Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22592 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 16/10/2020), n.22592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7509-2016 proposto da:

M.R., B.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO

PLACIDI, rappresentati e difesi dall’avvocato STEFANIA CHIESSI,

giusta procura in calce al controricorso;

– ricorrenti –

contro

L.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. VICO 1,

presso lo studio dell’avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELISA FICHERA, in

virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4715/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/07/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI CARMELO, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

Lette le memorie depositate dalle parti.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO

Con atto di citazione regolarmente notificato M.R. e B.E. convenivano Ba.An., Ba.Vi. e L.T. deducendo, quanto alla L. che la stessa, che aveva agito quale mediatrice in occasione dell’acquisto da parte degli attori dell’appartamento in (OMISSIS), appartenente alle Ba., e che essendo venuta meno rispetto agli obblighi di diligenza informativi gravanti sul mediatore, avendo taciuto l’esistenza di irregolarità urbanistiche, che avevano costretto gli attori a sostenere rilevanti esborsi per il rilascio della concessione in sanatoria, pertanto andava condannata alla restituzione della somma percepita quale provvigione.

Il Tribunale di Miano, nella resistenza della convenuta, con la sentenza n. 160 del 3/5/2012 accoglieva la domanda ed avverso tale sentenza proponeva appello la L., cui resistevano gli attori.

La Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 4715 del 10/12/2015 ha accolto il gravame, condannando gli attori alla restituzione delle somme percepite per effetto della provvisoria esecutività della sentenza gravata, nonchè al rimborso delle spese del doppio grado.

I giudici di appello ritenevano che la responsabilità del mediatore, in relazione a quanto dedotto in citazione, poteva configurarsi solo per quelle circostanze note o che sarebbero state note con l’esercizio dell’ordinaria diligenza, avuto riguardo a tal fine a quanto dettato dall’art. 1176 c.c..

In tal senso doveva escludersi che il mediatore fosse tenuto allo svolgimento di indagini di tipo tecnico – giuridico, in assenza di uno specifico mandato da parte degli intermediati. Nella fattispecie non poteva reputarsi che la verifica della regolarità urbanistica dell’immobile non implicherebbe specifiche indagini di tal fatta, e ciò alla luce del fatto che i vizi di cui era affetto il bene erano stati scoperti solo a seguito di un controllo eseguito dall’Ufficio di Edilizia Privata del Comune di Vigevano, nè era stata offerta la prova che l’appellante fosse in possesso di una copia dell’atto di precedente vendita del bene, dal quale potesse emergere la divergenza tra lo stato ivi descritto e quello effettivo, tale da allertare l’attenzione del mediatore.

Nessuna rilevanza assumevano poi i pretesi rapporti di collaborazione commerciale tra l’agenzia dell’appellante e l’impresa che aveva curato la ristrutturazione degli immobili, in quanto la sentenza di primo grado, senza che fosse stata gravata sul punto dagli appellati, aveva già ritenuto l’irrilevanza di tale circostanza, e tenuto conto altresì che mancava la prova di tale intesa commerciale e che per effetto della medesima la L. fosse stata a conoscenza delle difformità urbanistiche.

Nè infine assumeva rilievo la circostanza che la L. a sua volta si fosse resa acquirente di un appartamento nel medesimo stabile (appartamento poi rivenduto), e per il quale aveva rifuso ai suoi acquirenti i costi per assicurare la regolarizzazione.

Infatti, emergeva che le difformità risalivano ad epoca anteriore all’acquisto da parte della L., e mancava la prova che delle stesse ne fosse stata posta a conoscenza al momento del suo acquisto, atteso anche che nella fattispecie si trattava di irregolarità che concernevano un immobile diverso da quello oggetto di acquisto dell’appellante.

Inoltre la verifica degli uffici comunali risultava di data successiva sia alla vicenda traslativa oggetto di causa sia all’acquisto ed alla rivendita da parte della L..

Avverso la suddetta decisione proponevano ricorso per cassazione M.R. e B.E. formulando due motivi.

Resisteva in giudizio L.T. con apposito controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1759,1175 e 1176 c.c. e della disciplina di cui alla L. n. 39 del 1989, artt. 2 e 6.

Si deduce che la sentenza impugnata è incorsa nell’erronea applicazione di tali norme nella parte in cui ha escluso che l’obbligo di informazione gravante sul mediatore non si estenda anche alle eventuali irregolarità urbanistiche di cui sia affetto il bene oggetto dell’attività mediatoria.

