Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22609 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/09/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 10/09/2019), n.22609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTO Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26888-2018 proposto da:

N.S.B., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ENNIO CERIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 2021/2017 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO,

depositato il 10/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

Il Tribunale di Campobasso, con il decreto depositato il 10/8/2018 in epigrafe indicato, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da N.S.B., proveniente dal Senegal, dichiaratosi cittadino ivoriano. Questi ha proposto ricorso per cassazione il 7/9/2018 con un mezzo. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con l’unico motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, lamentando che l’esame delle domande del richiedente non era avvenuto previa acquisizione e considerazione di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale esistente nel Senegal, nell’assolvimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria posto in capo alle autorità decidenti.

Si sostiene, quindi, che l’inverosimiglianza del racconto del richiedente circa le ragioni del suo allontanamento dal Paese di origine non possono essere motivo di esclusione della protezione sussidiaria quando la situazione del Paese è fuori dal controllo delle autorità statuali, senza la necessità di una individualizzazione della minaccia o del pericolo.

La doglianza è rivolta anche al mancato riconoscimento della protezione umanitaria: a dire del ricorrente il Tribunale non avrebbe valutato la ricorrenza di una situazione di temporanea impossibilità di rimpatrio a causa dell’insicurezza del Paese non riconducibile nelle previsioni previste per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

2. Il motivo, che prospetta plurimi profili di doglianza, è inammissibile.

Va osservato che il ricorso non risponde ai requisiti richiesti dall’art. 366 c.p.c. giacchè le prospettazioni, del tutto assertive ed astratte, non si confrontano affatto con la motivazione e l’iter logico/giudiridico seguito nella statuizione impugnata, pretermessa nel motivo.

Invero, il Tribunale ha ripercorso il racconto del ricorrente che aveva riferito alla Commissione di avere lasciato il suo Paese a seguito di minaccie da parte del gruppo religioso degli Ibadou che lo avevano intimidito per fargli abbandonare la religione mussulmana e farsi cedere un terreno di famiglia – e ne ha messo in evidenza la genericità e la inverosimiglianza in merito ai fatti, narrati senza una minima chiarezza circa il tipo di minacce ricevute e le specifiche e circostanziate ragioni delle stesse, concludendo per la totale inverosimiglianza dello stesso. Ha inoltre rimarcato che il Senegal non rientra tra i Paesi caratterizzati da un conflitto al livello di guerra civile e che il rapporto Amnesty International 2017/2018 non aveva evidenziato specifici episodi di conflitto armato.

Il motivo, quantunque prospetti una violazione di legge, non si confronta affatto con la statuizione impugnata, ma si limita a proporre precedenti giurisprudenziali ed invocare in modo generico l’applicazione delle norme senza illustrare -con riferimento alla concreta fattispecie – in cosa sia consistita la violazione attribuita al giudicante di merito (Cass. n. 5001 del 02/03/2018; Cass. n. 24298 del 29/11/2016).

In realtà appare inteso a promuovere una rivisitazione dell’apprezzamento di fatto operato dal decidente di merito, nell’auspicio che una nuova interpretazione dei dati salienti della vicenda possa condurre ad un esito conclusivo del giudizio più favorevole di quello fatto segnare dal Tribunale, senza nemmeno puntualmente contestare quanto accertato in fatto dal giudice del merito.

A ciò va aggiunto che il ricorrente vanamente invoca l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente la protezione, desumibile dal D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3, comma 5 in particolare, avendo l’interessato pur sempre l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda (art. 3, comma 5, lett. a), solo nel quale caso (e in presenza delle ulteriori condizioni poste dalla norma) è possibile considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, che integra la ratio decidendi della sentenza impugnata, costituisce un apprezzamento di fatto che è riservato al giudice di merito, al quale compete di valutare se le dichiarazioni del richiedente la protezione siano coerenti e plausibili (lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. n. 27503 del 30/10/2018) e che è censurabile in cassazione esclusivamente sul piano motivazionale (Cass. n. 3340 del 5/2/2019).

Inoltre, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925 del 27/06/2018)

La sentenza impugnata ha comunque accertato, – dando conto della fonte consultata, contrariamente a quanto assume il ricorrente che, peraltro, manca di indicare altre fonti e di precisare quando ed in che termini siano state sottoposte al giudice del merito, – l’insussistenza di condizioni di insicurezza in Senegal, idonee ad integrare le fattispecie legali per il riconoscimento della protezione internazionale, con riguardo sia al pericolo di atti persecutori nei suoi confronti, sia alla violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, sia implicitamente al rischio di subire la violazione dei diritti fondamentali. Si tratta, anche in tal caso, di un apprezzamento di fatto, con il quale è stata esclusa la sussistenza delle condizioni sostanziali per il riconoscimento della protezione richiesta, che impropriamente il ricorrente vorrebbe sovvertire.

Quanto alla richiesta di protezione umanitaria, in disparte dagli effetti del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 10 dicembre 2018, n. 132, art. 1, comma 1, risulta dirimente il difetto di qualsivoglia allegazione individualizzante in punto di vulnerabilità, senza che la insussistenza dei presupposti accertata dal Tribunale trovi una adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo di ricorso.

Resta da aggiungere che la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari e di ragioni di vulnerabilità diverse da quelle poste a base della richiesta di altre forme di protezione non può esser surrogata dalla situazione generale del Paese, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla spese per assenza di attività difensive della controparte.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 10 settembre 2019

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