Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22617 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 08/11/2016, (ud. 29/09/2016, dep. 08/11/2016), n.22617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5689-2014 proposto da:

C.G., C.I., S.S.,

C.R., C.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

SISTINA 21, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO PANUCCIO, che li

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 429/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 11/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2016 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE PANUCCIO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

i. Il Tribunale di Reggio Calabria ha accolto la domanda proposta da C.G. per la condanna del Ministero dell’Interno al rilascio di un compendio immobiliare detenuto sine titulo dall’amministrazione convenuta.

2. Su appello del Ministero dell’Interno, la Corte d’appello di Reggio Calabria, qualificata la domanda proposta dall’originario attore quale domanda di rilascio fondata su un titolo extracontrattuale, ha accolto l’eccezione di giudicato esterno sollevata dall’amministrazione appellante, atteso che, in altra precedente sede, era già stata definitivamente rigettata la domanda di rilascio proposta dal C. sul presupposto della natura extracontrattuale dell’illecito dell’amministrazione avversaria, dovendo viceversa necessariamente qualificarsi, l’occupazione sine titulo dell’amministrazione dell’interno, quale inadempimento contrattuale, in ragione della mancata restituzione del compendio immobiliare oggetto di giudizio a seguito della scadenza del contratto di locazione intercorso tra le parti in epoca pregressa.

3. Avverso la sentenza d’appello, hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi di C.G., nella relativa qualità, sulla base di cinque motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria.

4. Ha depositato controricorso il Ministero dell’Interno, concludendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 329, 342, 346 e 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), avendo la corte d’appello erroneamente accolto l’eccezione di giudicato esterno sollevata dall’amministrazione appellante, senza rilevare l’intervenuta formazione del giudicato interno sulla qualificazione della domanda originariamente proposta dal C. – quale domanda di rilascio fondata su un titolo extracontrattuale -, attesa la mancata impugnazione, sul punto, del Ministero dell’interno avverso la condanna pronunciata in detti termini qualificativi dal giudice di primo grado.

5.1. Il motivo è infondato.

Osserva il collegio come, secondo quanto evidenziato dalle stesse parti ricorrenti alla pag. 8 dell’impugnazione proposta in questa sede, nelle conclusioni avanzate in sede d’appello avverso la sentenza di primo grado, l’amministrazione dell’interno ha invocato l’accoglimento della domanda, proposta in via principale, consistente nella quantificazione delle somme dovute dall’amministrazione appellante sulla base del criterio di cui all’art. 1591 c.c. (sia pur altrove confusamente e impropriamente alludendo a una pretesa natura extracontrattuale dell’illecito) e, pertanto, sulla base di un criterio di determinazione del danno con evidenza connesso alla premessa natura contrattuale della relativa responsabilità per l’illegittima occupazione dell’immobile (cui l’art. 1591 c.c. è incontestabilmente riferito).

Sulla scorta di tale premessa, deve conseguentemente ritenersi che la questione concernente la natura dell’illecito contestato a carico dell’amministrazione odierna resistente non potesse ancora ritenersi irretrattabilmente preclusa con la pronuncia della sentenza di primo grado, dovendo viceversa ritenersi ancora in contestazione, in sede d’appello, il titolo della responsabilità risarcitoria ascritta all’amministrazione dell’interno, in relazione all’esistenza o meno di una preesistente relazione contrattuale intercorsa tra le parti idonea a dar luogo all’applicazione dell’art. 1591 c.c. (come propriamente invocato, in via principale, dal Ministero con il proprio atto d’appello).

Ciò posto, del tutto correttamente la corte territoriale – in assenza di alcuna preclusione derivante dall’eventuale formazione di un giudicato interno sulla questione – ha rilevato l’efficacia dirimente del giudicato esterno formatosi in relazione all’originaria domanda del C., avendo rilevato come lo stesso, analogamente a quanto accaduto nel diverso giudizio divenuto definitivo, avesse ancora insistito nella qualificazione in termini aquiliani dell’illecito civile imputato all’amministrazione avversaria.

In forza di tali argomentazioni, non essendo la decisione impugnata incorsa in alcuna delle violazioni di legge denunciate dai ricorrenti con il motivo in esame, quest’ultimo dev’essere rigettato.

6. Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono dalla violazione dell’art. 345 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel confondere, la rilevabilità d’ufficio in ogni stato del giudizio dell’eccezione di giudicato esterno, con la tardività della produzione documentale con la quale il Ministero dell’Interno aveva portato a conoscenza del collegio giudicante l’esistenza del precedente giudizio sulla medesima domanda del C..

6.1. Il motivo è infondato.

Secondo Sez. U, Sentenza n. 226 del 25/05/2001, Rv. 548189, poichè nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità d’ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell’istanza di parte solo dall’esistenza di una eventuale specifica previsione normativa, l’esistenza di un giudicato esterno, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, e il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Del resto, il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità che è quella prevista dall’art. 2909 c.c., ma corrispondono entrambi all’unica finalità rappresentata dall’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l’autorità del giudicato riconosciuta non nell’interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell’interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi – nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile – per l’intera comunità.