La nozione di ordinaria diligenza esigibile da tale figura professionale, quale configurata dal giudice di appello, deve ormai reputarsi superata alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità che ha invece esteso gli obblighi gravanti sul mediatore anche al riscontro della legittimità urbanistica dell’immobile.

Il motivo è infondato.

Sul punto ritiene il Collegio di dover dare continuità all’orientamento che, nel delineare la responsabilità del mediatore professionale, esclude che la responsabilità dello stesso possa estendersi ad indagini di carattere tecnico, quale quella nella specie consistente nella verifica delle sussistenza di un valido provvedimento autorizzatorio per la trasformazione di un sottotetto in abitazione, che esulano obiettivamente dal novero delle cognizioni specialistiche esigibili in relazione alla categoria professionale di appartenenza.

In tal senso appare condivisibile quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 6926/2012, a mente della quale il mediatore immobiliare è responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o potendo conoscere con l’ordinaria diligenza l’esistenza di vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta, non ne informi l’acquirente; tale responsabilità si affianca a quella del venditore e può essere fatta valere dall’acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno, sia rifiutando il pagamento della provvigione. Nella stessa sentenza si precisa altresì che, in relazione ai possibili benefici fiscali legati alla categoria catastale posseduta dall’immobile compravenduto, la verifica da parte del mediatore deve correlarsi solo ad una espressa richiesta del cliente.

Trattasi peraltro di orientamento che ha i suoi precedenti in Cass. n. 6219/1993, a mente della quale l’obbligo del mediatore di comunicare alle parti le circostanze a lui note relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare si riferisce non solo alle circostanze accertate ma anche a quelle di cui il mediatore abbia avuto semplicemente notizia, e ciò con specifico riferimento alla verifica dell’esistenza del certificato di abitabilità dell’appartamento compravenduto (conf. in punto di limitazione degli obblighi di informativa alle circostanze di cui il mediatore sia a conoscenza, Cass. n. 5777/2006, nonchè Cass. n. 15274/2006, in tema di accertamento, previo esame dei registri immobiliari, della libertà dell’immobile oggetto della trattativa da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli, nonchè Cass. n. 16382/2009 citata dalla sentenza gravata).

In tale ottica appare convincente quanto affermato da Cass. n. 8374/2009 specificamente in tema di certificato di abitabilità, nella quale, con l’escludere la responsabilità del mediatore, si è ribadito che la prestazione caratterizzante l’attività di quest’ultimo è pur sempre quella di mettere in relazione due o più parti in vista della conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, sicchè non viene meno l’obbligo del mediatore di compiere l’attività demandatagli in modo esauriente e funzionale all’interesse della parte alla conclusione dell’affare, e quindi con diligenza adeguata alla sua professionalità, ragionevolmente esigibile, in rapporto alla sua organizzazione concreta, in modo che la controparte non sia legittimata a rifiutarsi di concluderlo per non essere stata informata su circostanze (nella specie, riguardanti il rilascio del certificato di abitabilità) influenti sulla sua conclusione o esecuzione, conosciute o agevolmente conoscibili, poichè in tal caso può essere giustificato il rifiuto di corrispondere il compenso, anche se la parte che ha conferito l’incarico abbia ricevuto un’accettazione delle sue condizioni prestabilite di conclusione dell’affare”.

In definitiva, reputa il Collegio che una responsabilità del mediatore possa porsi, in ordine alla mancata informazione circa la piena legittimità urbanistica del bene, nei soli casi in cui il mediatore abbia taciuto informazioni e circostanze delle quali era a conoscenza, ovvero abbia riferito circostanze in contrasto con quanto a sua conoscenza, ovvero ancora laddove, sebbene espressamente incaricato di procedere ad una verifica in tal senso da uno dei committenti, abbia omesso di procedere ovvero abbia erroneamente adempiuto allo specifico incarico (cfr. a tal fine Cass. n. 16623/2010, a mente della quale la responsabilità del mediatore si ravvisa per la mancata informazione del promissario acquirente sull’esistenza di una irregolarità urbanistica non ancora sanata relativa all’immobile oggetto della promessa di vendita, nelle ipotesi in cui il mediatore stesso doveva e poteva essere edotto, in quanto agevolmente desumibile dal riscontro tra la descrizione dell’immobile contenuta nell’atto di provenienza e lo stato effettivo dei luoghi, nonchè sempre in tema di rilascio del certificato di abitabilità, Cass. n. 4415/2017).

