Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22622 del 25/09/2018

Cassazione civile sez. II, 25/09/2018, (ud. 16/03/2018, dep. 25/09/2018), n.22622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6483/2014 R.G. proposto da:

D.B.O., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’avv. Giuseppe Nastasi e

dall’avv. Laura La Rocca Tavana, con domicilio eletto in Catania,

via Papale 26;

– ricorrente –

contro

M.G., R.S., rappresentati e difesi, in virtù

di procura speciale a margine del controricorso, dall’avv. Antonino

Longo, con domicilio eletto in Roma, via Stoppani 1, presso lo

studio del difensore;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della corte d’Appello di Catania n. 1083

depositata il 28 maggio 2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 marzo 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco;

Fatto

RITENUTO IN FATTO

D.B.O. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Catania M.G. e R.S., proprietari di un fondo vicino, denunciando la violazione delle norme sulle distanze incorsa nella demolizione e ricostruzione di un preesistente fabbricato ad opera dei convenuti.

L’attore precisava:

che aveva ottenuto una concessione edilizia per la edificazione di un manufatto nel proprio fondo al posto di una precedente costruzione, con avanzamento del muro perimetrale fino al confine con il fondo dei convenuti;

che i lavori per la costruzione del nuovo edificio erano iniziati il 6 maggio 1987 e terminati il 13 aprile 1991, quando fu trasmessa al Comune la formale dichiarazione di fine lavori;

che, nel corso del 1987, quando il fondo confinante apparteneva al precedente proprietario e dante causa dei convenuti, era stato costruito su di esso un manufatto in muratura, in aderenza a una preesistente costruzione;

che la nuova costruzione aveva comportato un avanzamento del fabbricato rispetto al confine, ma comunque entro i limiti di tre metri;

che il fatto era stato accertato dalla Polizia Municipale, intervenuta sul posto su segnalazione di altro vicino;

che, nell’anno 2004 i convenuti, subentrati nella proprietà del fondo vicino, avevano ampliato il preesistente manufatto da mq 8 a mq 23,55, con un avanzamento rispetto al confine di circa 1,50;

che la distanza fra i due fabbricati, già superiore a metri tre, si era ridotta a soli metri 1,83.

Il tribunale rigettava la domanda dell’attore e accoglieva la domanda riconvenzionale dei convenuti, condannando l’attore ad arretrare il proprio fabbricato di metri lineari 1,17 dal confine, in modo che fosse osservata la distanza legale di metri tre dalla fabbrica del convenuto, posta a distanza di metri lineari 1,83 dal suddetto confine.

La Corte d’Appello di Catania confermava la sentenza.

Essa affermava che la costruzione dei convenuti si trovava rispetto al confine nella identica posizione del fabbricato precedente, demolito e ricostruito; inoltre che il fabbricato demolito già esisteva prima che l’attore edificasse a sua volta: pertanto i principi della prevenzione operavano a favore dei convenuti.

Per la cassazione della sentenza D.B.O. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi.

M.G. e R.S. hanno resistito con controricorso contenente ricorso incidentale.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Violazione del principio della prevenzione di cui agli artt. 873-877 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La corte d’appello non ha considerato che i convenuti, nella ricostruzione del preesistente fabbricato, ne avevano ampliato la superfice da mq 8 a metri 23,50.

Il fatto, risultante dal confronto fra gli accertamenti a suo tempo eseguiti dalla polizia municipale e le indagini del consulente tecnico d’ufficio, qualora esaminato dalla corte d’appello, avrebbe sicuramente portato a un diverso esito della lite.

Il motivo è infondato.

In base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo applicabile ratione temporis), “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass., S.U., n. 8053/2914).

Nel caso di specie è evidente che il fatto è stato considerato dalla corte di merito, che, nel definire il relativo motivo di impugnazione, ha rilevato che nè dalla ctu (nè aliunde) risultava che il fabbricato ricostruito “fosse cosa diversa” dal precedente demolito, trovandosi comunque rispetto al confine nella identica posizione del precedente.

In questo senso la decisione impugnata è in linea con la giurisprudenza della Suprema Corte: “La prevenzione, come condizionamento delle successive iniziative edilizie del vicino e come pretesa – nei confronti di questo – all’osservanza di un distacco pari al minimo legale, si determina e si radica in favore del primo costruttore per il fatto stesso della costruzione realizzata, o anche intrapresa, priore tempore, sicchè soltanto tale fatto deve essere comprovato in giudizio, come costitutivo di una consimile pretesa. I commoda della prevenzione, tuttavia, vengono meno quando la costruzione preveniente divenga oggetto di una distruzione totale, perchè in tal caso cessa la situazione suscettiva del pericolo di intercapedini dannose e, correlativamente, l’obbligo delle distanze a carico del vicino che intenda costruire: ciò non si verifica nella sola ipotesi in cui si provi che la demolizione sia stata operata dal proprietario al fine di ricostruire immediatamente, con analoga ubicazione rispetto al confine” (Cass. n. 1141/1979; conf. n. 2990/1973; n. 12307/1997 in motivazione; n. 300/2015 in motivazione).

