Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22593 del 10/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 10/08/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 10/08/2021), n.22593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15967-2015 proposto da:

B.M.P., + ALTRI OMESSI tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA BORSIERI 3, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

CORAPI, rappresentati e difesi dagli avvocati HERBERT SIMONE, RENATO

SIMONE;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso il cui Ufficio

domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

nonché contro

ISTITUTO TECNICO DI ISTRUZIONIE SUPERIORE “G. GALILEI” DI (OMISSIS),

(già Istituto Tecnico Commerciale “G. GALILEI”), ISTITUTO TECNICO

DI ISTRUZIONE SUPERIORE “G. GALILEI” DI (OMISSIS) (già Istituto

Tecnico per Geometri “L.B. ALBERTI”), ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE

DI GIOIA DEI MARSI, LICEO SCIENTIFICO “VITRUVIO POLLIONE” DI

(OMISSIS), ISTITUTO COMPRENSIVO DI CELANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 460/2214 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 21/05/2014 R.G.N. 1553/20212;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/02/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di L’Aquila, a seguito della sentenza di questa Corte n. 25146 del 2011, che ha cassato con rinvio la sentenza n. 829 del 2008 resa tra le parti dalla medesima Corte d’Appello, è stata adita in riassunzione, nei confronti del MIUR e altri, dai ricorrenti originari, tutti lavoratori appartenenti al personale ATA, trasferiti, con decorrenza 1 gennaio 2000, nei ruoli del personale statale.

2. Il giudice di secondo grado, in sede rescissoria, con la sentenza n. 460 del 2014, ha riformato la sentenza del Tribunale Avezzano e ha rigettato la domanda dei lavoratori perché, sin dall’origine, la stessa era stata prospettata come diritto ad ottenere la differenza di trattamento economico più alto rispetto a quello che il MIUR aveva riconosciuto, senza che fosse dedotta l’esistenza di un peggioramento retributivo sostanziale con riguarda alla retribuzione goduta, e in quanto la documentazione offerta dalla amministrazione resistente dava atto, al contrario, di un miglioramento retributivo.

3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono i lavoratori in epigrafe prospettando cinque motivi di ricorso, illustrati da memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.

4. Resiste il MIUR con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4; art. 132 c.p.c., n. 4; art. 384 c.p.c., nonché dell’art. 111 Cost., comma 7.

Deducono i ricorrenti che la Corte d’Appello avrebbe eluso la corretta applicazione dei principi enunciati dalla Corte di cassazione in sede rescindente, atteso che i lavoratori avevano sempre insistito sulla necessità della ricostruzione integrale dell’anzianità giuridica ed economica, con conseguente accertamento del loro diritto alla conservazione integrale della suddetta anzianità, in logica connessione con il peggioramento retributivo sia attuale che futuro.

La Corte di cassazione, in sede rescindente, aveva indicato come principio la necessità di riscontrare in concreto se vi fosse stato o meno un peggioramento della condizione retributiva globalmente attribuita al lavoratore, e tale principio era stato disatteso dal giudice di appello nella sede rescindente. La decisione della Corte d’Appello risultava viziata con riguardo alla qualificazione della domanda.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la nullità della sentenza, art. 360 c.p.c., n. 4. La sentenza era carente di propria motivazione, in quanto la stessa non era pertinente alla fattispecie, ma solo apparente, atteso che il giudice aveva omesso l’esame di fatti decisivi che se esaminati avrebbero condotto ad una decisione contraria a quelle che era stata assunta.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per radicale inesistenza della motivazione, come si evidenziava ictu oculi dal suo iter argomentativo. Inoltre, omissione di pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4.

Dalla motivazione non emergeva quale fosse la reale e concreta ratio decidendi della sentenza di appello.

Il giudice della fase rescissoria dapprima riportava nella sentenza impugnata i criteri da seguire ai fini della ricostruzione della carriera, col riconoscimento dell’integrale anzianità ai fini giuridici ed economici, quindi richiamava la sentenza della CEDU Agrati.

Tali premesse venivano però disattese dalla Corte d’Appello nel prosieguo della sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione, atteso che invece di tener conto di tutta la pregressa anzianità con la determinazione della retribuzione in base all’anzianità reale, faceva riferimento al maturato economico, criterio che dava luogo a modifica peggiorativa.

4. I primi tre motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente, in ragione della loro connessione.

5. Gli stessi sono in parte inammissibili e in parte non fondati.

6. E’ applicabile alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

Nella specie, nella sentenza della Corte d’Appello di Venezia vi è uno specifico percorso motivazionale che, in particolare, fa riferimento alla sentenza rescindente e che rigetta la domanda dei ricorrenti in quanto la differenza di trattamento economico veniva dedotta dagli stessi con riguardo al mancato riconoscimento dell’intera anzianità maturata presso l’ente locale, e non in rapporto alla retribuzione globale goduta secondo la nozione di peggioramento retributivo di cui alla direttiva 77/187/CEE.

Di talché i vizi di nullità della sentenza dedotti in relazione alla motivazione della stessa sono inammissibili.