In tale sentenza si è altresì chiarito come tale conclusione non possa reputarsi in contrasto con quanto affermato da Cass. n. 18140/2015, richiamata dalla difesa dei ricorrenti, che ha invece ravvisato la responsabilità del mediatore, posto che nella vicenda si trattava di una ipotesi nella quale il mediatore aveva fornito alla parte interessata alla conclusione dell’affare delle informazioni sulla regolarità urbanistica dell’immobile, omettendo di controllare la veridicità di quelle ricevute (nella specie, la natura abusiva della veranda, adibita a cucina e in posizione centrale rispetto agli altri locali, e, quindi, neppure condonabile), essendosi appunto ribadito in motivazione che non risultava assolto l’obbligo di corretta informazione in base al criterio della media diligenza professionale, che comprende non solo l’obbligo di comunicare le circostanze note (o conoscibili secondo la comune diligenza) al professionista, ma anche il divieto di fornire quelle sulle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, sicchè è responsabile per i danni sofferti dal cliente.

In senso conforme alla soluzione alla quale ritiene di aderire il Collegio, si veda altresì Cass. n. 29229/2019 (ed in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 784/2020), che affermando che nella stipula di un preliminare di vendita il mediatore ha l’obbligo di comunicare al promissario acquirente le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza richiesta in relazione al tipo di prestazione, non essendo egli tenuto, in difetto di uno specifico incarico, a svolgere particolari indagini di natura tecnico-giuridica, ha rigettato il ricorso avverso la decisione della corte territoriale che, in una fattispecie in cui l’immobile promesso in vendita era risultato edificato in assenza di concessione edilizia e la domanda di sanatoria allegata al titolo d’acquisto della promittente venditrice era stata falsificata, aveva escluso la responsabilità del mediatore sul presupposto che la falsificazione non fosse agevolmente riscontrabile, assumendo quindi che l’obbligo di informazione per le irregolarità urbanistiche presuppone una agevole desumibilità di queste ultime dal raffronto tra la descrizione del bene quale contenuta in atti di norma conoscibili dal mediatore (quale l’atto di provenienza), e lo stato effettivo del bene (in genere sull’ambito di estensione degli obblighi informativi del mediatore, si veda anche Cass. n. 27482/2019, Cass. n. 965/2019; Cass. n. 8849/2017).

Avuto riguardo alla fattispecie in esame, la valutazione della Corte distrettuale circa la possibilità, in assenza dell’allegazione di uno specifico incarico conferito da parte dei ricorrenti, di ritenere conosciuta o conoscibile da parte del mediatore la condizione di irregolarità urbanistica dell’immobile, è stata supportata in senso negativo dal rilievo secondo cui l’emersione dell’irregolarità risaliva ad una data successiva non solo all’acquisto dei coniugi ricorrenti, ma anche allo stesso acquisto di un’unità immobiliare posta nello stesso comprensorio e della sa successiva rivendita a terzi da parte della mediatrice, e ciò al fine di evidenziare che il solo possesso di un atto di trasferimento della proprietà di beni collocati nello stesso comprensorio non avrebbe permesso ex se di rilevare la situazione che afferiva all’intervento di trasformazione del sottotetto, che era stata evidenziata solo in epoca successiva. Inoltre, e sempre con indagine in fatto, è stata altresì esclusa la dimostrazione che sussistesse un’intesa commerciale tra la controricorrente e la società che aveva curato la ristrutturazione del bene, intesa che nella prospettazione di parte ricorrente avrebbe permesso alla prima di essere edotta dell’assenza di un valido titolo autorizzatorio.

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa valutazione di fatti decisivi per il giudizio e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Si deduce che la sentenza gravata non avrebbe considerato che la mediatrice era in possesso dell’atto di acquisto di altro bene interessato dalla medesima attività di ristrutturazione e che da tale atto emergeva il richiamo al provvedimento autorizzatorio (DIA) che non faceva però alcuna menzione dell’avvenuta trasformazione del sottotetto in abitazione.

