Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22604 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/09/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 10/09/2019), n.22604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTO Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8046-2018 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA PLAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONINO NOVELLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

RO/L/, VIA Dlii PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE, DELLO

STATO che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 14689/2017 del TRIBUNALE di PALERMO,

depositato il 24/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/05/2019 dal Presidente Relatore Dott.ssa DI

VIRGILIO ROSA MARIA.

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto del 24/1/2018, comunicato in pari data, il Tribunale di Palermo ha rigettato il ricorso proposto da M.F. per ottenere la protezione internazionale, nonchè in subordine, la protezione umanitaria, rilevando che, anche a prescindere da ogni valutazione di inattendibilità della narrazione del ricorrente (che, di nazionalità pakistana, proveniente dal distretto di Punjab, in Pakistan, aveva dichiarato: di essere di religione musulmana-sunnita; di avere lasciato nel 2014 il paese di origine temendo per la propria incolumità, per avere ricevuto minacce da degli imam durante il tragitto col taxi dallo stesso condotto, per ascoltare musica in macchina; che gli imam avevano bruciato il taxi, minacciandolo ed inseguendolo sino a casa; di avere perso la proprietà e la casa a causa degli imam, che collaboravano con gruppi islamici; di non avere denunciato l’accaduto, in quanto gli aggressori avevano rapporti con la polizia locale, di avere lasciato il suo Paese il 3/6/2014; di avere presentato domanda di protezione internazionale in Germania, ma di essere venuto in Italia prima di fare l’intervista), i fatti denunciati erano circoscritti ad un determinato territorio, non riconducibili a ragioni legate alla religione o all’impegno sociale o politico, ma collegati ad una ritorsione riferita ad episodio specifico risalente nel tempo, da cui la reiezione della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato.

Il Tribunale ha escluso le condizioni per l’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria, non ravvisando pericolo di danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, avuto riguardo alle più aggiornate notizie sull’attuale contesto socio-politico-religioso del Pakistan ed in particolare della regione di provenienza, il Punjab, ricavabili dai documenti elaborati dalle più accreditate organizzazioni internazionali non governative nonchè dalle informazioni raccolte dall’EASO, da cui risulta che la situazione di generale insicurezza è propria di altre regioni del Pakistan, ed è significativamente minore nel Punjab, dove peraltro i soggetti destinatari di episodi di aggressione terroristica appartengono alla religione musulmana sciita (rapporti Amnesty International e i, da ultimo, il rapporto del 12/1/2017 dello Human Rights Watch).

Infine, è stata esclusa la protezione umanitaria, avuto riguardo all’età del ricorrente, all’assenza di comprovate patologie non suscettibili di adeguato trattamento nel Paese di origine, nè sussistendo alcuna prova di inserimento e radicamento nel tessuto sociale dello Stato italiano.

Ricorre avverso detta pronuncia il M.F. con due mezzi.

Il Ministero ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Col primo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); sostiene che la scelta del Tribunale di circoscrivere alla zona abitata dal ricorrente l’indagine sull’esistenza del conflitto armato è errata, sulla scia di quanto chiarito dalla Corte di giustizia e dalla pronuncia Cass. 15781/2014, non potendosi ordinare al ricorrente un rientro “mirato” nel Paese di origine; inoltre, i riferimenti del Tribunale al rapporto Easo sono imprecisi e generici (si veda detto rapporto alle pagine 46-48), ed inoltre sono state trascurate altre fonti, da cui risulta una incontestata situazione di violenza indiscriminata in diverse aree e regioni del Pakistan, ed è mancato l’esame dell’intervento delle autorità statuali sulle situazioni di violenza diffusa.

Col secondo, si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, misura atipica e residuale, apoditticamente non concessa dal Tribunale.

Ciò posto, e premesso che è inammissibile il riferimento nei due motivi alla violazione dell’art. 112 c.p.c., dato che non sussiste in ogni caso omissione di pronuncia, va rilevato che a base del primo motivo, il ricorrente si duole del fatto che la valutazione del Tribunale, ai fini del riscontro di una situazione di violenza indiscriminata in uno stato di conflitto armato, è avvenuta sulla base di dati parziali e fuorvianti.

Ora, posto che la valutazione del Tribunale è correttamente rivolta alla zona di provenienza del ricorrente, mentre è del tutto incongruo il riferimento alla pronuncia 15781/2014, che ha affermato l’impossibilità di negare protezione per il solo fatto che la parte potrebbe andare a vivere in zona diversa e più

sicura del suo Paese, le doglianze del ricorrente si sostanziano nella mera richiesta di riesame del merito, a fronte di una valutazione cicostanziata, supportata da fonti di informazione riconosciute. Nè è mancato l’esame dell’effettivo contrasto delle istituzioni interne alle forme di violenza e terrorismo (che anzi, purtroppo, si configura come rischio generico); il Tribunale ha altresì verificato l’assenza di “sfollamento indotto da conflitti delle aree del Punjab”, registrando il fenomeno inverso, di migrazione interna verso detta regione da parte di sfollati provenienti dalle FATA e dalle regioni limitrofe.

Il secondo motivo è inammissibile.

Quanto alla protezione umanitaria, il ricorrente si è limitato a delle indicazioni meramente generiche, sulla natura della protezione umanitaria, dolendosi in via del tutto apodittica della motivazione resa a riguardo dal Tribunale di Palermo, che, come si è già detto, ha precipuamente indicato le ragioni del rigetto.

La rilevata inammissibilità del motivo esonera il Collegio dal prendere posizione in relazione all’immediata applicabilità o meno della normativa di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, ben consapevoli che su detta questione è stata disposta da questa Sezione la rimessione alle Sezioni unite, dopo la pronuncia 4890/2019.

Conclusivamente, va respinto il ricorso.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2100,00, oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019

Depositato in cancelleria il 10 settembre 2019

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