Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22615 del 25/09/2018

Cassazione civile sez. II, 25/09/2018, (ud. 07/03/2018, dep. 25/09/2018), n.22615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4533/2013 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

STAZIONE SAN PIETRO 45, presso lo studio dell’avvocato DANIELA

SEGNALINI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N., AXA ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5515/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SEGNALINI Daniela, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 24.2.2002 il signor M.F. conveniva in giudizio davanti al tribunale di Roma l’avv. D.A., per sentirlo condannare al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento del mandato professionale conferitogli, avendo il D. omesso l’esecuzione dell’incarico di appellare la sentenza del pretore di Roma che aveva dichiarato il M. responsabile del reato di cui all’art. 367 c.p. e di coltivare il ricorso al Tar Lazio avverso il decreto ministeriale che aveva disposto l’esonero del medesimo M. dal servizio quale agente ausiliario di leva presso la Polizia di Stato.

Il convenuto, costituitosi, resisteva alla domanda e chiamava in manleva la società Axa assicurazioni, la quale eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva, nonchè la mancanza di prova del nesso causale tra il danno lamentato dall’attore e l’inadempimento dal medesimo ascritto al professionista.

Con sentenza n. 5515/2011 la corte d’appello di Roma, confermando la pronuncia del tribunale capitolino, rigettava la domanda proposta dal signor M. e condannava quest’ultimo alla rifusione delle spese di lite nei confronti della Axa assicurazioni s.p.a. e della signora I.N., costituitasi in grado di appello quale erede del defunto avvocato D..

La corte distrettuale, operata una prognosi di esito probabilmente negativo tanto dell’impugnazione della sentenza penale di primo grado che aveva dichiarato il M. responsabile del reato di cui all’art. 367 c.p., quanto dell’impugnazione del decreto ministeriale che aveva disposto l’esonero dal servizio del medesimo M., ha in sostanza escluso il nesso causale tra il danno lamentato dall’attore e la condotta inadempiente da quest’ultimo ascritta al professionista.

Il signor M.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello di Roma sulla scorta di sei motivi; nè la Axa assicurazioni s.p.a. nè la signora I. hanno spiegato attività difensive in questo grado di giudizio.

La causa, chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 20.9.17, per la quale il Procuratore Generale aveva presentato una memoria, è stata rimessa alla pubblica udienza e quindi discussa all’udienza dell’8.3.17, per la quale non venivano depositate memorie e nella quale il Procuratore Generale concludeva come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo di ricorso, indicato con A1 e riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia il vizio di insufficiente, contraddittoria o illogica motivazione della statuizione della sentenza gravata che ha affermato l’insussistenza del nesso causale tra l’inadempimento del professionista ed il danno derivante dal passaggio in giudicato della sentenza penale. In particolare il ricorrente critica la corte capitolina per avere essa effettuato un giudizio prognostico sull’esito del procedimento penale operando un giudizio contro fattuale secondo i principi enunciati da questa Corte (Cass. 21894/04e altre) con riferimento all’accertamento della responsabilità professionale dell’avvocato nell’ambito della giudizio civile, senza, tuttavia, esplicitare le ragioni che l’hanno indotta ad applicare tali principi nella presente controversia, nella quale si tratta di valutare la responsabilità professionale di un avvocato investito di un mandato difensivo nell’ambito del giudizio penale.

Il motivo va giudicato inammissibile perchè denuncia un vizio di insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, ma riferisce la dedotta carenza motivazionale non all’accertamento in fatto operato nella sentenza gravata, bensì alle ragioni per cui la corte territoriale ha ritenuto applicabile nella fattispecie i principi di diritto enunciati in precedenti di legittimità che, secondo il ricorrente, non sarebbero pertinenti alla fattispecie in esame. La censura non rientra quindi nel paradigma fissato dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (vecchio testo), giacchè, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 28054/08, il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, giacchè – ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria – la Corte di Cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 c.p.c., comma 2, deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata.

Col secondo motivo, indicato con A2, si denuncia il vizio di insufficiente illogica o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, anche in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., delle statuizioni con cui la corte territoriale ha ritenuto, con riferimento al giudizio penale, che, se anche la sentenza penale fosse stata appellata, l’appello sarebbe andata incontro al rigetto e, con riferimento al giudizio amministrativo, che, se anche il ricorso al TAR fosse stato coltivato, pur esso sarebbe andato incontro al rigetto.