Più in particolare, il rilievo dell’esistenza di un giudicato esterno non è subordinato a una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito (conf., quanto all’insussistenza di preclusioni istruttorie, Sez. L, Sentenza n. 630 del 16/01/2004, Rv. 569467).

Attagliandosi, i principi appena richiamati, alla fattispecie in esame, poichè il Collegio intende dare ad esso continuità – e nessun diverso argomento è stato utilmente offerto in senso contrario dagli scritti depositati dai ricorrenti – il motivo in esame dev’essere rigettato.

7. Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2909 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente il giudicato esterno rispetto alla domanda oggetto del presente giudizio, attesa la non corrispondenza tra gli elementi essenziali della domanda posta a fondamento della pregressa decisione passata in giudicato e quella introduttiva dell’odierno giudizio.

7.1. Il motivo è inammissibile.

Osserva il collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa corte, il ricorrente che agendo in sede di legittimità denunci una violazione di legge riscontrabile attraverso i termini incontestati della fattispecie concreta (là dove l’eventuale carattere controverso di questi ultimi rileverebbe sotto il profilo del vizio motivazionale), ha l’onere di indicare specificamente le circostanze di fatto e i relativi elementi di riscontro probatorio acquisiti nel corso del giudizio, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo dell’effettivo carattere incontroverso dei fatti su cui incide l’errata interpretazione della norma denunciata; un controllo che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione (nella sua consacrazione normativa di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6), la Suprema Corte dev’essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto d’impugnazione, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 17915 del 30/07/2010, Rv. 614538 e successive conformi).

E’ appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, hanno ribadito la necessità dell’assolvimento di oneri di specifica e completa allegazione, ad opera della parte interessata, al fine di consentire al giudice di legittimità di procedere al controllo demandatogli dalle legge (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831).

Nella violazione di tale principio devono ritenersi incorsi i ricorrenti con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che gli stessi, nel dolersi che la corte d’appello abbia erroneamente ritenuto sussistente il giudicato esterno rispetto alla domanda oggetto del presente giudizio (attesa la non corrispondenza tra gli elementi essenziali della domanda posta a fondamento della pregressa decisione passata in giudicato e quella introduttiva dell’odierno giudizio), ha tuttavia omesso di fornire alcuna indicazione circa i documenti (e il relativo contenuto) indispensabili ai fini del confronto dei termini delle due domande, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto.

8. Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa motivazione su un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale totalmente trascurato l’esame della documentazione acquisita agli atti del giudizio (partitamente richiamata in ricorso) attestante il sicuro riconoscimento, ad opera del ministero convenuto, della natura extracontrattuale dell’illecito consumato dall’amministrazione pubblica ai danni dell’originario attore.

8.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Osserva il collegio come costituisca un indefettibile dovere del giudice quello di procedere alla qualificazione giuridica della domanda proposta dinanzi a sè; compito, rispetto al quale le eventuali affermazioni delle parti (asseritamente attestate nella documentazione richiamata dai ricorrenti) non assumono alcuna efficacia vincolante.

Occorre peraltro rilevare come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato ex-tratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Ciò posto, l’odierna doglianza dei ricorrenti deve ritenersi infondata, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì l’omessa valutazione, da parte del giudice a quo, di un fatto implicitamente ritenuto privo di rilevanza o di vincolatività sul piano della costruzione dogmatica della fattispecie, con la conseguente radicale insussistenza dell’omissione denunciata.

9. Con il quinto motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1226, 1227 e 1591 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), in ragione del carattere incontroverso, tra le parti, della circostanza secondo cui il danno subito dagli attori non fosse identificabile nel solo mancato pagamento dei canoni locazione, bensì nei maggiori importi non potuti ricavare, in ragione dell’occupazione sine titolo dell’amministrazione avversaria, dalla conclusione di altri contratti di locazione adeguati alle più favorevoli condizioni di mercato.

9.1. Il motivo è inammissibile.

Osserva il collegio come, attraverso il motivo in esame, i ricorrenti non abbiano provveduto ad articolare alcuna censura critica nei confronti della decisione emessa dalla corte territoriale, essendosi quest’ultima, in accoglimento dell’eccezione di giudicato esterno sollevata dal Ministero dell’Interno, correttamente sottratta al dovere di affrontare il tema dell’entità dell’eventuale risarcimento del danno spettante ai ricorrenti.

In assenza di alcuna concreta (sia pure indiretta) riferibilità alle argomentazioni elaborate nella sentenza impugnata, la doglianza de qua deve ritenersi, pertanto, inammissibilmente proposta.

10. Le argomentazioni che precedono, nel confermare l’insussistenza dei vizi denunciati dai ricorrenti a carico della sentenza impugnata, impongono la pronuncia del rigetto del ricorso e la conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione controricorrente, nella misura di cui al dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione controricorrente, liquidate in Euro 7.800,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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