Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22624 del 31/10/2011

Cassazione civile sez. I, 31/10/2011, (ud. 06/07/2011, dep. 31/10/2011), n.22624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorsi riuniti iscritti ai n. 1238 e 3432 del Ruolo Generale

degli affari civili dell’anno 2007 proposti da:

COMUNE DI BENEVENTO (c.f. (OMISSIS)), in persona del sindaco

p.t., autorizzato a stare in giudizio con determina n. 57 6 del 31

dicembre 2006 ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via G.

Belluzzo n. 27, Pal. L, presso l’avv. PAGANO Massimo che, con l’avv.

Luigi Giuliano dipendente dell’ente, lo rappresenta e difende, per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO C.I.S.E.B. s.p.a. (c.f. (OMISSIS)), in

persona del curatore Dr. D.N.E., autorizzato a stare in

giudizio con decreto del giudice delegato del 13 gennaio 2007 ed

elettivamente domiciliato in Roma, al Viale Antonio Ciamarra n. 196,

presso l’avv. DE ANGELIS Giorgio, unitamente all’avv. Gianleonardo

Caruso di Benevento che lo rappresenta e difende, per procura a

margine del ricorso;

– ricorrente incidentale –

nonchè

S.F. (c.f. (OMISSIS)), in proprio e quale

procuratore di S.L., giusta procure per notar Tommaso

Caruso del 29 luglio e del 9 settembre 2010, quali eredi

dell’originario unico controricorrente V.S., deceduto il

(OMISSIS), il primo anche nella

qualità, rappresentato e difeso, per procura a margine dell’istanza

di costituzione in giudizio del 16 marzo 2011, dall’avv. DE CHIARO

Domenico, rappresentante e difensore del dante causa comune di dette

parti per procura a margine del controricorso da quello notificato il

30 gennaio – 5 febbraio 2007 al ricorrente;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3158/06

dell’11 – 18 ottobre 2006, notificata al Comune di Benevento il 10

novembre 2006 e al Fallimento C.I.S.E.B s.p.a. il 26 novembre 2011.

Udita la relazione del Cons. Dr. Fabrizio Forte e sentiti l’avv. De

Chiaro, per il controricorrente e il P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dr. CESQUI Elisabetta, che conclude per il

rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 26 marzo 1993, S.V. proprietario di un terreno di mq. 18447 in (OMISSIS) occupato dalla s.p.a. C.I.S.E.B., in qualità di concessionaria del comune, per realizzarvi opere di edilizia residenziale pubblica, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Benevento, il locale Comune concedente e la società concessionaria di cui sopra, deducendo che il TAR Campania aveva annullato la Delib.

n. 1966 del 1999, che aveva autorizzato l’occupazione, per cui l’apprensione dell’area era da ritenere illecita e chiedendo quindi la condanna dei due convenuti al risarcimento del danno.

Il Comune si costituiva ed eccepiva la prescrizione dell’azione e, con sentenza del 12 aprile 2002, il Tribunale di Benevento condannava in solido i due convenuti a pagare a titolo risarcitorio al S. Euro 2.043.144,03 e le spese di causa.

Avverso tale sentenza proponeva appello principale il Comune di Benevento e gravame incidentale il S. e, nella contumacia del Fallimento della s.p.a. C.I.S.E.B., la Corte d’appello di Napoli, accoglieva parzialmente le due impugnazioni e, in riforma della sentenza di primo grado, condannava in solido il Comune appellante principale e il Fallimento della società a pagare al S., a titolo risarcitorio, Euro 1.347.451,51 per occupazione appropriativa dei terreni di cui sopra, con rivalutazione e interessi legali su tale somma per ogni anno di durata della occupazione abusiva temporanea dal 29 novembre 1989 al 3 aprile 1991, compensando le spese di causa tra le parti.

Per la cassazione di detta sentenza, ha proposto ricorso di due motivi, notificato il 29 – 30 dicembre 2006, il Comune di Benevento (R.G. N. 1238/07); analoga impugnazione con unico motivo ha proposto il Fallimento della C.I.S.E.B. s.p.a., con atto notificato il 18 gennaio 2007 (R.G. 3432/07).