Il secondo motivo denuncia violazione del principio della prevenzione di cui agli artt. 873-877 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte d’appello ha affermato che, ai fini della prevenzione, non era sufficiente che all’attore avesse avviato i lavori nel 1987, ma occorreva dimostrare che, a quella data, l’edifico fosse stato realizzato per lo meno nella struttura essenziale, “quella rilevante ai fini del rispetto della normativa sulle distanze”.

Sostiene il ricorrente che la prevenzione si radica in favore del primo costruttore per il fatto della costruzione realizzata o anche intrapresa priore tempore.

Il motivo è infondato.

E’ vero, come si evidenzia nel motivo, che secondo la giurisprudenza di questa Suprema corte la definitività della scelta che spetta al preveniente di costruire sul confine si realizza una volta che la costruzione sia iniziata (Cass. n. 7762/1999; n. 1740/1990; n. 1420/1987; n. 2473/1973; n. 1376/1971; n 2893/1967; n. 1264/1967).

Nello stesso tempo, però, dalla motivazione della sentenza emerge con chiarezza che l’errata considerazione teorica non ha avuto alcuna incidenza sulla decisione, che risulta essenzialmente fondata su rilievo che l’attore non aveva fornito elementi idonei a rovesciare la ricostruzione operata dal tribunale, che poneva il fabbricato dai convenuti quale costruzione preveniente (iniziata nel 1980: v. pag. 3).

Il ricorrente sostiene che, al momento del sopralluogo della Polizia Municipale, nel gennaio del 1988, erano in corso i lavori per la costruzione del casotto nel fondo ora di proprietà di proprietà di M. e R. e che al medesimo momento l’attore aveva preparato “il terreno per erigere, evidentemente a margine dello scavo di fondazione, il muro di confine con il convenuto”.

Come si vede neanche in questa sede vi è una presa di posizione precisa sul fatto che l’avvio dell’attività di edificazione nel fondo dell’attore fosse iniziata prima dell’edificazione del casotto sul fondo vicino. Si ammette la coesistenza dei lavori nei due fondi, ma non si dice minimamente che vi erano elementi, non considerati dalla corte di merito, che comprovavano che lo scavo nel fondo dell’attore era stato avviato in precedenza.

Si ricorda che “in tema di distanze fra le costruzioni, incombe a colui che chiede l’arretramento del fabbricato altrui, sul presupposto della preesistenza della propria costruzione, l’onere della prova di avere costruito per primo” (Cass. n. 144/2916; conf. n. 6058/1982).

Per completezza di esame si ritiene ancora che il principio della prevenzione opera anche nel caso in cui la costruzione preveniente sia stata realizzata senza la prescritta concessione edilizia (Cass. n. 4208/1987).

Il terzo motivo denuncia violazione del principio della prevenzione di cui agli artt. 873-877 c.c., dell’art. 2700c.c. e dell’art. 115 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il motivo ripropone la medesima questione oggetto del primo motivo ed è infondato per le stesse ragioni.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 96 c.p.c.

Il motivo è inammissibile, perchè non contiene alcuna censura sulla liquidazione delle spese.

Infatti esso si esaurisce nel proporre la diversa decisione che la corte d’appello avrebbe dovuto assumere sulle spese di lite, in accoglimento della domanda dell’attore.

L’unico motivo del ricorso incidentale denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La corte d’appello non ha provveduto nè sulla domanda dei convenuti di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., nè sulla istanza di cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale.

Il motivo è fondato solo in relazione al mancato ordine di cancellazione della trascrizione della domanda.

Ed invero, essendo la domanda rigettata, il giudice avrebbe dovuto impartire tale ordine anche d’ufficio (Cass. n. 15964/2009; conf. n. 23929/2007).

Diversamente, quanto al mancato esame della domanda ex art. 96 c.p.c., sono gli stessi ricorrenti incidentali a precisare che la relativa istanza fu proposta in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio d’appello, al cospetto di un fatto generatore del danno (la trascrizione della domanda) consistente in comportamento della controparte posto in essere prima della proposizione del medesimo giudizio d’appello.

“La domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. può essere proposta per la prima volta nella fase di gravame solo con riferimento a comportamenti della controparte posti in atto in tale grado del giudizio, quali la colpevole reiterazione di tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice ovvero la proposizione di censure la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata in modo da evitare il gravame, e non è soggetta al regime delle preclusioni previste dall’art. 345 c.p.c., comma 1, tutelando un diritto conseguente alla situazione giuridica soggettiva principale dedotta nel processo, strettamente collegato e connesso all’agire od al resistere in giudizio, sicchè non può essere esercitato in via di azione autonoma” (Cass. n. 1115/2016).

La sentenza impugnata è cassata in relazione al ricorso incidentale, con rinvio Corte d’appello di Catania in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e regolerà le spese del presente giudizio.

Poichè il ricorso principale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso principale; accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al ricorso incidentale; rinvia alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

dichiara ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 16 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2018

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