Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22590 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 16/10/2020), n.22590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2078-2016 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI

30, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO PAGANI, rappresentata e

difesa dall’avvocato LAURA NOLA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.G., D.M.V., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA BRESSANONE 3, presso lo studio dell’avvocato MARIA LUISA CASOTTI

CANTATORE, rappresentati e difesi dall’avvocato ARCANGELA EMANUELA

PORTUGALLI, in virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

E.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2806/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/07/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Lette le memorie depositate dalle parti.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO

E.C., proprietaria di un’abitazione sita in (OMISSIS) con annesso giardino sul retro e cortile sul lato antistante l’ingresso principale, conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Pavia, i signori R.G. e D.M.V., proprietari dell’immobile confinante, lamentando il fatto che i convenuti avessero modificato il cancello installato, ponendolo per circa due metri all’interno della proprietà dell’attrice, modificando conseguentemente anche l’accesso carraio, impedendole così di parcheggiare l’autovettura sul lato est del cortile, facoltà riconosciutale nell’atto di acquisto, con il quale era stata contestualmente costituita servitù di passo a favore del fondo di proprietà dei convenuti per l’accesso alla (OMISSIS). L’attrice chiedeva la determinazione della corretta posizione del confine e la condanna dei convenuti all’eliminazione dell’opera illegittimamente realizzata all’interno della sua proprietà, nonchè la determinazione delle modalità di esercizio della servitù di passo, in modo meno gravoso possibile per il fondo servente, imponendo il passaggio carraio sul lato più a ovest del cortile o comunque più centrale rispetto alla posizione attuale.

L’attrice a sostegno della domanda rilevava, sulla base degli estratti di mappa del Catasto Terreni antecedente alla variazione del 2001, che l’immobile di sua proprietà (attuale mappale (OMISSIS)) fosse il risultato della fusione dei mappali (OMISSIS) (fabbricato e annessa porzione del cortile) e (OMISSIS) (porzione di fabbricato e annessa porzione di cortile) e che il cortile graffato a quest’ultima non terminasse in corrispondenza della parete più a sud dell’abitazione dell’attrice, ma proseguisse anche davanti all’abitazione identificata con il mappale (OMISSIS), di proprietà dei convenuti.

Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto delle domande, evidenziando errori nelle mappe catastali ed il fatto che il cancello fosse stato collocato nel sito in cui si trovava, fin dal 1997, il cancello preesistente, sul confine della loro proprietà; in via riconvenzionale chiedevano la determinazione della linea di confine tra il mappale (OMISSIS) e il mappale (OMISSIS) di loro proprietà, secondo il tracciato rappresentato dal cancello, confermando il loro diritto a mantenere il cancello nella posizione attuale, nonchè di vietare all’attrice di parcheggiare, se non per operazioni di carico e scarico, previa determinazione delle modalità di esercizio della servitù.

Nel corso del giudizio di primo grado interveniva S.A., acquirente degli immobili dell’attrice, che faceva proprie le domande e difese della dante causa.

All’esito dell’istruttoria e dell’espletamento di due CTU, il Tribunale di Pavia, con la sentenza n. 7/2013 del 05/01/2013, accertava che il confine tra il mappale (OMISSIS) e il mappale (OMISSIS) dovesse essere individuato dalla continuazione ideale verso est del muro divisorio tra il fabbricato di cui al mappale (OMISSIS) e il fabbricato di cui al mappale (OMISSIS), quindi che l’area a nord del suddetto confine fosse di proprietà di S.A.. Per l’effetto condannava i convenuti, previa disapplicazione della concessione in sanatoria n. (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS) e della DIA del (OMISSIS), a demolire il cancello, poichè insistente sul mappale di proprietà della S., nonchè al risarcimento del danno, equitativamente determinato nella somma di Euro 3.200,00 (oltre a Euro 811,54 per spese per il compenso del geometra) a favore di E.C.; nella somma di Euro 5.600,00 a favore di S.A., oltre al pagamento delle spese di lite.

Rigettava le ulteriori domande, posto che l’attrice non aveva fornito la prova che prima dello spostamento del cancello vi fosse la possibilità di parcheggiare; quanto alla determinazione delle modalità di esercizio della servitù, non disponeva nulla, dal momento che solo a seguito del mutamento dello stato dei luoghi si sarebbe potuto verificare se un’auto parcheggiata sul mappale (OMISSIS) ostruisse o rendesse meno agevole l’accesso.