Si è difeso con controricorso S.V., deceduto nel corso del giudizio di legittimità, cui è subentrato l’erede S. F. anche quale rappresentante della coerede S.L..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, deve disporsi la riunione dei due ricorsi n.ri 1238 e 3432 del 2007, proposti contro la stessa sentenza ai sensi dell’art. 335 c.p.c.; per il principio di unitarietà delle impugnazioni di cui all’art. 333 c.p.c., il ricorso della Curatela fallimentare, successivo a quello dell’ente locale, deve qualificarsi incidentale, mentre la prima impugnazione del comune è quella principale.

Va poi rilevata la nullità della procura a margine della c.d.

“istanza di costituzione in giudizio con richiesta di fissazione d’udienza”, in sostituzione del defunto ricorrente S.V., dei suoi eredi F. e S.L., il primo rappresentante della seconda e difeso anche nella qualità dallo stesso difensore del defunto genitore, avv. Domenico de Chiaro come da procura a margine della istanza-memoria, che è inidonea a conferire poteri perchè nulla, non essendo applicabile la novella di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha consentito tali procure sulle memorie ai processi instaurati prima della sua entrata in vigore, quale la presente causa.

L’avv. De Chiaro è però dotato di jus postulandi, essendo stato notificato il controricorso da lui sottoscritto quale difensore della parte intimata destinataria originaria del ricorso poi deceduta, che validamente gli aveva conferito il potere di rappresentanza nel presente giudizio di cassazione che è officioso e non si interrompe per la morte della parte, anche se dichiarata dal legale che può continuare nella sua attività difensiva successivamente al decesso del suo patrocinato (Cass. 14 novembre 2001 n. 14194, tra altre).

2.1. Il ricorso principale del Comune di Benvenuto censura la sentenza di cui sopra per due motivi, con il primo dei quali denuncia violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., e dei principi in materia di ermeneutica contrattuale e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, artt. 35 e 60, anche per illogicità e contraddittorietà della motivazione, per avere i giudici di merito ritenuto legittimato passivo dell’azione il Comune ricorrente, sulla base alla convenzione stipulata tra ente locale e concessionaria s.p.a. C.I.S.E.B., concessionaria che si era obbligata, con tale accordo, a dar corso alle operazioni e alle procedure finalizzate all’espropriazione dell’area, comprensive del pagamento delle indennità ai proprietari dei terreni occupati.

La Corte di merito ha escluso ogni indagine sulla reale volontà delle parti espressa nell’accordo di cui al disciplinare di concessione, dovendo il concessionario soltanto rispondere dei danni provocati dalla occupazione, avendo dichiarato al danneggiato di essere obbligato a pagare l’indennità di espropriazione, perchè il delegante gli aveva trasferito la titolarità passiva di tale obbligazione.

Ad avviso del ricorrente, avendo la concessionaria agito in nome esclusivamente proprio, essa sola doveva rispondere del risarcimento del danno per cui il S. aveva agito in giudizio, non essendo legittimato passivo nella stessa il delegante che non doveva rispondere dell’obbligazione indennitaria, avendo trasferito anche i suoi poteri ablatori alla società CISEB s.p.a..

Deve quindi negarsi la legittimazione passiva dell’ente locale nella presente causa e il primo motivo del ricorso del comune si chiude con il seguente quesito di diritto: “La esatta applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg., e della L. n. 865 del 1971, artt. 35 e 60, nonchè della convenzione intercorsa tra le parti avrebbe consentito alla Corte d’appello di Napoli, sez. 1, di dichiarare il difetto di legittimazione passiva del Comune di Benevento con conseguente riconoscimento della stessa in capo alla concessionaria CISEB s.p.a.? 2.2. In secondo luogo, il ricorso principale lamenta la violazione della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, comma 3, avendo erroneamente ritenuto “edificabili” i suoli oggetto di espropriazione, anche per difetto di motivazione su tale punto decisivo.

