Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22620 del 25/09/2018

Cassazione civile sez. II, 25/09/2018, (ud. 16/03/2018, dep. 25/09/2018), n.22620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6115 – 2014 R.G. proposto da:

B.C., – c.f. (OMISSIS) – C.G. – c.f.

(OMISSIS) – elettivamente domiciliati in Roma, alla via P. Leonardi

Cattolica, n. 3, presso lo studio dell’avvocato Pierfrancesco

Palatucci che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Marco

Dalla Fior li rappresenta e difende in virtù di procura speciale a

margine del ricorso:0

– ricorrenti –

contro

D.A., – c.f. (OMISSIS) – + ALTRI OMESSI – (tutti quali

eredi di B.O.), elettivamente domiciliati in Roma, al

viale Giulio Cesare, n. 14, presso lo studio dell’avvocato Gabriele

Pafundi che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Beatrice

Tomasoni li rappresenta e difende in virtù di procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della corte d’appello di Trento n. 44/2013, udita

la relazione nella camera di consiglio del 16 marzo 2018 del

consigliere dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto in data 19.5.2005 B.C. e C.G., comproprietari in (OMISSIS) di un edificio adibito a civile abitazione, citavano a comparire innanzi al tribunale di Trento B.O., proprietario dell’attiguo edificio, parimenti adibito a civile abitazione.

Chiedevano che il convenuto fosse condannato ad arretrare la porzione di edificio realizzata in sopraelevazione con utilizzo del muro della particella edilizia n. 119/1 di spettanza di essi attori; che si accertasse e dichiarasse che a favore particella edilizia n. 118 di spettanza del convenuto non sussistesse alcun diritto di servitù di mantenere manufatti, sporti e gronde in guisa che invadessero la particella n. 119/1; che il convenuto fosse quindi condannato ad arretrare le strutture che incombevano oltre il muro ed invadevano l’edificio di loro proprietà; che il convenuto fosse condannato ad arretrare il pluviale posizionato a distanza inferiore a quella di cui all’art. 889 c.c., comma 2; che il convenuto fosse condannato al risarcimento dei danni.

Si costituiva B.O..

Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale chiedeva che si accertasse e dichiarasse l’intervenuto acquisto per usucapione a favore particella n. 118 di sua spettanza ed a carico della particella n. 119/1 di spettanza degli attori della servitù di mantenere la porzione realizzata in sopraelevazione nonchè lo sporto e la gronda; parimenti in via riconvenzionale chiedeva che gli attori fossero condannati ad arretrare il pluviale posizionato a distanza illegale.

In riconventio riconventionis gli attori chiedevano che si accertasse e dichiarasse l’intervenuto acquisto da parte loro della servitù di mantenere il pluviale di loro spettanza nella posizione ove era collocato.

Espletata la c.t.u., con sentenza n. 915/2008 l’adito tribunale accoglieva in parte le domande riconvenzionali del convenuto e per l’effetto dichiarava l’intervenuto acquisto per usucapione a favore della particella n. (OMISSIS), di spettanza di B.O., della servitù di mantenere la porzione realizzata in sopraelevazione nonchè lo sporto e la gronda; rigettava le domande – hic et inde esperite – di usucapione relative alle condotte pluviali e per l’effetto condannava l’una e l’altra parte ad arretrare i rispettivi pluviali fino ad osservare la distanza di cui all’art. 889 c.c., comma 2.

Interponevano appello B.C. e C.G..

Resisteva B.O..

Acquisite le integrazioni richieste al consulente officiato in prime cure, con sentenza dei 18.12.2012/11.2.2013 la corte d’appello di Trento rigettava il gravame e condannava gli appellanti alle spese del grado.

Evidenziava la corte, in ordine alla domanda degli iniziali attori volta a conseguire la condanna del convenuto all’arretramento della porzione di edificio realizzata in sopraelevazione con utilizzo del muro della particella n. (OMISSIS) e quindi in ordine alla natura del muro, che dalle risultanze della c.t.u. si desumeva che gli edifici delle parti in lite costituivano “strutture distinte, ciascuna munita di un proprio muro che aderisce con quello confinante” (così sentenza d’appello, pag. 14); che le medesime risultanze erano univoche nell’escludere che vi fosse “stata invasione della proprietà degli appellanti, avendo il consulente accertato che la seconda parte del muro, quella in sopraelevazione, è posta in proiezione alla parte del muro di spina di B.O.” (così sentenza d’appello, pag. 15); che gli appellanti non avevano “fornito elementi oggettivi per dimostrare la fondatezza del loro assunto e tanto meno tali da contrastare le risultanze raggiunte dal consulente” (così sentenza d’appello, pag. 18).

Evidenziava inoltre che era del tutto irrilevante procedere alla verifica dei confini fra le due proprietà, giacchè trattavasi di un accertamento mai richiesto dagli appellanti e di questione sollevata autonomamente dal c.t.u..