Proponevano appello R.G. e D.M.V., nella resistenza di S.A..

Gli appellanti chiedevano una nuova valutazione dei frazionamenti e delle mappe catastali, al fine di evidenziare l’erronea rappresentazione nelle mappe della lunghezza dei soli fabbricati e non dei cortili; rilevavano altresì che la proprietà del mappale (OMISSIS) non era mai appartenuta ad E.C., in quanto non era stato oggetto della donazione P.- Z. (dante causa della E.), essendo menzionata nell’atto ai soli fini dell’individuazione del confine. Non poteva, pertanto, essere stata venduta alla E. la porzione di cortile contrassegnato con il mappale (OMISSIS), antistante il mappale (OMISSIS) (ex (OMISSIS)), poichè lo stesso non era di proprietà del suo dante causa.

Si costituiva l’appellata, replicando che l’area del mappale (OMISSIS) era ricavata dalla somma delle superfici dei sedimi precedentemente indicati come (OMISSIS) e (OMISSIS) (ex (OMISSIS)). Contestava l’ammissibilità della questione proposta dagli appellanti in quanto nuova, essendo stata posta per la prima volta in appello. Rilevava, inoltre, che gli stessi appellanti avevano fornito elementi incontestabili che escludevano la proprietà in capo agli stessi del predetto mappale. Dopo aver presentato una DIA per le opere di spostamento del cancello in cui affermavano la proprietà del mappale (OMISSIS), avevano successivamente rettificato tale dichiarazione, indicando che le opere sarebbero state eseguite sul mappale (OMISSIS). L’appellata, quindi, argomentava che in primo grado non era stato proposto un giudizio petitorio in ordine alla proprietà dei mappali citati e che non era mai stato messo in discussione che la proprietà degli appellanti fosse individuata con i mappali (OMISSIS) e (OMISSIS) (ora (OMISSIS)) e quella della E. con i mappali (OMISSIS) e (OMISSIS) (ora (OMISSIS)).

La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 2806/2015 del 29/06/2015, in parziale accoglimento dell’appello, rigettava tutte le domande proposte da E.C. e S.A., confermando nel resto la sentenza, con compensazione delle spese di lite dei due gradi di giudizio.

La Corte osservava che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’attrice, a riprova del diritto di proprietà, aveva prodotto esclusivamente l’atto con il quale aveva acquistato l’immobile da tal Z., che includeva nell’oggetto della vendita anche l’immobile individuato nel frazionamento del 2001 comprensivo del mappale (OMISSIS). A seguito del frazionamento del 2001, il mappale (OMISSIS) era stato suddiviso nei mappali (OMISSIS) e (OMISSIS), poi inclusi rispettivamente nei nuovi mappali (OMISSIS) (fabbricato) e (OMISSIS) (cortile). Ancorchè la parte convenuta non avesse eccepito nulla di specifico in merito alla titolarità in capo alla E. del diritto di proprietà sul mappale (OMISSIS), trattandosi tuttavia di elemento costitutivo della domanda fatta valere, a parere della Corte, il difetto della titolarità del bene a tutela del quale si agiva era una questione rilevabile d’ufficio, essendo quindi inconferente la difesa dell’appellata in ordine al mancato esercizio dell’azione petitoria.

Esaminando la documentazione prodotta dal CTP di parte convenuta in occasione della seconda CTU disposta nel giudizio di primo grado, la Corte concludeva per la non titolarità in capo alla S. della proprietà del cortile contrassegnato con il mappale (OMISSIS), con la conseguente infondatezza delle domande di rimozione del cancello e di risarcimento dei danni, oltre che di quella finalizzata all’individuazione della linea di confine all’interno di quella porzione. Il mappale (OMISSIS) era stato escluso dall’oggetto della donazione del 21 maggio 1993 per notar L., con la quale Z. aveva acquisito la proprietà dei beni poi venduti alla E., e veniva menzionato solo tra le coerenze dei beni oggetto del contratto. Attesa tale esclusione, la Corte d’Appello, sulla base della visura catastale del 17/11/1999, anteriore al frazionamento, accertava che il confine sud della proprietà Z. era per tutta la sua estensione, compreso il cortile, posto in corrispondenza dell’estremità nord del mappale (OMISSIS), con prolungamento della linea ideale posta tra il mappale (OMISSIS) e il mappale (OMISSIS).