Anche le censure relativa alla qualificazione della domanda effettuata dalla Corte d’Appello è inammissibile, atteso che non è trascritto il ricorso introduttivo, né la sentenza di primo grado e i motivi di appello, al fine di far apprezzare a questa Corte la rilevanza del profilo di censura.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o anche di un error in procedendo, è necessario che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726).

7. Le restanti censure non sono fondate.

Occorre premettere che, in caso di ricorso proposto avverso la sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione la portata del decisum della pronuncia rescindente, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa ed al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte (Cass. n. 3955 del 2018).

Nel caso di specie, questa Corte, con la sentenza n. 25146 del 2011, non ha demandato al giudice del rinvio di verificare se l’inquadramento disposto dal MIUR in base all’accordo sindacale del 20 luglio 2000 fosse o meno conforme alla sopravvenuta L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, né ha affermato che, in caso di accertata reformatio in peius, doveva essere integralmente riconosciuta l’anzianità posseduta, perché ha chiesto solo al giudice del merito di verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento, ed i criteri fissati ai fini della comparazione sono solo quelli indicati in particolare ai punti 1-3 della pronuncia, ove si precisa che il confronto deve essere globale, riferito al momento del passaggio, e che non rilevano eventuali disparità di trattamento con i dipendenti già in servizio presso il cessionario.

L’accertamento ancora in discussione è uno solo: se a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità di servizio maturata, il lavoratore trasferito abbia subito un peggioramento retributivo.

Tale accertamento è propedeutico alla decisione sulla domanda originaria, di riconoscimento integrale della anzianità di servizio, come qualificata dal giudice di appello, e non su una domanda diversa, come assumono i ricorrenti, che come si è sopra rilevato censurano tale qualificazione incorrendo nell’inammissibilità della doglianza.

Invero, il giudice nazionale prima di applicare la normativa interna- che, come autenticamente interpretata, prevede un meccanismo di “temporizzazione” della anzianità maturata dal lavoratore trasferito – è tenuto a verificare se essa sia conforme al diritto dell’Unione, secondo le indicazioni della Corte di Giustizia, ciò che il giudice del rinvio era stato chiamato a fare.

7.1. Un peggioramento “sostanziale”, impedito dalla tutela che la direttiva Eurounitaria riconosce ai lavoratori coinvolti nel trasferimento d’impresa, è ravvisabile solo qualora, all’esito della comparazione globale, emerga una diminuzione “certa” del compenso che sarebbe stato corrisposto qualora il rapporto fosse proseguito con il cedente nelle medesime condizioni lavorative, sicché non possono essere apprezzati gli importi, che se pure occasionalmente versati prima del passaggio, non costituivano il “normale” corrispettivo della prestazione, perché, in quanto legati a variabili inerenti alle modalità qualitative e quantitative di quest’ultima, non erano entrati nel patrimonio del lavoratore, che sugli stessi non avrebbe potuto fare sicuro affidamento neppure qualora la vicenda modificativa non fosse stata realizzata.

Il principio di irriducibilità della retribuzione, che questa Corte ha precisato nei termini sopra indicati (cfr. fra le tante Cass. n. 29247/2017; Cass. n. 4317/2012; Cass. n. 20310/2008), non si atteggia diversamente nei casi di modificazione soggettiva del rapporto perché, se la direttiva 77/187 “non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento di impresa” (punto 77 sentenza Scattolon), non possono essere opposti al cessionario limiti ulteriori rispetto a quelli che valevano, prima della cessione, per il datore di lavoro cedente.

Il richiamato principio, qui condiviso, è stato poi ulteriormente specificato nel senso che nel giudizio di comparazione rilevano solo le indennità strettamente retributive e non aleatorie.

Questa Corte ha dunque escluso la rilevanza dei compensi per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale di cui al CCNL ENTI LOCALI 6 luglio 1995, poiché si tratta di voci del trattamento accessorio condizionate nell’an al rendimento collettivo o individuale e nel quantum alla disponibilità delle risorse finanziarie, limitate dalle modalità di costituzione dei relativi fondi e, dunque, di voci prive dei requisiti di fissità e di continuità necessari affinché l’indennità possa assumere rilievo nel giudizio di comparazione (Cass. 07/02/2019 n. 3663; Cass. 15/03/2019 n. 7470).

Nella stessa direzione Cass. 05/03/2019 n. 6345 ha affermato- in un giudizio relativo alla stessa vicenda traslativa in cui era oggetto diretto della domanda il riconoscimento del premio incentivante- che i premi e i compensi incentivanti previsti dagli artt. 17 e 18 del CCNL 1 aprile 1999 per il comparto delle regioni ed enti locali non possono avere rilevanza ai fini del cd. maturato economico, perché si tratta di compensi espressamente introdotti come strettamente correlati ad effettivi incrementi di produttività e di miglioramento quali-quantitativo dei servizi, in coerenza con gli obiettivi annualmente predeterminati dagli enti di appartenenza. Si è ivi evidenziato che, a fronte del chiaro e univoco tenore letterale degli artt. 17 e 18 del CCNL di Comparto, non possono nutrirsi dubbi sul fatto che il premio incentivante e di produttività non costituisce una componente fissa e necessaria dallo stipendio complessivo annuo.

