ad una generica contestazione dell’invio della raccomandata medesima”; cfr. anche Cass., n. 10630 del 2015). La lettera raccomandata costituisce prova certa della trasmissione del plico, attestata da un ufficio postale con la ricevuta di ritorno, da cui consegue la presunzione, basata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e della ordinaria regolarità del servizio, di arrivo al destinatario dell’atto comprendente la busta e il suo contenuto e dunque di conoscenza del medesimo ex art. 1335 c.c. Spetta in tal caso al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non conteneva una lettera al suo interno (Cass., n. 22687 del 28/9/2017; Cass., 3, n. 23920 del 22/10/2013, Cass., 3, n. 27526 del 10/12/2013; Cass., 3, n. 2070 del 5/2/2015; Cass., 3n. 20167 del 25/9/2014). Da quanto esposto si desume che la sentenza impugnata è del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte e come tale si sottrae alla censura formulata nel ricorso.

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (nonchè del combinato disposto di cui all’art. 2051,18081812 e 936 c.c. e del Verbale di Accordo tra Unione Petrolifera e Sindacati del 20/7/1997), omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – il ricorrente censura l’impugnata sentenza per non aver accolto la propria domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna dell’Eni al risarcimento del danno alla salute e per aver, di contro, ritenuto che il comodatario avrebbe dovuto agire di propria iniziativa per sopperire alle necessità ed ai vizi della struttura. La sentenza non avrebbe considerato che il comodante conosceva lo stato dei luoghi e le condizioni di degrado sì da dover intervenire per opere di manutenzione straordinaria, sicchè, avendo omesso detti interventi, avrebbe violato l’art. 1812 c.c.

2.1 Il motivo è inammissibile per plurimi e distinti profili.

Innanzitutto difetta di autosufficienza, in quanto il ricorrente non indica come e dove abbia illustrato e documentato il proprio cattivo stato di salute, non ponendo, pertanto, questa Corte in condizioni di poter valutare il contenuto della censura. In secondo luogo non è correlato alla ratio decidendi: la Corte d’Appello ha ritenuto che non fosse stata dimostrata nè la responsabilità dell’Eni – per non aver mantenuto l’immobile in stato salubre – nè tanto meno il necessario nesso causale tra le condizioni dell’immobile e l’asserito danno alla salute subito dall’ A. ma il ricorrente non ha censurato la statuizione relativa all’assenza di nesso causale, sicchè la medesima è passata in giudicato. In ogni caso, qualora si volesse prescindere dai profili di inammissibilità, il motivo sarebbe infondato non sussistendo alcun vizio di motivazione in ordine all’assenza di un danno alla salute: la Corte d’Appello, con motivazione esaustiva, ha rigettato la domanda di condanna al risarcimento del danno alla salute, escludendo l’esistenza di una responsabilità del comodante per il mantenimento dell’impianto in condizioni di perfetto stato d’uso e funzionamento.

3. Con un motivo di ricorso incidentale – violazione e falsa applicazione degli artt. 2313,2318,2304,2267 e 2268 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’Eni ha impugnato la sentenza in relazione al rigetto dell’appello incidentale relativo alla mancata condanna del socio accomandatario, A.A. in proprio, in aggiunta a quella della società ed in solido con la medesima, al pagamento della penale prevista dal contratto per il ritardo nel rilascio dell’impianto. L’impugnata sentenza, confermando quella di primo grado, ha ritenuto di non poter emettere una condanna diretta nei confronti del socio accomandatario in quanto quest’ultimo non aveva partecipato personalmente alla stipula del contratto, ed in quanto la sentenza di condanna del socio illimitatamente responsabile non si concilia con la regola per cui la responsabilità del socio è sempre sussidiaria rispetto a quella della società, in ragione del beneficio di escussione. In sostanza il giudice ha ritenuto che il beneficio della preventiva escussione valga a paralizzare l’azione nei confronti del socio illimitatamente responsabile, omettendo di considerare che detto beneficio opera solo sul piano dell’esecuzione nei confronti del creditore e non anche nei rapporti tra società e socio.

3.1 Il motivo è fondato e merita accoglimento. La previsione del beneficio di escussione, valendo sul piano della mera esecuzione, non esclude il diritto del creditore di agire, in sede di cognizione, contro il socio illimitatamente responsabile, possibilità che va ammessa in favore del creditore sociale per dargli modo di munirsi di uno specifico e diretto titolo esecutivo nei confronti del socio, prevenendo ogni intralcio e per iscrivere, ad esempio, ipoteca giudiziale sui beni del medesimo. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata proprio nel senso indicato dal ricorrente in quanto statuisce espressamente che il beneficio d’escussione, previsto dall’art. 2304 c.c., abbia efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce allo stesso creditore d’agire, in sede di cognizione, per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito (Cass., L, n. 3211 del 4/3/2003; Cass. 1, n. 1040 del 16/1/2009; Cass. 2, n. 28146 del 17/12/2013; Cass., 3, n. 25378 del 12/10/2018). Nel cassare questo passaggio argomentativo dell’impugnata sentenza va riaffermato il principio che la responsabilità del socio illimitatamente responsabile può essere fatta valere dal creditore per tutte le obbligazioni contrattualmente assunte nel nome della società quale che sia quello tra essi che ha contrattato con il terzo. Ad opinare diversamente si porrebbe nel nulla la logica della responsabilità illimitata e solidale del socio accomandatario.

3.2 L’accoglimento dell’unico motivo del ricorso incidentale determina conseguenze anche in ordine al regime delle spese di lite, in quanto viene meno il presupposto della reciproca soccombenza tra le parti del giudizio, consistente nel rigetto della domanda di Eni di ottenere la condanna dell’ A. in proprio (e in solido con la società), al pagamento della penale e nel rigetto della domanda di A. al risarcimento dei danni per lesione del diritto alla salute: venendo meno la reciproca soccombenza viene meno anche il presupposto della, sia pur parziale, compensazione delle spese del giudizio d’appello, di guisa che il giudice del rinvio dovrà provvedere anche in ordine ad esse.

4. Conclusivamente il ricorso principale va rigettato e va accolto l’incidentale, la sentenza cassata in relazione e la causa rinviata per nuovo esame ed anche per le statuizioni sulle spese (dell’appello e della cassazione) alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione. Si dà atto dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie l’incidentale, cassa l’impugnata sentenza in relazione e rinvia la causa per nuovo esame, ed anche per la liquidazione delle spese, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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