Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22602 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/09/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 10/09/2019), n.22602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTO Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6695-2018 proposto da:

GILANI SAYED ALI HUSSAIN SHAH, elettivamente domiciliato in ROLLA

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLIERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO NOVELLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (CF. (OMISSIS));

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 2090/2017 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA,

depositato il 09/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/05/2019 dal Presidente Relatore Dott.ssa DI

VIRGILIO ROSA MARIA.

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto del 9/1/2018, comunicato in pari data, il Tribunale di Caltanissetta ha rigettato il ricorso proposto da G.S.A.H.S. per ottenere la protezione internazionale nelle forme del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, nonchè in ulteriore subordine, la protezione umanitaria, rilevando la presenza di elementi di scarsa credibilità della narrazione dello straniero (che, di nazionalità pakistana, aveva dichiarato di avere aperto, dopo la morte del padre, un negozio nel villaggio di Basan, presso il quale si rifornivano i mujaheddin; che, essendosi rifiutato di entrare nel campo di questi, era stato costretto ad accedervi e, al rifiuto di combattere con loro, era stato picchiato; di essere quindi fuggito per tale ragione, temendo di essere ucciso dai mujaheddin)per non avere riferito nulla di preciso sull’attività svolta dai mujaheddin nei campi, per essersi contraddetto nel riferire di essere fuggito per evitare di rimanere coinvolto coi mujaheddin e poi di temere di essere dagli stessi ucciso per essersi a loro ribellato.

Da ciò consegue, secondo il Tribunale, la reiezione della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, non avendo riferito il ricorrente di alcun conflitto armato nella zona di provenienza e visto il rapporto EASO 2017 sul Pakistan, con riferimento alla regione di provenienza dell’Azad Kashmir.

Quanto alla richiesta di protezione umanitaria, il Tribunale ha ritenuto che non erano state neppure dedotte condizioni specifiche di vulnerabilità.

Ricorre avverso detta pronuncia il ricorrente con tre mezzi.

Il Ministero non svolge difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Col primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5; sostiene che il giudizio di veridicità deve essere integrato dalle informazioni assunte relative alla condizioni generali del paese quando il quadro complessivo non sia esauriente, ma sia positivo il giudizio di veridicità intrinseco; sostiene la piena compatibilità della narrazione con la situazione attuale del Pakistan, quale risultante dal rapporto 2017 di Amnesty International; contesta la valutazione di scarsa attendibilità fornita dalla parte. Col secondo, si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); sostiene che il riferimento al rapporto EASO 2017 è parziale e fuorviante, non considerando che la situazione alla Linea di controllo che divide il Kashmir si è intensificata ed è rimasta instabile, e che il ricorrente è originario del distretto di Kotli, che si trova all’interno della LOC, linea di controllo, e sono state ignorate dal Tribunale autorevoli fonti di informazione, citate ed allegate in ricorso di primo grado.

Col terzo, si duole del mancato esame dei requisiti richiesti per la concessione della protezione umanitaria, in particolare della situazione di vulnerabilità.

Ciò posto, e premesso che è infondato il riferimento nei tre motivi alla violazione dell’art. 112 c.p.c., dato che non sussiste in ogni caso omissione di pronuncia, va rilevato che a base del ricorso, in fatto, è posto in rilievo che il ricorrente è originario del distretto di Kolti, che rimane all’interno della cd.LOC, linea di controllo, e si afferma che sempre lungo tale linea, a 300 km ad est, si trova il villaggio dove lo stesso si era trasferito, rispetto al quale va valutata la situazione del Paese di provenienza.

Ora, il Tribunale ha motivatamente ritenuto scarsamente attendibile la narrazione del ricorrente evidenziando anche che questi era transitato in Paesi Europei, Grecia, Ungheria ed Austria e non aveva presentato domanda di asilo. Nel ricorso, la parte, che di contro adduce la piena verosimiglianza della propria narrazione e contesta la ritenuta scarsa attendibilità (dando peraltro una lettura riduttiva dei punti evidenziati a riguardo dal Tribunale e non considerando il rilievo della previa presenza in altri Stati Europei), sostiene che il giudizio di veridicità deve sempre essere integrato dall’assunzione d’ufficio delle informazioni sulle condizioni del Paese di origine, e che nella zona al confine tra Pakistan ed India si riscontra una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica, essendo peraltro notorio che l’autorità del Pakistan non siano in grado, o non ritengano opportuno, proteggere i propri cittadini, come risultante dal rapporto Amnesty 2017.

Ciò posto, si osserva che il ricorrente non ha in ogni caso dedotto di avere fatte valere nel giudizio di merito specifici fatti idonei, almeno in tesi, a far ritenere una situazione di violenza indiscriminata nel Paese di provenienza, di talchè sotto tale profilo è riscontrabile una carenza di allegazione(e si veda, inoltre, l’orientamento secondo il quale la non credibilità della narrazione del ricorrente precluderebbe di per sè la configurabilità anche di detta ipotesi, come ritenuto, tra le ultime, nella pronuncia 33139/2018, che ha affermatòV rt) che, in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria; si veda anche la precedente ordinanza 33096/2018, che ha affermato che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; in relazione alla protezione sussidiaria, essa ha ad oggetto sul piano dell’onere di allegazione tutto ciò che è contenuto nel paradigma dell’art. 14, trattandosi di norma tesa a distinguere il concetto di “danno grave” secondo i diversi profili di cui alle lett. a), b) e c).; ne consegue che, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi).

Nel resto, nei primi due motivi la parte si limita a contestare la valutazione operata dalla Corte d’appello e a riportare una diversa considerazione della zona LOC, che, per quanto sopra esposto, deve ritenersi inammissibile, in quanto sostanziantesi in una mera prospettazione di merito, differente da quella motivatamente ritenuta dal Tribunale.

Quanto alla protezione umanitaria, è sufficiente rilevare la palese genericità del motivo, che si limita a richiamare la natura atipica e residuale ed il fatto di avere basato la richiesta di detta forma di protezione sulle medesime situazioni fatte valere ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria: in tal modo, è rimasto incensurato il rilievo della mancata deduzione di specifiche ragioni di vulnerabilità, che il Tribunale ha posto a base della reiezione della domanda in oggetto.

Ne consegue l’inammissibilità del mezzo, che rende pertanto superflua la valutazione dell’immediata applicabilità o meno della normativa di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, sul quale profilo è stata disposta da questa Sezione la rimessione alle Sezioni unite, dopo la pronuncia 4890/2019.

Conclusivamente, va respinto il ricorso; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2100,00, oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 10 settembre 2019

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