Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22604 del 10/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/08/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 10/08/2021), n.22604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

D.M., rappr. e dif. dall’avv. Rossella Dadea,

rossella.dadea.pec-ordineavvocatiancona.it e dall’avv. Romolo

Donzelli romolodonzelli.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso

il suo studio professionale, in Fabriano (AN), via Cialdini n. 42,

come da procura in calce all’atto (il primo difensore) e altra

procura a margine di memoria di costituzione di nuovo difensore (il

secondo);

– ricorrente –

Contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., in persona del Curatore Fallimentare

p.t., rappr. e dif. dall’avv. Pier Francesco Valdina, elett. dom.

presso lo studio dell’avv. Carlo de Marchis,

carlo-demarchis.ordineavvocatiroma.org, come da procura in calce

all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Perugia 23.7.2019, n. cron.

550/2019, in R.G. 4756/2018.

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 20 aprile 2021 dal Consigliere Relatore FERRO

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. D.M. impugna il decreto Trib. Perugia 23.7.2019, n. 550/2019, in R.G. 4756/2018 che ne ha parzialmente accolto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.p.a. (FALLIMENTO), così ammettendo la stessa per 13.566 Euro, oltre accessori, in privilegio ex art. 2751-bis c.c., n. 2, per compensi professionali ed Euro 2.034,90, in chirografo, per spese generali;

2. il tribunale ha premesso che: a) la ricorrente, avvocato, aveva insinuato, in prededuzione, un credito a titolo di prestazioni professionali, rese in favore della società in concordato preventivo dal 29.12.2016 fino al 7.12.2017, data di dichiarazione di fallimento;

b) l’attività era stata svolta su incarico del liquidatore e dell’assemblea degli azionisti, senza richiesta di autorizzazione del giudice delegato, non trattandosi di amministrazione straordinaria;

c) il giudice delegato aveva escluso il credito tanto per difetto di opponibilità alla massa di “prestazioni svolte in antagonismo alla stessa” (sulla scorta di eccezione del curatore in punto di assistenza alla società nel procedimento di risoluzione del concordato), quanto per difetto di prova delle prestazioni stragiudiziali e di “utilità dei risultati raggiunti”;

3. il tribunale ha ritenuto che: a) l’attività stragiudiziale svolta, in quanto non effettuata su incarico degli organi concorsuali, non supportata da documenti di data certa, enunciata quanto ad iniziative (quali contatti con creditori per rinegoziare i debiti) non necessitanti del ministero del legale, già tipologicamente era estranea alla nozione corrente della funzionalità, interferendo anzi per sovrabbondanza o superfluità – anche con le attività dei commissari e liquidatori giudiziali, ciò rendendo irrilevante la prova per testi e inducendo ad escludere il credito; b) l’attività giudiziale di assistenza nei procedimenti di risoluzione e fallimento, pur conforme alle necessità tecniche di difesa ed effettivamente commessa dalla società, non poteva dar vita alla prededuzione (per mancanza di collegamento con le funzioni del concordato) e andava pertanto considerata come titolo per un credito privilegiato, riducendo l’importo in base al parametro di valore indeterminabile;

4. la ricorrente deduce quattro motivi: a) la violazione della L. Fall., art. 111, comma 2, e dell’art. 24 Cost., avendo il tribunale omesso di utilizzare il criterio della funzionalità delle prestazioni stragiudiziali rispetto alle finalità del concordato, errando nella qualificazione di superfluità delle stesse, con omesso esame, quali fatti decisivi, di risultati dell’attività professionale a beneficio della massa dei creditori, rientranti in un’appostazione generale del piano e con data certa; b) la violazione della L. Fall., artt. 111 e 111 bis, art. 2751 bis c.c., n. 2, D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 19 e art. 21, commi 2 e 3, nonché il vizio di motivazione, in punto di attività giudiziale, avendo erroneamente il tribunale considerato le azioni promosse “in antagonismo della procedura”, violando i parametri tabellari, non riconoscendo il privilegio sulle spese generali e la prededuzione al credito; c) la violazione della L. Fall., art. 99, e degli artt. 24 e 111 Cost., anche come vizio di motivazione, ove il tribunale ha deciso di non ammettere le prove testimoniali perché “irrilevanti”, avuto riguardo ai documenti ritenuti privi di data certa; d) la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere il tribunale disposto la compensazione delle spese, omettendo di applicare il principio di soccombenza;

