Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22615 del 08/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 08/11/2016, (ud. 29/09/2016, dep. 08/11/2016), n.22615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21998-2014 proposto da:

S.S. in qualità di erede di S.D., S.P.

in proprio e quale erede di S.D., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA DOMENICO CHELINI 10, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMILIANO VITO, che li rappresenta e difende giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.F., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE ANICIO GALLO,

194, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO LA GATTUTA, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4284/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO VITO;

udito l’Avvocato FRANCESCO LA GATTUTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.D. e S.P. nel (OMISSIS) intimarono sfratto per morosità a B.F., convenendola dinanzi al Tribunale di Roma.

Il Tribunale di Roma con sentenza 7.11.2012 n. 22781 accolse la domanda di risoluzione e condannò B.F. al pagamento dei canoni insoluti. La Corte d’appello di Roma, adita dalla soccombente, con sentenza 25.7.2014 n. 4284 ritenne non grave l’inadempimento di B.F., e rigettò la domanda.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.P. e S.S., quest’ultimo quale erede dell’originario attore S.D., con ricorso fondato su due motivi.

Ha resistito B.F..

I ricorrenti hanno depositato altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134). Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare il “fatto decisivo”, costituito dalla circostanza che B.F. aveva preteso di sanare la morosità, e poi di adempiere l’obbligo di pagamento dei canoni successivi all’intimazione, attraverso l’invio di vaglia postali. Tali vaglia, tuttavia, non vennero mai accettati dal locatore e non erano previsti come mezzo di pagamento nel contratto.

Concludono osservando che la Corte d’appello, trascurando di considerare i suddetti elementi, non si era avveduta che nella specie non un mero ritardo si era verificato, ma un inadempimento assoluto.

1.2. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello non ha affatto omesso di esaminare la circostanza che la conduttrice pretese di pagare il canone inviando dei vaglia postali: l’ha esaminato, ed ha ritenuto che tanto bastasse, a fronte della ritenuta accettazione da parte del locatore di tale modalità di pagamento, almeno in occasione di una mensilità, per escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’inadempimento e della sua gravità. Il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, quindi, non sussiste.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1182, 1277, 1453, 1455, 1456, 2697 c.c..

Deducono che la Corte d’appello avrebbe commesso i seguenti errori di diritto:

-) ha ritenuto che l’invio d’un vaglia postale potesse avere efficacia solutoria, mentre la legge attribuisce tale effetto solo al pagamento in contanti;

-) ha ritenuto che il pagamento mediante vaglia sia stato accettato dal creditore, mentre ciò era accaduto una sola volta in un anno, e per di più quando il vaglia fu inviato a persona ( S.S.) non legittimata a riceverlo;

-) ha sollevato la debitrice B.F. dall’onere di provare che il creditore avesse rifiutato il pagamento in contanti, e che quindi il ricorso all’impiego del vaglia postale fu una necessità.

2.2. Il motivo è infondato, perchè muove da una non esatta lettura dell’effettivo contenuto della sentenza impugnata.

Questa non ha affatto affermato che l’obbligo di pagamento del canone possa essere adempiuto quomodolibet a mezzo di vaglia postale, nè che l’invio di un vaglia postale costituisce per ciò solo adempimento dell’obbligo di pagamento d’una obbligazione pecuniaria.

Ha ritenuto, invece, una cosa ben diversa: e cioè che le circostanze del caso concreto, unitariamente valutate, dimostravano in capo alla debitrice una “effettiva volontà di adempiere” (p. 7, secondo capoverso, della sentenza impugnata), ed ha di conseguenza escluso che l’inadempimento, quand’anche sussistente, avesse il carattere della gravità di cui all’art. 1455 c.c. (ibidem, p. 6, ultimo capoverso).

Or bene, lo stabilire se l’inadempimento del debitore abbia o non abbia il requisito della “gravità” di cui all’art. 1455 c.c., e possa di conseguenza legittimare la pronuncia di risoluzione del contratto, è un tipico accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in questa sede.

E’ pertanto superfluo, nella presente sede, stabilire in iure se l’obbligo di pagamento del canone possa essere adempiuto mediante vaglia postale, in quanto anche una eventuale risposta negativa non travolgerebbe la sentenza impugnata, la quale non ha escluso la sussistenza dell’inadempimento, ma ne ha escluso la gravità.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe sovrastimato sia le spese di primo che quello di secondo grado.

3.2. Il motivo è infondato.

I ricorrenti muovo dall’assunto che il valore della controversia – in base al quale determinare gli importi dovuti alla parte vittoriosa a titolo di rifusione delle spese di lite – fosse di Euro 1.000, pari alla somma dei canoni non pagati.

L’assunto è erroneo, in quanto il valore della causa andava determinato in misura pari al coacervo dei canoni dovuti per il periodo di locazione in contestazione.

Nel caso di specie:

– il canone mensile era di 500 Euro;

– il primo inadempimento si è verificato a (OMISSIS);

– il contratto sarebbe scaduto a (OMISSIS).

Il valore della causa, pertanto, era di 25.500 Euro, in virtù del principio già affermato da questa Corte, secondo cui il valore della domanda di risoluzione per inadempimento d’un contratto di locazione è rappresentato dall’ammontare dei canoni del residuo periodo della locazione che la domanda dell’attore mira a far cessare anticipatamente (Sez. 2, Sentenza n. 1467 del 23/01/2008, Rv. 601182).

3.3. Ciò posto in diritto, si rileva in fatto che, per quanto attiene il giudizio di primo grado, la misura delle spese doveva essere liquidata applicando il D.M. 20 luglio 2012, n. 140, vigente ratione temporis.

Tale decreto prevede, per le cause di valore compreso tra 25.001 e 50.000 Euro, un valore massimo dei compensi pari ad 8.280 Euro. La Corte d’appello, avendo liquidato Euro 7.254, non ha dunque violato il massimo tabellare. Stabilire, poi, se nella specie dovessero applicarsi le misure massime, medie o minime dei compensi previsti dal D.M. n. 140 del 2012 è valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito, e non sindacabile in questa sede.

3.4. Per quanto attiene il giudizio di secondo grado, la liquidazione delle spese è disciplinata dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, il quale per le cause di valore fino a 26.000 Euro prevede un compenso massimo di Euro 10.309. Avendone la Corte d’appello liquidati 9.515, non sussiste la violazione del D.M. n. 55 del 2014.

4. Le spese.

4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna S.P. e S.S., in solido, alla rifusione in favore di B.F. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 1.700, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di S.P. e S.S., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terzsa civile della Corte di cassazione, il 29 settembre 2016;

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016

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