Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22617 del 25/09/2018

Cassazione civile sez. II, 25/09/2018, (ud. 07/03/2018, dep. 25/09/2018), n.22617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8389-2015 proposto da:

Ministero dello Sviluppo Economico, – Dipartimento per le

Comunicazioni, in persona del Ministro pro tempore, e, per quanto

possa occorrere, per l’ispettorato Territoriale della Toscana del

Ministero dello Sviluppo Economico Dipartimento delle Comunicazioni,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

R.A., quale titolare della ditta R&M Point;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1974/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 02/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/03/2018 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

RITENUTO

che la Corte d’appello di Firenze con la sentenza di cui in epigrafe, accolta l’impugnazione di R.A., in riforma della statuizione di primo grado, annullò l’ordinanza ingiunzione emessa dal Ministero dello Sviluppo Economico Dipartimento per le Comunicazioni – ispettorato Territoriale Toscana, nei confronti dell’appellante, al quale era stata addebitata la violazione del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98, comma 2, siccome modificato dal D.L. n. 262 del 2006, convertito con la L. n. 286 del 2006, nonchè della L. n. 109 del 1991, art. 1, comma 3, per esercitato servizio di fax senza aver previamente presentato la prevista dichiarazione d’inizio attività e per avere installato l’impianto a mezzo di una impresa non autorizzata;

ritenuto che la sentenza d’appello ha escluso l’addebito in quanto: a) il D.L. n. 259 del 2003 “non menziona mai il fax come servizio di cui debba essere espressamente denunciato l’esercizio”, prevedendo soltanto la “specificazione della tipologia di servizio offerto”; b) “secondo un criterio ermeneutico legato alla percezione dell’utente medio” la dizione “trasmissione dati”, indicata dall’utente, “descrive la funzione essenziale del fax”; c) “l’obbligo del dichiarante di precisare il tipo di servizio reso non può essere inteso in modo assoluto, nè tanto meno arbitrario, ma va ragionevolmente parametrato allo schema qualificativo della norma: se la norma non parla di fax, l’utente non può essere tenuto ad indicare nella dichiarazione d’inizio attività qualcosa che non sia chiaramente desumibile dalla norma”; d) il modello conforme all’allegato 9 della legge “non parla di fax, bensì rimanda tautologicamente alla “descrizione della tipologia di servizio””; e) il parametro della buona fede faceva escludere che la normativa fosse “all’altezza della specificità che l’Amministrazione esige dall’esercente”;

Diritto

RITENUTO

che avverso la predetta determinazione il Ministero propone ricorso per cassazione corredato da duplice censura e che il R. non ha svolto difese in questa sede;

ritenuto che con il primo motivo l’Amministrazione ricorrente allega violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25, comma 4 e all. 9, art. 98, comma 2, sulla scorta del ragionamento seguente: la dichiarazione d’inizio attività prevista dal codice delle comunicazioni elettroniche riveste importante rilievo al fine di consentire la formazione di un elenco aggiornato dei fornitori di reti e servizi e la conformità di essa al modello di cui all’all. 9 e costituisce condizione necessaria perchè l’attività non debba considerarsi abusiva, alla stregua dell’art. 98 del corpo normativo in esame; la sentenza avversata aveva, per contro, attribuito “una portata limitata e restrittiva agli obblighi di dichiarazione” e assegnato adeguatezza alla insufficiente locuzione dell’utente “trasmissione dati”, che non era conforme al modello imposto dall’all. 9, il quale richiede l’indicazione specifica della tipologia di servizio, della tipologia di rete e dei sistemi/apparati di rete utilizzati, pervenendo così ad una interpretazione “illegittimamente restrittiva dell’obbligo di dichiarazione e dei suoi contenuti limitandola alla sola voce “tipologia di rete””;

ritenuto che con il secondo motivo il ricorso denunzia omesso esame di un fatto controverso e decisivo, poichè la sentenza d’appello non aveva esaminato le argomentazioni difensive della P.A., la quale aveva allegato che l’utente era venuto meno all’obbligo di specificare gli elementi conoscitivi indicati nell’all. 9, essendosi limitato a indicare, quanto alla tipologia del servizio, trasmissione dati, quanto alla tipologia di rete, ADSL, e quanto alla tipologia dei sistemi/apparati, Windows e Pentium IV, senza chiarire che sarebbe stato previsto un servizio fax, mediante l’uso di un apparato Laserjet 3030 e della linea ISDN;

considerato che le due censure, scrutinabili unitariamente, in ragione della loro interdipendenza, debbono essere disattese per le ragioni di cui appresso:

1) come è dato cogliere dalla sintesi sopra riportata della motivazione della sentenza della Corte locale la ratio decidendi adottata si fonda anche sulla considerazione che l’utente aveva adempiuto all’incombente secondo buona fede e la contestata mancanza di completezza informativa non era da addebitare a costui, ma ad una non agevole comprensione degli obblighi informativi in parola, tanto che il medesimo aveva diligentemente fornito le informazioni richieste alla competente Questura “solo pochi giorni dopo la dichiarazione d’inizio attività sbarrando la casella che riproduceva analiticamente i vari tipi di servizio”;

2) questa ratio decidendi, se si vuole cumulativa, ma comunque alternativa, rispetto alla proposta interpretazione della norma, non consta essere stata puntualmente censurata in questa sede e, come più volte affermato da questa Corte, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (ex multis, cfr., da ultimo, Sez. 5, n. 11493, 11/5/2018, Rv. 648013; S.U., n. 7931/013);

3) l’art. 360 c.p.c., n. 5 post riforma operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (pur dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi, che qui non ricorrono, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che qui non si rileva affatto, avendo la Corte territoriale preso in considerazione gli elementi salienti e significanti del fatto;

4) l’omissione, come questa Corte ha ripetutamente affermato, deve concernere un fatto materiale, primario o secondario, avente il carattere qualificante della decisività (cfr, ex multis, Sez. 1, n. 5133, 5/3/2014, Rv. 629647; Sez. 1, n. 7983, 4/4/2014, Rv. 630720; Sez. 3, n. 23940, 12/10/2017, Rv. 645828; Sez. 6-5, n. 23238, 4/10/2017, Rv. 646308), che nella fattispecie al vaglio non ricorre e deve consistere in elementi fattuali, giammai può essere succedaneamente individuata nell’esercizio del potere motivazionale (cfr., Sez. 3, n. 5795, 8/3/2017, Rv. 643401), come, all’evidenza, propone la ricorrente;

considerato che nulla va disposto per le spese essendo la controparte rimasta intimata;

considerato che non ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), non essendo stato corrisposto per legge contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2018

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