Allo stesso tempo, la Corte escludeva che gli appellanti avessero dimostrato che il loro diritto di proprietà si estendesse anche al mappale (OMISSIS), ovvero al cortile antistante il fabbricato di cui al mappale (OMISSIS) (ex (OMISSIS), ex (OMISSIS)). Il mappale (OMISSIS), infatti, era la risultante del frazionamento con cui si distinse il mappale (OMISSIS)bb (porzione di casa e tutto il cortile del mappale (OMISSIS)) dal mappale (OMISSIS), in vista della vendita a due acquirenti diversi (i danti causa degli appellanti avevano acquistato il (OMISSIS)). Nè poteva giungersi a diversa conclusione per effetto dell’ulteriore titolo di provenienza con cui gli appellanti avevano acquistato l’abitazione confinante con quella posta sul mappale (OMISSIS) e l’antistante cortile.

La Corte, pertanto, rigettava la domanda volta a individuare la linea di confine sul mappale (OMISSIS) in corrispondenza del cancello, concludendo per la stessa assenza del requisito dell’adiacenza dei fondi, indispensabile ai fini dell’esperimento dell’azione di regolazione dei confini avanzata da entrambe le parti.

Infine, dichiarava inammissibile la domanda di determinazione dei modi di esercizio della servitù, non essendo state avanzate censure specifiche nell’appello, idonee a confutare la sentenza di primo grado.

S.A. propone ricorso per la cassazione della suddetta sentenza della Corte d’Appello di Milano, affidato a cinque motivi.

Si sono difesi con controricorso D.M.V. e R.G..

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 950,948,2909 c.c., artt. 112,163,324,329 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Il fatto che la Corte abbia considerato il diritto di proprietà elemento costitutivo della domanda implicherebbe, a parere della ricorrente, che in tal modo ha operato una diversa qualificazione della domanda in termini di azione di rivendicazione ai sensi dell’art. 948 c.c., e non di azione di regolamento dei confini. Ciò darebbe luogo alla violazione degli artt. 112,324 c.p.c. e art. 329 c.p.c., comma 2, non avendo mai gli appellanti contestato la qualificazione giuridica dell’azione effettuata dal Tribunale, la quale sarebbe così passata in giudicato.

L’azione di rivendicazione ai sensi dell’art. 948 c.c. si distingue da quella di regolamento dei confini ex art. 950 c.c. in quanto presuppone un conflitto di titoli, determinato dal convenuto, che nega la proprietà dell’attore contrapponendo un titolo di acquisto diverso e incompatibile con quello dell’attore. Nell’azione di regolamento dei confini, al contrario, i titoli di proprietà non sono in contestazione, l’unica incertezza attiene alla delimitazione delle rispettive proprietà, a causa dell’incertezza oggettiva o soggettiva del confine.

La Corte d’Appello si sarebbe erroneamente concentrata solo sul mappale (OMISSIS), senza considerare che l’attrice chiedeva la determinazione del confine tra il mappale (OMISSIS), di sua proprietà, e il mappale (OMISSIS), di proprietà dei convenuti. Così la Corte sarebbe incorsa nel vizio di extrapetizione, avendo alterato la causa petendi dell’azione di regolamento del confine, individuandola nella titolarità della proprietà e non nella situazione di incertezza dei confini.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 1, art. 163 c.p.c., artt. 950 e 948 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Anche a ritenere che la Corte non sia incorsa in una indebita diversa qualificazione della domanda originaria, ma abbia statuito su di una domanda di rivendicazione introdotta da parte degli appellanti, quest’ultima, che richiede la rigorosa prova della proprietà, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile in quanto proposta in appello per la prima volta. Non essendo mai stata avanzata nel giudizio di primo grado un’azione di rivendicazione, ma un’azione di regolamento dei confini, nella quale la prova della proprietà non è elemento costitutivo, la Corte avrebbe errato nel ritenere rilevabile d’ufficio l’assenza del presupposto di una domanda diversa da quella avanzata dalle parti.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 163,115 e 116 c.p.c., artt. 950 e 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

La Corte, pur correttamente qualificando l’azione come di regolamento di confini, avrebbe errato nell’individuazione dei presupposti di tale azione, che per costante giurisprudenza non presuppone la rigorosa prova della proprietà da parte dell’attore, in forza di un titolo di acquisto risalente a un periodo di tempo idoneo all’usucapione, ma la mera prova dell’incertezza del confine tra i fondi. Tale azione si trasforma in azione di rivendicazione, che presuppone la rigorosa prova della proprietà, solo laddove il convenuto contesti la proprietà dell’attore, sollevi o prospetti tempestivamente un conflitto tra titoli di proprietà (circostanza non verificatasi nel caso di specie).