Anche il secondo motivo è inammissibile perchè la denuncia di insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, non è formulata mediante la deduzione di specifici fatti storici, principali o secondari, su cui la motivazione sarebbe insufficiente, ma si risolve nella riproposizione in questa sede di legittimità dei motivi di appello già disattesi dalla corte di merito, senza alcuna critica specifica delle argomentazioni sviluppate nella sentenza gravata.

Col terzo motivo, indicato con B1 e riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 1034 del 1971, art. 21, applicabile ratione temporis, nonchè dell’art. 24 Cost., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo di poter pronosticare l’insuccesso del ricorso al TAR proposto dal M. avverso il provvedimento che ne aveva disposto l’esonero dal servizio in base al rilievo che l’istanza di sospensiva da costui avanzata era stata disattesa; senza considerare che il rigetto di una istanza cautelare può dipendere anche soltanto dalla ritenuta assenza di periculum in mora. Anche tale motivo va disatteso, perchè risulta privo di pertinenza alla motivazione dell’impugnata sentenza, giacchè non attinge specificamente la ratio decidendi secondo cui “il riferimento all’ordinanza di rigetto dell’istanza di sospensione del provvedimento impugnato riguarda, con ogni evidenza, il fumus boni juris che ne costituisce il necessario presupposto” (pag. 9 della sentenza); la corte di appello ha dunque specificamente ritenuto, con affermazione non specificamente attinta nel mezzo di gravame, che il rigetto, da parte del giudice amministrativo, della sospensiva chiesta dal sig. M. fosse dipeso non dall’insussistenza del periculum in mora ma dalla inconsistenza del fumus boni juris.

Con il quarto motivo, indicato con B2, si denuncia il vizio di illogica, insufficiente o contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa fondando la propria decisione sul rigetto dell’istanza cautelare da parte del TAR, nonostante che detta ordinanza di rigetto non fosse presente in atti. Il motivo è inammissibile perchè introduce una questione nuova; dalla narrativa del processo contenuta nella sentenza gravata (paragrafo 4.4 della sentenza) si evince, infatti, che il M. in appello contestò la rilevanza attribuita dal primo giudice alla ordinanza cautelare del TAR, senza metterne in discussione l’esistenza e il contenuto e, quindi, senza dedurre che la stessa non sarebbe stata valutabile perchè non prodotta.

Con il quinto motivo, indicato con C1 e riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si censura violazione e falsa applicazione degli artt. 1712,1713,2697 c.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ponendo a carico dell’attore, creditore della prestazione, l’onere di provare il persistere dell’interesse all’espletamento del mandato.

Il motivo è inammissibile perchè denuncia un vizio di violazione di legge senza indicare la regula juris applicata dalla corte di appello in contrasto con le disposizioni di cui denuncia la violazione ma, in sostanza, censurando l’accertamento di fatto operato dalla corte territoriale sulla portata della lettera inviata dal ricorrente all’avv. D. il 2.5.2000; nè il motivo sarebbe suscettibile di accoglimento riqualifcandolo, alla stregua dell’art. 360 c.p.c., n. 5 vecchio testo, come denuncia di insufficiente motivazione su fatto decisivo e controverso, con riferimento alla circostanza che nella suddetta lettera il ricorrente aveva chiesto all’avv. D. informazioni non solo sul giudizio penale ma anche (contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale), sul giudizio pendente davanti al TAR. Tale circostanza risulta infatti priva di decisività, alla stregua della ratio decidendi dell’impugnata sentenza (che ha resistito al gravame portato con il secondo, terzo e quarto mezzo di ricorso) secondo cui il ricorso al TAR sarebbe andato incontro al rigetto.

Col sesto motivo (indicato come D) il ricorrente denuncia il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza gravata, ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui, dapprima si rileva il difetto di specificità di alcuni motivi di appello (senza, peraltro, indicarli) e, successivamente, tratta nel merito ogni singola censura, disattendendola. Il motivo è inammissibile perchè estraneo al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il quale, anche nel vecchio testo, costituisce mezzo di censura del ragionamento su cui si fonda l’accertamento in fatto contenuto nella decisione impugnata. Può peraltro aggiungersi che un ulteriore profilo di inammissibilità è rinvenibile nella carenza dell’ interesse alla censura, in quanto la corte ha esaminato nel merito tutti i motivi di appello proposti dall’odierno ricorrente, cosicchè il riferimento all’ inammissibilità di taluni motivi risulta, proprio per la mancata specificazione dei motivi ritenuti inammissibili, privo di effettiva portata decisoria e formulato meramente ad abundatiam.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola.

Non vi è luogo a regolazione di spese, in difetto di attività difensiva degli intimati.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2018

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