Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22621 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 08/11/2016, (ud. 30/09/2016, dep. 08/11/2016), n.22621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16131-2013 proposto da:

C.P. (C.F. (OMISSIS)), di ultima residenza conosciuta in

(OMISSIS), già rappresentata e difesa dall’avv. Giovanna Tadonio,

poi cancellatasi dall’albo professionale, presso il cui studio aveva

eletto domicilio in via E. Romagnoli 23 Roma, per procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 366 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA, emessa

il 5/12/2012, depositata il 13/12/2012;

udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

ed il rigetto del secondo e del terzo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- C.P., conduttrice di un immobile locato ad uso abitativo e sito in (OMISSIS), fu convenuta con convalida di sfratto per morosità davanti al tribunale di Brescia – sez. dist. di Salò dal locatore P.L. in data 19.3.08; e, da una parte, il contratto fu dichiarato risolto per il di lei inadempimento ed ella fu condannata al pagamento di 78 mensilità, mentre, dall’altra parte, furono rigettate le sue riconvenzionali di condanna del locatore al ripristino dell’immobile locato per la sua inidoneità a servire all’uso convenuto, al risarcimento del danno conseguente da tale inidoneità, al rimborso delle spese sostenute per le spese urgenti eseguite ed alla restituzione in suo favore delle spese condominiali eventualmente pagate in eccedenza.

2.- La sentenza di primo grado, resa il 14.2.12, fu impugnata dalla C. in via principale e dal P. in via incidentale, ma la corte di appello di Brescia respinse il gravame dell’una e accolse quello dell’altro: per quel che qui ancora interessa, rilevando che la prima non aveva chiesto alcuna modifica della sentenza di primo grado in ordine alla riduzione della condanna pronunziata nei suoi confronti per canoni non corrisposti, limitandosi ad insistere sulle domande riconvenzionali in origine dispiegate e riconosciute invece comunque infondate.

3.- Per la cassazione della sentenza di appello, pubblicata il 13.12.12 col n. 1459 (corrette ivi, con successiva ordinanza 3.4.13, le generalità del procuratore del locatore), ricorre oggi la C. con atto spedito per la notifica il 12.6.13 ed articolato su tre motivi, ma l’intimato non espleta attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. – La ricorrente C. – raggiunta infine di persona, a seguito della cancellazione dall’albo del suo difensore, da rituale notifica del decreto di fissazione dell’udienza di discussione in data 29.7.16 ai sensi dell’art. 143 cod. proc. in relazione alla sua ultima residenza conosciuta in (OMISSIS) ((OMISSIS)), comunque con comunicazione anche nella Cancelleria di questa Corte – si duole, con un primo motivo, formulato con riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4 di “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c.; violazione dell’art. 112 c.p.c.”: sostenendo che la domanda di limitazione della condanna al pagamento dei soli canoni successivi al periodo 2003-2005 ben poteva e comunque doveva ricavarsi dal complessivo tenore dell’impugnazione, non rilevando solamente quello letterale delle conclusioni finali e sul punto avendo argomentato articolando la prova del relativo pagamento.

5.- Il motivo è infondato: lo stesso tenore letterale delle espressioni come riportate in ricorso (v. trascrizione appello a pag. 8) è tutto rivolto a dimostrare la fondatezza dell’eccezione formulata ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. e quindi ad escludere la risoluzione, ma non anche a chiedere la limitazione dell’oggetto della condanna ad una determinata entità della mora piuttosto che ad un’altra; e la volontà di conseguire la riforma su tale specifico punto non si evince allora in alcun modo neppure dal contesto complessivo dell’atto di appello, sempre ammesso – e non concesso – che una domanda possa o debba ricavarsi, anzichè dalla chiara sua esplicitazione in termini chiari ed intelligibili per controparte e giudici, dalle recondite implicazioni delle argomentazioni di chi si vorrebbe averla formulata.

6.- La ricorrente lamenta poi col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 una “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1575 c.c.”, deducendo che il danno da non mantenimento in buono stato locativo sarebbe in re ipsa e che spettava al conduttore il potere di chiedere il ripristino.

7.- Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. A parte il fatto che un danno in re ipsa è sempre escluso (per tutte, v. Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972), comunque la corte territoriale esclude vi sia stata la prova di un minore uso e che vi sia un diritto al ripristino per essere stata pronunziata la risoluzione, con due distinte rationes decidendi che non sono allora attinte, sotto tali profili specifici, adeguatamente dalla censura formulata dalla ricorrente e come sopra riassunta.

8.- Infine, la locataria adduce, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, commi 8 e 9 e della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346”: al riguardo allegando le vicende di un contratto di locazione intercorso con controparte a partire dal 5.1.12, cui invoca applicarsi la richiamata normativa.

9.- Il motivo è inammissibile, perchè si riferisce con tutta evidenza ad un contratto diverso da quello oggetto di causa, essendo quest’ultimo stato dichiarato risolto con effetto dal verificarsi della mora e quindi molto prima del 2012, epoca di inizio del contratto di cui invece il motivo tratta.

10.- Infondati o inammissibili tutti i motivi, il ricorso va rigettato, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, per non avervi svolto attività difensiva l’intimato.

11.- Trova peraltro applicazione – in difetto di discrezionalità al riguardo (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955) – il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da essa proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso da lei proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 30 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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