La Corte avrebbe, quindi, violato i principi dettati in relazione all’onere della prova dall’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. Ben potendo la prova della proprietà essere data con ogni mezzo nell’azione di regolamento dei confini, la Corte avrebbe dovuto valorizzare l’intervenuto frazionamento, l’atto di acquisto del mappale (OMISSIS) da parte della E., le difese dei convenuti in primo grado, dalle quali emergeva, non solo che non avevano mai messo in discussione la proprietà della E. sul mappale (OMISSIS), ma anche (in particolare dalla DIA del (OMISSIS) e dalla concessione in sanatoria del (OMISSIS)) che controparte aveva espressamente riconosciuto di non essere proprietaria del mappale (OMISSIS).

La sentenza sarebbe erronea per aver escluso la proprietà del mappale, valorizzando esclusivamente l’atto di donazione, nel cui oggetto non era ricompreso il mappale (OMISSIS), nonostante che il solo esame di un atto pubblico di acquisto, stipulato tra parti diverse da quelle in causa, non sia sufficiente a escludere che la signora E. fosse proprietaria del mappale.

I tre motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

La Corte d’Appello non è pervenuta a una diversa qualificazione della domanda, in termini di rivendicazione, ma ha esaminato le censure avanzate dagli appellanti rimanendo nell’ambito dell’azione di regolamento dei confini, avanzata dalle parti in primo grado.

Inconferente è, quindi, il rilievo della ricorrente in merito alla asserita introduzione di una domanda di rivendicazione per la prima volta in appello, atteso che la decisione della controversia ha riguardato sempre ed esclusivamente l’originaria domanda di regolamento dei confini.

Questa conclusione emerge con chiarezza dalla lettura della sentenza impugnata, nella quale la Corte, nell’esaminare la domanda, fa riferimento al “diritto a ottenere oltre all’individuazione della corretta linea di confine anche la rimozione del cancello illegittimamente posto sul cortile” (cfr. sentenza p. 5), e perviene al rigetto per la stessa assenza del requisito dell’adiacenza dei fondi, “indispensabile ai fini dell’esperimento dell’azione di regolamento dei confini che entrambe le parti hanno inteso proporre, secondo la qualificazione operata dal Tribunale e in alcun modo censurata” (cfr. sentenza p. 7).

Essendo indubbio che non sia stata operata una diversa qualificazione (il che permette di affermare l’insussistenza della dedotta violazione sia del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sia del giudicato interno), deve parimenti escludersi qualunque violazione nell’accertamento dei presupposti della domanda di regolamento dei confini effettuato dalla Corte d’Appello.

La giurisprudenza, sul punto, è consolidata nel ritenere che la distinzione tra azione di rivendicazione ed azione di regolamento di confini va desunta non dall’esito della lite, bensì dalla natura della domanda proposta; si ha, pertanto, rivendicazione quando la contestazione ha per oggetto i rispettivi titoli di proprietà, mentre l’azione va qualificata come regolamento di confini o qualora manchi una demarcazione visibile (incertezza oggettiva), oppure perchè questa, pur esistendo, è inidonea a separare i fondi in modo certo e definitivo (incertezza soggettiva), anche se non vi è in atto il possesso promiscuo della zona intermedia (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2857 del 11/03/1995; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 28349 del 22/12/2011).

Ne consegue che, solo in caso di azione di rivendicazione, sull’attore incombe l’onere di fornire la prova del suo diritto di proprietà in forza di un titolo di acquisto originario o derivativo risalente ad un periodo di tempo atto all’usucapione.