Evidenziava, in ordine alla dichiarata usucapione della servitù di mantenere la porzione realizzata in sopraelevazione, che non vi era necessità di far luogo all’assunzione delle prove orali; che invero gli atti davano riscontro della esistenza della sopraelevazione da oltre venti anni, ovvero che il muro perimetrale esisteva, sopraelevato, sin dagli anni 1954 – 1963.

Evidenziava, in ordine alla dichiarata usucapione della servitù di mantenere la gronda, che “uno sporto di gronda similare (…), come attestato dalla documentazione fotografica ufficiale degli anni 1991 – 1992 (…) sussisteva anche all’epoca” (così sentenza d’appello, pag. 20), sicchè lo sporto di gronda attualmente esistente non aveva “subito alcuna modificazione di dimensioni rispetto alla situazione precedente” (così sentenza d’appello, pag. 20); che dunque era assolutamente irrilevante ai fini dell’usucapione che lo sporto fosse stato sostituito con un altro; che in ogni caso le prove documentali in atti (fotografie e progetti) rendevano superflua l’assunzione delle prove orali.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso B.C. e C.G.; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese.

D.A., + ALTRI OMESSI, tutti quali eredi di B.O., hanno depositato controricorso; hanno chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Del pari hanno depositato memoria i controricorrenti.

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 880 e 885 c.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

Deducono, con riferimento alla domanda di condanna dell’originario convenuto all’arretramento della porzione di edificio realizzata in sopraelevazione, che non rinviene riscontro in alcun esito istruttorio l’affermazione dalla corte di merito secondo cui si è al cospetto “di due murature (…) perimetrali tra loro strutturalmente separate ed autonome (così ricorso, pag. 12); che viceversa “si tratta (…) di un unico muro come d’altronde il consulente ha sempre sostenuto” (così ricorso, pag. 12), la cui “caratteristica (…) è proprio quella di sostenere strutturalmente entrambi gli edifici” (così ricorso, pag. 13).

Deducono altresì che la corte distrettuale ha errato a reputare inconferente l’accertamento del confine tra le due proprietà; che infatti l’accertamento del confine è fondamentale ai fini dell’accertamento della denunciata invasione della proprietà di essi ricorrenti; che in particolare la mappa aggiornata al 24.2.2012 “segna il confine a filo del muro di spina con l’ovvia conseguenza che l’intero muro (…) è su proprietà dei ricorrenti” (così ricorso, pag. 14).

Deducono ancora che la corte territoriale “non ha tenuto conto che la sopraelevazione è avvenuta a filo del muro perimetrale” (così ricorso, pag. 17) e quindi che “è stato occupato l’intero muro e non già una parte di esso” (così ricorso, pag. 17); che in realtà dalla documentazione tecnica allegata si evince che “il confine tra le due proprietà è segnato dalla mezzeria del muro di spina, mezzeria pacificamente superata con la sopraelevazione eseguita da B.O.” (così ricorso, pag. 18).

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1158 e 2697 c.c., degli artt. 115,116c.p.c. e art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.

Deducono, con riferimento alla domanda riconvenzionale dell’originario convenuto volta a conseguire la declaratoria di usucapione della servitù di mantenere la porzione realizzata in sopraelevazione nonchè lo sporto e la gronda, che sarebbe stato necessario far luogo all’ammissione ed all’assunzione delle prove testimoniali.

Deducono altresì che i documenti fotografici sui quali si è basata la corte di merito, “nulla dicono e nulla esplicitano in ordine ad una pretesa già realizzata sopraelevazione dell’edificio” (così ricorso, pag. 20); che al contempo la documentazione allegata alla relazione di c.t.u. è assolutamente incompleta.

Deducono inoltre che i precedenti rilievi esplicano valenza anche con riferimento alla domanda riconvenzionale dell’originario convenuto volta a conseguire la declaratoria di intervenuta usucapione della servitù di mantenere lo sporto di gronda.

Deducono infine che dalla documentazione fotografica in atti si evince che il pluviale nella particella di loro spettanza vi è collocato da oltre vent’anni, sicchè hanno senz’altro acquistato per usucapione il diritto mantenerlo nella posizione occupata.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2058 c.c. e la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c..

Deducono che, annullata la sentenza, devono venir meno e il rigetto della domanda risarcitoria per illegittima sopraelevazione e la disposta condanna alle spese di lite.

I motivi di ricorso sono strettamente connessi.

Viepiù giacchè il secondo motivo riveste un indubbio rilievo preliminare – se non addirittura assorbente – indubbio rilievo preliminare che similmente ha rivestito la domanda riconvenzionale dell’originario convenuto volta a conseguire la declaratoria di intervenuto acquisto per usucapione della servitù di mantenere la sopraelevazione rispetto alla domanda degli originari attori volta a conseguire la condanna di controparte al relativo arretramento.

Si giustifica dunque la disamina contestuale dei motivi tutti.

Tutti gli esperiti mezzi di impugnazione sono comunque destituiti di fondamento.