Ad avviso del ricorrente è errata la qualificazione delle aree come edificabili, essendo esse inserite in zona CP, cioè di aree di espansione riservate a interventi di interesse pubblico, dovendosi identificare la natura conformativa della destinazione riconosciuta nel giudizio di merito in luogo di quella di vincolo preordinato all’espropriazione.

La Corte ha riconosciuto la natura edificabile dei terreni occupati, solo perchè siti nell’ambito di un P.E.E.P., senza rilevare la loro concreta edificabilità legale e di fatto e non tenendo conto della concreta disciplina urbanistica di essi nella concreta fattispecie.

Il quesito di diritto conclusivo del secondo motivo del ricorso principale del Comune di Benevento è il seguente: “La corretta applicazione della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, comma 3, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale di codesta Corte formatosi su tale norma, avrebbe consentito ai giudici di merito di pervenire alla corretta qualificazione giuridica delle aree oggetto di causa, impedendo così, alla Corte territoriale di incorrere nell’errore motivazionale su detto punto decisivo della controversia? 3. Il ricorso principale è infondato.

I giudici di merito hanno incontestatamente rilevato la illegittimità della delibera di autorizzazione alla occupazione n. 1966 del 1999, affermando poi che la dichiarazione di pubblica utilità era implicita nella approvazione del piano di zona in località Fontanelle attuativo del P.E.E.P. approvato dalla Regione Campania il 20 novembre 1985 e di durata decennale per cui, alla data della illecita immissione in possesso della CISEB s.p.a. nelle aree del S., ingiustamente autorizzata dall’ente locale, comunque si dava esecuzione ad una occupazione per causa di pubblica utilità anche se illecita ab origine e si verteva in una ipotesi di c.d.

occupazione appropriativa.

La ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’appello evidenzia una corresponsabilità dell’ente locale non solo per avere adottato l’illegittimo provvedimento che aveva autorizzato la occupazione in seguito annullato dal TAR, all’esito del quale si è avuta la immissione in possesso e la illecita trasformazione irreversibile dell’area, ma anche per non avere emesso, prima di tale evento che ha provocato la consumazione della illecita acquisizione dell’area, il decreto di espropriazione che poteva disporsi fino alla scadenza della efficacia del piano attuativo di cui sopra.

Non è quindi dubitabile che correttamente si è affermata la legittimazione passiva e la responsabilità dell’ente locale nella fattispecie (in tal senso cfr. S.U. 10 ottobre 2008 n. 24885 sulla scia di molte altre); il primo motivo di ricorso principale deve essere quindi rigettato.

3.2. In ordine alla natura edificabile dell’area la Corte di merito ha puntualmente motivato la sua decisione per cui anche il secondo motivo di ricorso dell’ente locale deve essere rigettato.

Invero la Corte d’appello rileva come l’area occupata era nel 1975 in zona classificata “verde vincolato” e fu poi inserita nel locale P.E.E.P. costituente piano di zona, equivalente a piano particolareggìato idoneo a conformare le aree disciplinate, dando ad esse destinazione urbanistica “edificabile”, come sostanziale variante del P.R.G. con effetti sul territorio simili a quelli propri dello strumento urbanistico di natura generale.

Il carattere conformativo del Piano attuativo rendeva l’area occupata edificabile, mancando comunque in ricorso una censura idonea a superare detta destinazione urbanistica, con la indicazione di opere previste nel piano con progetto lenticolare, che potesse quindi identificare le opere stesse come pubblici servizi e determinare la qualifica di vincolo preordinato all’esproprio della destinazione dell’area solo programmatica e conformativa dei terreni qualificabili in concreto e non solo in astratto, come “edificabili” (in tal senso tra altre, le recenti Cass. 22 novembre 2010 n. 23584 e 5 agosto 2008 n. 22421).

In conclusione, entrambi i quesiti di diritto che chiudono i motivi del ricorso principale del Comune di Benevento non possono che avere risposta negativa, e quindi l’impugnazione deve rigettarsi, perchè infondata.

