Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 226 del 09/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 09/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.09/01/2017),  n. 226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4719/2016 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICCARDO

LANTE GRAZIOLI 16, presso lo studio dell’avvocato SUSANNA CHIABOTTO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BONAIUTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– resistente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia, depositato il

settembre 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30

novembre 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Massimo Silvestri con delega.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la Corte d’appello di Perugia ha dichiarato inammissibile il ricorso depositato il 21 giugno 2011, in riassunzione di quello depositato il 16 settembre 2008 presso la Corte d’appello di Roma poi dichiaratasi incompetente, con il quale S.F. ha chiesto la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dell’indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, per la irragionevole durata di un giudizio svoltosi dinnanzi alla Corte dei conti; giudizio iniziato con ricorso depositato il 15 giugno 1977 e definito con sentenza depositata il 16 ottobre 2006;

che la Corte d’appello ha ritenuto che il termine di proposizione della domanda decorresse dalla data del deposito della sentenza di primo grado che aveva definito il giudizio, non potendosi avere riguardo al termine triennale previsto per la revocazione delle sentenze di appello; che per la cassazione di questo decreto S.F. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo;

che il Ministero intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione alla udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 89 del 2001, art. 4 e del R.D. n. 1214 del 1934, art. 68, lett. a), sostenendo che nell’ordinamento della giurisdizione contabile si ritiene che la revocazione ordinaria sia proponibile anche nei confronti della sentenza di primo grado, allorquando si facciano valere vizi non deducibili con l’atto di appello;

che il ricorso è infondato, alla luce del principio per cui “in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, ove la violazione del termine di ragionevole durata del processo si verifichi in un giudizio pensionistico svoltosi dinanzi alla Corte dei Conti e definito con sentenza della sezione regionale contro la quale non sia proposto appello, il termine di decadenza per proporre la domanda di cui della citata L. n. 89 del 2001, art. 4, decorre dalla data di scadenza del termine per proporre appello, poichè, al compimento di quest’ultimo, la sentenza pronunciata dalla predetta sezione, al pari di quella del giudice ordinario, acquista autorità di cosa giudicata formale ai sensi dell’art. 324 c.p.c., non potendo essere più impugnata con un mezzo ordinario, in quanto il rimedio di revocazione ordinaria previsto dal R.D. 12 luglio 1933, n. 1214, art. 68, lett. a), è esperibile solo nei confronti delle sentenze emesse in unico grado o in grado di appello, mentre l’errore di fatto revocatorio relativo ad una sentenza appellabile, in applicazione dei principi generali, si converte in motivo di nullità del provvedimento che deve essere dedotto proprio con l’appello” (Cass. n. 9843 del 2012);

che, d’altra parte, si è di recente affermato che “in caso di irragionevole durata del giudizio di appello della Corte dei conti, la domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 (nel testo originario, applicabile ratione temporis), può essere proposta anche all’esito del giudizio di revocazione ordinaria, sempre che questo sia stato introdotto entro sei mesi dal deposito della sentenza che ha concluso il giudizio presupposto, essendo irrilevante, perchè assolutamente straordinario, il termine di tre anni previsto per la revocazione dal R.D. n. 1214 del 1934, art. 68 (Cass. n. 25179 del 2015);

che, nella specie, il decreto impugnato si sottrae alle proposte censure, atteso che correttamente ha ritenuto che il termine di proposizione della domanda di equa riparazione dovesse decorrere dal deposito della sentenza di primo grado, e che, in ogni caso, il ricorrente non avrebbe potuto beneficiare del prolungamento di detto termine per effetto della proponibilità della revocazione ordinaria; con la precisazione che il ricorrente non ha in alcun modo dedotto di essersi avvalso della detta possibilità;

che il ricorso deve essere quindi respinto;

che non avendo la difesa erariale svolto effettiva attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione; che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al T.U. approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2. della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2017

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