Si osserva previamente che i motivi di ricorso, segnatamente il primo ed il secondo, si qualificano in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Occorre tener conto, da un lato, che i ricorrenti con gli esperiti mezzi censurano sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte d’appello ha atteso (“argomentare (…) di edifici in aderenza, come argomenta la Corte, significa negare l’esistenza di un muro unico di spina portante”: così ricorso, pag. 12; “la corte non si avvede che affermando che sul muro in questione gravano entrambe le costruzioni nega proprio il dato fondante da cui è mossa”: così ricorso, pag. 16; “l’usucapione è stata dichiarata non solo in assenza di prova testimoniale (…), ma sulla base di illazioni configgenti con la documentazione ufficiale ed autentica prodotta”: così ricorso, pag. 27); dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Su tale scorta si osserva altresì che gli asseriti vizi motivazionali veicolati dagli spiegati mezzi di ricorso rilevano nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile ratione temporis al caso di specie (la sentenza impugnata è stata depositata in data 11.2.2013), e nei termini enunciati dalle sezioni unite di questa Corte con la pronuncia n. 8053 del 7.4.2014.

In quest’ottica si osserva ulteriormente quanto segue.

Da un canto, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della statuizione delle sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di Trento ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – il giudice di secondo grado, siccome si è premesso, ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Dall’altro, che la corte distrettuale ha sicuramente disaminato i fatti decisivi caratterizzanti la res litigiosa.

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum del secondo giudice risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

Si rappresenta in primo luogo che, così come questa Corte ha puntualizzato in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5 susseguente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, puntualizzazione tuttavia appieno correlabile al vigente dettato del n. 5 cit., applicabile alla fattispecie ratione temporis, la locuzione “fatto controverso e decisivo per il giudizio” è da riferire ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”, che pertanto risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (cfr. Cass. 8.10.2014, n. 21152).

Tanto in particolare in ordine alla circostanza per cui l’omesso esame denunciato di già con la rubrica del primo motivo concerne propriamente le censure alla c.t.u..

Si rappresenta in secondo luogo che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

Tanto in particolare in ordine alle pretese illogiche e contraddittorie argomentazioni che inficerebbero la motivazione dell’impugnato dictum (cfr. ricorso, pag. 15).

Si rappresenta in terzo luogo che i ricorrenti in fondo censurano l’asserita, omessa, distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“la Corte andando in direzione apertamente configgente con tutti i risultati dell’istruttoria documentale (…) persino in contrasto con i risultati della consulenza tecnica d’ufficio (…)”: così ricorso, pagg. 11 – 12; “inutilmente si cerca nella sentenza impugnata un solo riferimento ai rilievi topografici del Comune di (OMISSIS), al rilievo strumentale del geom. Bi., al rilievo a firma del geom. B. ed alla documentazione a firma del geom. V. (…)”: così ricorso, pag. 14; “la Corte (…) ha ritenuto invece attendibile la documentazione del geom. Sartori”: così ricorso, pag. 17; da nessun documento acquisito agli atti si può “trarre il convincimento che la sopraelevazione sia avvenuta negli anni 50 – 60”: così ricorso, pag. 20; depongono in senso contrario “gli unici elementi documentali esistenti in atti e rappresentati dalle due concessioni edilizie ottenute da B.O.”: così ricorso, pag. 20; “la lettura dei progetti avrebbe portato ad evidenziare come con la concessione edilizia del 1991 fosse stata assentita la demolizione (…)”; così ricorso, pag. 24; “ancora una volta vengono in evidenza gli elaborati di progettazione e la relazione considerati parte integrante della concessione edilizia n. 18/91”; così ricorso, pag. 29).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Si rappresenta in quarto luogo che non è censurabile in sede di legittimità il giudizio (anche implicito) espresso dal giudice di merito in ordine alla superfluità della prova testimoniale dedotta da una parte, specie quando lo stesso giudice abbia, con ragionamento logico e giuridicamente corretto (è il caso di specie), ritenuto di avere già raggiunto, in base all’istruzione probatoria esperita, la certezza degli elementi necessari per la decisione (cfr. Cass. 27.7.1993, n. 8396). Ed inoltre che la motivazione di rigetto di un’istanza di mezzi istruttori non deve essere necessariamente data in maniera espressa, potendo la stessa ratio decidendi, che ha risolto il merito della lite, valere da implicita esclusione della rilevanza dei mezzi dedotti ovvero da implicita ragione del loro assorbimento in altri elementi acquisiti al processo (cfr. Cass. 16.6.1990, n. 6078).

Si rappresenta infine che, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass. (ord.) 31.3.2017, n. 8421).

Tanto con riferimento alla prospettazione, veicolata specificamente dal terzo motivo, secondo cui il richiamo a chiarimenti del c.t.u. avrebbe giustificato la compensazione delle spese di lite.

In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è datato 26.2.2014. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, B.C. e C.G., a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2018

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