4.1. Il ricorso incidentale della Curatela del Fallimento C.I.S.E.B. s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 52 e 92, che avrebbero imposto di dichiarare la improcedibilità della domanda nei confronti della ricorrente in questa sede.

Afferma la ricorrente che ogni credito dell’impresa fallita deve accertarsi ai sensi della L. n. 267, art. 52 del R.D. 16 marzo 1942, in sede concorsuale e quindi dinanzi al giudice fallimentare, dovendo il giudice ordinario dichiarare improcedibile la domanda proposta nei confronti di un imprenditore in bonis, se lo stesso sia dichiarato fallito in corso di causa, ai sensi della richiamata L. Fall., art. 92.

Nel caso di specie la domanda originariamente proposta contro la concessionaria nel 1993, a seguito del fallimento di quest’ultima nel 1995, doveva dichiararsi improcedibile, come correttamente affermato dalla sentenza n. 10414 del 18 maggio 2005 della stessa Corte di Cassazione, non trattandosi in concreto di una questione di competenza tra giudice ordinario e giudice fallimentare, ma solo di una questione processuale di improseguibilità della domanda posta con un rito diverso da quello applicabile e necessario per legge.

Il quesito di diritto conclusivo del ricorso incidentale della società concessionaria chiede quindi: “In ragione dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della C.I.S.E.B. s.p.a. nel corso del giudizio di primo grado (circostanza di fatto incontestata), la necessaria e corretta applicazione del combinato disposto della L. Fall., artt. 52, 92 e segg., avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello di Napoli a rilevare nella sentenza impugnata, anche di ufficio, la inammissibilità e/o improcedibilità e/o improponibilità dinanzi al giudice ordinario della domanda attrice di risarcimento del danno nei confronti della Curatela del Fallimento della C.I.S.E.B.? 4.2. Il ricorso incidentale della Curatela è da ritenere anche esso infondato.

Invero la s.p.a. C.I.S.E.B., convenuta in giudizio allorchè era ancora in bonis nell’azione risarcitorìa del dante causa dell’odierno controricorrente, anche nella qualità di rappresentante dell’altra erede dell’originario unico attore, ha omesso di costituirsi; quando nel 1995 è stata dichiarata fallita, la s.p.a.

CISEB ha ancora scelto di rimanere contumace, omettendo di seguire le vicende del presente processo e di impugnare la sentenza del Tribunale che non aveva dichiarato la domanda improcedibile.

Il primo giudice non ha dichiarato interrotto il processo dinanzi al tribunale, data la contumacia della convenuta fallita: peraltro quando nel 2002 il Tribunale ha condannato la società contumace, nelle more fallita, il Fallimento non ha impugnato la sentenza di primo grado che non aveva dichiarato la impromovibilità o improcedibilità della domanda per il sopravvenuto fallimento della società, così dando luogo a giudicato implicito sulla legittimazione passiva di detta curatela nella presente azione, la cui improseguibilità eventuale andava dedotta, come motivo di gravame della sentenza di primo grado con appello che avrebbe dovuto proporre la Curatela fallimentare della società e avrebbe impedito il giudicato su tale punto della decisione.

La preclusione del giudicato sulla procedibilità del processo nei confronti della società fallita, di cui alla sentenza del tribunale non impugnata su tale punto, comporta la inammissibilità del ricorso incidentale della Curatela del Fallimento della CISEB. 5. In conclusione, il ricorso principale deve rigettarsi e quello incidentale deve dichiararsi inammissibile, potendosi compensare le spese tra i due ricorrenti che, in solido, dovranno invece corrispondere agli aventi causa di S.V. controricorrenti in questa sede, le spese del presente giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi, rigetta il principale e dichiara inammissibile l’incidentale; compensa le spese tra i due ricorrenti e condanna questi ultimi in solido a pagare al controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 10.200,00 (diecimiladuecento/00) dei quali Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2011

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