Ancora si deduce che la sentenza non avrebbe considerato che ricorreva un’intesa commerciale tra l’agenzia di mediazione della convenuta e l’impresa edile che aveva attuato la ristrutturazione del complesso immobiliare, senza avvedersi che in realtà il Tribunale lungi dal ritenere che non vi fosse la prova di tale intesa, aveva ritenuto che la stessa fosse irrilevante, atteso il più rigoroso assunto in merito all’obbligo di diligenza gravante sul mediatore (il che rendeva erroneo il riferimento fatto dal giudice di appello alla necessità che tale affermazione dovesse essere censurata con un motivo di appello incidentale).

Infine, si lamenta che non sarebbe stato adeguatamente considerato il terzo elemento di fatto costituito dall’avvenuto acquisto ad opera della L. di altra unità immobiliare, affetta dalle medesime irregolarità urbanistiche, essendo quindi nelle condizioni di potersi avvedere della circostanza colpevolmente taciuta ai ricorrenti.

Il motivo è inammissibile.

Come si ricava dalla sentenza oggetto di ricorso tutti e tre gli elementi fattuali dedotti in motivo sono stati invece oggetto di specifica disamina e valutazione da parte dei giudici di appello che, con motivazione logica ed intrinsecamente coerente, nel hanno escluso l’idoneità ad incidere sul giudizio circa la conoscenza o ragionevole conoscibilità dell’irregolarità urbanistica del bene in capo alla mediatrice alla data in cui ha svolto l’attività nell’interesse dei ricorrenti.

Come traspare in maniera evidente dalle stesse espressioni letterali di cui si fa uso in motivo, la censura indirizzata al giudice di appello non colpisce in realtà un’omissione di valutazione, come invece è consentito dalla novellata previsione di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ma l’erronea considerazione degli elementi di fatto dedotti, e ciò sull’erroneo presupposto che la non corretta valutazione ovvero la contraddittoria motivazione in merito alla stessa, possa riverberarsi in un’omessa valutazione.

Tutti gli elementi fattuali indicati dai ricorrenti sono stati però oggetto di specifica e puntuale disamina da parte della Corte distrettuale che ha, in primo luogo escluso che la mediatrice fosse in possesso di un atto dal quale poter evincere con l’uso dell’ordinaria diligenza l’assenza di una valido titolo autorizzatorio, avendo, con accertamento in fatto, non suscettibile di sindacato in questa sede, rilevato che solo a seguito dell’intervento dell’Ufficio dell’Edilizia Privata del Comune di Vigevano fosse emersa l’irregolarità di cui ci si duole nel presente giudizio, intervento che si collocava in epoca successiva sia all’acquisto del bene da parte dei ricorrenti, sia all’acquisto ed alla successiva rivendita ad opera della L. di altro bene ubicato nel medesimo comprensorio (aggiungendosi quanto a quest’ultima evenienza, che trattandosi di diversa unità immobiliare, non poteva trarsi in maniera automatica, ove anche fosse emersa un’anomalia, che la stessa afferisse anche al diverso bene acquistato dai ricorrenti).

Infine, quanto alla relazione commerciale tra l’agenzia della L. e l’impresa edilizia che aveva eseguito i lavori di ristrutturazione del bene, anche a voler ritenere non conferente il richiamo dei giudici di appello alla necessità di dover proporre un motivo di appello incidentale per contrastare le affermazioni rese al riguardo dal Tribunale (che aveva espresso un giudizio di sostanziale irrilevanza della questione, avendo optato per una visione rigorosa degli obblighi gravanti sul mediatore), la Corte distrettuale, anche qui mostrando di avere provveduto alla disamina del fatto asseritamente decisivo, ha però ribadito che in ogni caso non era stata fornita la prova di tale relazione e del fatto che dalla medesima potesse ex se ricavarsi la conoscenza da parte della L. della tipologia di interventi edilizi che erano stati posti in essere.

Il motivo deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

3. Al rigetto del ricorso consegue altresì la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio nonchè di quelle sostenute nel procedimento incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata ex art. 373 c.p.c., come da dispositivo che segue.

Tuttavia, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda ed alla questione di diritto posta con il primo motivo di ricorso, oggetto solo di recente di maggiore chiarificazione da parte del giudice di legittimità, si ritiene che non ricorrano i presupposti per la condanna dei ricorrenti ex art. 96 c.p.c. come invece sollecitato dalla difesa della controricorrente.

4. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese di legittimità e di quelle di cui al procedimento ex art. 373 c.p.c., che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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