7.2. Nella specie i ricorrenti non hanno allegato (si v., in particolare, pag. 18-20 del ricorso) la sussistenza del peggioramento retributivo sostanziale secondo i principi sopra richiamati, dolendosi delle modalità di inquadramento che aveva tenuto conto del maturato economico.

8. Con il quarto motivo di ricorso è denunciato il vizio di omesso esame (art. 360 c.p.c., n. 5).

La Corte d’Appello, nell’affermare che i lavoratori non avevano dedotto il peggioramento retributivo, non avrebbe tenuto conto che gli stessi come peraltro riportato nella stessa sentenza, avevano insistito sulla lesione dei propri diritti a seguito dell’applicazione del criterio del maturato economico, richiamando le direttive CEE e la sentenza CEDU Agrati. Inoltre l’affermazione che la documentazione della Amministrazione indicava un miglioramento retributivo era vaga e generica, mentre, invece, tutti i documenti del MIUR portavano sostegno alla domanda dei lavoratori, emergendo dagli stessi l’applicazione della tecnica della temporizzazione.

9. Il motivo è inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass., n. 22397 del 2019). Nella specie la statuizione impugnata discende dall’applicazione di principi di diritto, che portano ad escludere il lamentato peggioramento retributivo sostanziale, e la censura nella sostanza è rivolta a tali principi, con conseguente inammissibilità del motivo.

Peraltro, i ricorrenti, in modo a loro volta generico e non assolvendo agli oneri requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, hanno dedotta la genericità dell’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello in ragione della documentazione del MIUR.

10. Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione delle regole generali sulla ripartizione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.)

Prospettano i ricorrenti che, poiché la Corte d’Appello aveva disapplicato la L. n. 266 del 2005, non poteva ritenersi sussistente l’onere della prova in capo ad essi del peggioramento retributivo sostanziale, dal momento che avevano provato il fatto costitutivo del proprio diritto, ed era onere dell’amministrazione dare la prova dell’esatto adempimento. Sussisteva l’inadempimento dell’amministrazione e occorreva solo stabilire il quantum delle somme dovute, se del caso procedendo a CTU, come dagli stessi richiesto ai fini della redazione dei conteggi.

11. Il motivo non è fondato.

Lo stesso si fonda sul presupposto che la Corte d’Appello ha disapplicato la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218. Tuttavia, come già affermato da questa Corte e come si evince anche dalla sentenza rescindente, e in ciò va corretta la sentenza appellata senza che tale correzioni infici la statuizione di rigetto della domanda dei lavoratori, atteso la corretta applicazione dei principi relativi alla verifica di un peggioramento economico, la suddetta disciplina non può costituire oggetto di disapplicazione, mancandone i presupposti, atteso che ai sensi dell’art. 51 della Carta, il collegamento con il diritto dell’Unione dell’atto di diritto interno contestato richiede, non solo che la misura nazionale ricada in un settore nel quale l’Unione è competente, ma anche che la stessa incida direttamente sulla normativa Eurounitaria e si ponga in contrasto con gli obiettivi che questa persegue.

E’ stato, pertanto, evidenziato che i diritti fondamentali dell’Unione non possono essere applicati ad una normativa nazionale qualora, in relazione alla situazione oggetto del procedimento principale, le disposizioni dell’Unione non pongono alcun obbligo specifico agli Stati membri (Corte di Giustizia 16.7.2020 in causa C – 686/18 punti da 52 a 54 e la giurisprudenza ivi richiamata; negli stessi termini Corte di Giustizia 4.6.2020 in causa C – 32/20 punti da 25 a 27).

Con la sentenza Scattolon la Corte ha chiarito che la direttiva 77/187 ha il solo scopo di evitare che i lavoratori siano collocati per effetto del trasferimento in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente e non può essere invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive, sicché il collegamento con il diritto dell’Unione, da intendere nei termini precisati nei punti che precedono, opera solo a fronte di disposizioni che si pongano in contrasto con l’obiettivo della direttiva e, quanto alle condizioni di lavoro ed al trattamento retributivo, non è più predicabile qualora, come è stato verificato nella fattispecie, l’irriducibilità sia garantita e l’operatività dei principi della Carta venga invocata per ottenere un effetto finale che esula dalle tutele assicurate dal diritto dell’Unione.

Dunque, correttamente la Corte d’Appello ha rigettato la domanda dei lavoratori in quanto gli stessi non avevano allegato e provato la sussistenza di un peggioramento retributivo nei termini sopra enunciati.

Peraltro, il Collegio, nel ribadire l’orientamento consolidato già espresso, non ritiene che le pronunce della Corte EDU costituiscano una sopravvenienza idonea a giustificare l’attivazione del procedimento incidentale di legittimità costituzionale in relazione ad una norma di legge la cui legittimità è stata scrutinata dalla Corte Costituzionale in più pronunce (Corte Cost. nn. 234 e 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009).

12. Il ricorso deve essere rigettato.

13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

14. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 9.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021

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