Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22600 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/09/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 10/09/2019), n.22600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29058-2018 proposto da:

H.R. elettivamente domiciliato in Rom, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ENNIO CERIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 2541/2017 del ‘l’RIBUN:ALF di CAMPOBASSO,

depositato il 28/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, con decreto n. 1845/2018, ha respinto la richiesta di H.R., cittadino del Bangladesh, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, il Tribunale ha osservato che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per ragioni esclusivamente economiche ed ereditarie, in relazione alla proprietà di un terreno ereditato dal medesimo, alla morte del padre e conteso dai cugini) non integrava i presupposti per la chiesta protezione internazionale e presentava numerose contraddizioni intrinseche (sulla composizione della propria famiglia, sull’epoca in cui avrebbe lasciato il Bangladesh e sulle modalità di allontanamento), cosi da renderla totalmente inattendibile; quanto alla protezione sussidiaria, il Paese di provenienza del richiedente (il Bangladesh) non era interessato da conflitti armati interni ma solo da una generica situazione di tensione politica (come riferito dall’ultimo rapporto di Amnesty International e dal “sito della Farnesina”).

Avverso il suddetto decreto, H.R. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione). E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, non avendo il giudice di merito attivato l’obbligo di cooperazione istruttoria in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria ed alla verifica delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); con il secondo motivo, si lamenta poi, in relazione alla richiesta di protezione umanitaria, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonchè della Circolare n. 3716/2015 della Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo, in relazione alla richiesta di protezione umanitaria, non avendo il Tribunale approfondito la situazione di insicurezza e di compromissione dei diritti fondamentali del paese d’origine, e, con il terzo motivo, si denuncia altresì l’omessa pronuncia sulla richiesta di protezione umanitaria, ex art. 360 c.p.c., n. 4, in violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il Tribunale omesso di pronunciarsi sulla domanda di protezione umanitaria.

2. La prima censura è inammissibile.

Il Tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni del ricorrente, in merito alle motivazioni che l’avrebbero costretto a lasciare il paese di origine, fossero inidonee a giustificare il riconoscimento di una misura di protezione, in quanto del tutto estranee ai presupposti richiesti dalla legge. In sostanza, il Tribunale ha ritenuto del tutto vago e generico il rischio allegato, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine. Vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Inoltre, come già rilevato da questa Corte (Cass.19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introdutttvo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se ne/la materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 cit., art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicchè “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale”. Da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. anche (Cass. 27503/2018 e Cass.29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018). Inoltre, come chiarito da questa Corte (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sullo stato e tutela dei diritti umani in Bangladesh, senza spiegare neppure l’incidenza di tali fatti nella fattispecie in esame.

3. Il secondo motivo, implicante vizio di violazione di legge, ed il terzo motivo, inerente l’omessa pronuncia sulla domanda di protezione umanitaria, sono inammissibili.

Il Tribunale, a pag. 3 della motivazione, ha osservato che dalla audizione era emerso che il richiedente aveva lasciato il proprio Paese d’origine per ragioni esclusivamente economiche, “che non si riferiscono ad alcun elemento di vulnerabilità collegato alle forme di protezione esistenti normativamente”, e si è poi pronunciato, respingendo il ricorso, sulla totale richiesta di protezione, formulata dal richiedente, inclusa quella per ragioni umanitarie.

Ora, non risultano indicate in ricorso ulteriori ragioni, specifiche ed individualizzate, di vulnerabilità, che fossero state allegate nel merito, diverse da quelle già esaminate in relazione alle altre, maggiori, misure di protezione richieste (essenzialmente, la protezione sussidiaria). Infatti, nel secondo motivo, si fa solo riferimento, generico ed astratto, ai presupposti della temporanea impossibilità di rimpatrio del richiedente a causa dell’insicurezza del paese e della zona di origine; nel terzo motivo, si lamenta la mancanza di un’adeguata ed approfondita valutazione della “situazione prospettata dal ricorrente e della sua connaturata vulnerabilità”, con riguardo sia al Paese d’origine ed alla Libia (paese di transito), ma la ritenuta inattendibilità delle circostanze evidenziate ai fini delle misure di protezione maggiori non può non rilevare anche ai fini della umanitaria.

4.Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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