5. al ricorso si contrappone il fallimento con controricorso; il ricorrente ha anche depositato memoria, al pari del controricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile, per plurimi profili; non appare in primo luogo idoneamente contestata la ratio decidendi con cui il decreto ha negato che l’attività stragiudiziale svolta rientrasse nel piano di concordato, essendosi sul punto limitato il ricorso al mero richiamo di un’appostazione prudenziale ad un generico “fondo spese di giustizia per proposizione c.p. per un importo di Euro 500.000”, del quale non viene predicato in modo più specifico (Cass. 18118/2020) l’eventuale estensione anche alle prestazioni dedotte, dunque oltre quelle, ben più tipiche, connotative dell’attività professionale di assistenza giudiziale connessa all’introduzione del processo di concordato e alle sue fasi giudiziali o quelle prodromiche; pari considerazione va ripetuta per l’ancor più generico “fondo accantonamento oneri di procedura e rischi”, difettando decisivamente – ogni illustrazione dell’atto introduttivo concordatizio; l’omissione, già di per sé, dà peraltro conto della coerenza, anche sotto il profilo della infondatezza, del decreto, in ragione del principio – cui va data continuità – per cui “in tema di prededuzione in sede fallimentare, la L. Fall., art. 111, comma 2, considera prededucibili i crediti “sorti in occasione o in funzione” delle procedure concorsuali, individuandoli, alternativamente, sulla base di un duplice criterio, cronologico e teleologico. Tuttavia, affinché un credito sia ammesso in prededuzione, non è sufficiente che lo stesso venga a maturare durante la pendenza di una procedura concorsuale, essendo presupposto indefettibile, per il riconoscimento della prededucibilità, che la genesi dell’obbligazione sia temporalmente connessa alla pendenza della procedura medesima e che, comunque, l’assunzione di tale obbligazione risulti dal piano o dalla proposta” (Cass. 18488/2018);

2. in secondo luogo, osserva il Collegio l’inammissibilità, per i limiti della concomitante censura sul vizio di motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), della generica critica al giudizio di sovrabbondanza e superfluità delle prestazioni extragiudiziali dedotte, appartenendo il relativo apprezzamento alle valutazioni spettanti al giudice di merito che ne ha dato conto con sufficienze chiarezza; in motivazione è invero enunciato che si è trattato di attività interferenti con quelle dei commissari e liquidatori, non strettamente necessitanti del ministero del legale, prive di relazione utile con i compiti direttamente affidati agli organi della procedura e benché non fosse indispensabile un’autorizzazione; il giudizio sulla carenza di funzionalità è dunque immune da censure, stanti i limiti di deducibilità del vizio, nel quale si è sostanziata la formale violazione di legge, per come esposta; divengono perciò assorbiti gli altri profili di doglianza;

3. il secondo motivo è inammissibile; anch’esso omette di confrontarsi con la statuizione principale resa sul punto dal tribunale, ove ha qualificato “antagonistica” l’attività giudiziale di resistenza intrapresa dal debitore nei procedimenti volti alla risoluzione del concordato e alla dichiarazione di fallimento (poi pronunciate); la censura invoca un’inesistente regola di presunzione della funzionalità, ai sensi della L. fall., art. 111, della prestazione professionale sol perché espletata durante il concordato e su richiesta del debitore, errando laddove – trattandosi di evidente iniziativa assunta da quest’ultimo e senza raccordo con gli organi della procedura – l’onere di ricondurre l’attività svolta a prova di adeguatezza finalistica rispetto ai compiti della procedura è a carico di chi, nel successivo fallimento, ne pretenda la coerenza con gli scopi istituzionali del concordato, cioè la ristrutturazione dei debiti per un alternativo soddisfacimento dei creditori; il mero richiamo in questa sede ad una generica efficacia conservativa dei citati procedimenti appare, all’opposto, in contrasto di per sé con l’interesse della massa dei creditori, consistente, in ogni caso di denunciato difetto genetico o funzionale della causa concordataria, nella più pronta instaurazione del regime concorsuale appropriato in base alla reale consistenza dell’impresa e alle effettive possibilità di gestione dell’insolvenza;

4. la ulteriore censura circa l’erroneità di riferimento tabellare quanto al valore delle controversie trattate non appare assistita da specificità, così impedendo ogni controllo di correttezza dei parametri applicati; mentre quanto all’estensione del privilegio anche al credito per spese generali il ricorso non indica alcuna base normativa diretta, né potendosi in materia – come noto – invocare la regola analogica (Cass. 17396/2005), posto che anche un’interpretazione estensiva non risulta stimolata dalla dilatazione dell’art. 2751-bis c.c., n. 2, operata dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 474, che invero ha ampliato la fattispecie astratta ai ben diversi crediti, di implicazione anche pubblicistica, come l’IVA di rivalsa e il contributo alla Cassa previdenziale; va così ripetuto che “l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa” (Cass. s.u. 23745/2020);

5. il terzo motivo è assorbito in considerazione delle ragioni reiettive dei primi due; il quarto motivo appare infondato, posto che il decreto ha dato conto della significatività della residua soccombenza, anche sul piano quantitativo, della originaria domanda di credito, già per tale via ampiamente giustificando la compensazione delle spese, ulteriormente poggiante sulla controvertibilità delle questioni trattate, giudizio di merito in questa sede incensurabile; il decreto, anche sul punto, appare conforme al perimetro dell’art. 92 c.p.c., per come allargato, oltre tutto, dalla pronuncia di illegittimità costituzionale nel testo modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 11 (convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162), nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni (Corte Cost. 77 del 2018);

il ricorso va, pertanto, rigettato; ne consegue, oltre alla condanna alle spese regolata secondo il principio della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 5.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese nella misura del 15% e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021

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