Nell’azione di regolamento di confini, invece, non venendo in discussione i titoli di acquisto ma solo la determinazione quantitativa dell’oggetto della proprietà dei fondi confinanti, mentre l’attore è sollevato dall’onere di fornire la dimostrazione del suo diritto di proprietà in virtù di un titolo di acquisto originario o derivativo risalente ad un periodo di tempo atto all’usucapione, su entrambe le parti ricade l’onere probatorio, con la conseguenza che ogni mezzo di prova, anche tecnico o presuntivo, può essere utilizzato per la formazione del convincimento del giudice (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 10066 del 24/04/2018; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15013 del 21/11/2000).

La differenza tra azione di rivendicazione e azione di regolamento dei confini attiene esclusivamente alla ripartizione dell’onere della prova di un elemento costitutivo. Infatti, nell’azione di rivendicazione la prova della proprietà deve essere data necessariamente dall’attore, altrimenti dovrà essere applicato il disposto dell’art. 2697 c.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

L’azione di regolamento di confini, invece, si configura come una vindicatio incertae parti e l’onere della prova della situazione di incertezza sul confine è ripartito ugualmente tra attore e convenuto, non operando il principio per cui actore non probante reus absolvitur (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14993 del 07/09/2012; Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 3559 del 2016).

Alla luce di questi principi, ai quali il Collegio intende dare continuità, tuttavia, avuto riguardo alla fattispecie in esame, l’attrice non poteva limitarsi a fondare la prova del suo diritto di proprietà invocando le risultanze di un atto di acquisto a titolo derivativo, nel momento in cui emergeva dagli atti di causa l’esistenza di un diverso documento che, come poi accertato dalla Corte, con una valutazione di fatto alla medesima riservata, era idoneo a comprovare l’insussistenza di tale diritto, trattandosi peraltro di atto che era rappresentativo di ciò che era stato acquistato dal dante causa dell’attrice, e quindi comprovava ciò che era effettivamente pervenuto a quest’ultima.

In questo senso, già Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 66 del 19/01/1963 ha evidenziato che la prova della proprietà della singola quota è necessaria quando la contestazione abbia per oggetto una zona di confine, riguardo alla quale può sorgere questione, in relazione alla interpretazione del titolo di acquisto, sul se la stessa sia o meno compresa nell’ambito del titolo, con affermazione di principio che conforta la conclusione secondo cui anche nell’azione di cui all’art. 950 c.c., sebbene con modalità agevolate, è pur sempre necessario che sia fornita la dimostrazione della titolarità dei beni asseritamente posti a confine, di tal che la domanda non può trovare accoglimento, nel caso in cui, dal materiale probatorio versato in atti, il giudice tragga il convincimento in fatto che la porzione immobiliare per la quale sia stata esercitata la domanda non appartenga alle parti in causa, mancando quindi un confine da regolare.

Nel caso in esame, pertanto, la Corte d’Appello ha correttamente rigettato la domanda di regolamento dei confini, non essendo stata fornita la prova della proprietà del mappale (OMISSIS), nè da parte degli appellanti nè da parte dell’appellata, trattandosi di elemento necessario, in relazione alla interpretazione del titolo di acquisto, sul se la stessa fosse o meno compresa nell’ambito del titolo, rilevante altresì per la stessa sussistenza del requisito dell’adiacenza tra i fondi confinanti, in assenza della quale non ricorre nemmeno il presupposto dell’azione di regolamento dei confini.

Nè appare censurabile la valutazione del materiale istruttorio effettuata dalla Corte, trattandosi di valutazioni discrezionali non sindacabili in sede di legittimità ove congruamente motivate.

La giurisprudenza ha chiarito che nell’individuazione del confine tra fondi limitrofi, il giudice di merito non può prescindere dall’esame e dalla valutazione dei titoli d’acquisto delle rispettive proprietà, atteso che questi costituiscono la base primaria per risolvere una situazione di fatto. (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3040 del 25/05/1979; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 12742 del 23/12/1993; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 5809 dell’11/06/1998; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8814 del 30/05/2003). La peculiarità dell’azione di regolamento dei confini risiede sicuramente nel fatto che la prova della proprietà sulla zona contestata possa essere data con ogni mezzo di prova, così che a tal fine, oltre gli atti traslativi della proprietà contenenti indicazioni sull’estensione dei fondi, è utilizzabile ogni mezzo istruttorio, ed anche la prova testimoniale, ammettendosi in ultima ipotesi il ricorso alle risultanze catastali, che hanno mero valore sussidiario (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8212 del 11/08/1990), ma ciò non elide la necessità che la prova della proprietà comunque debba essere fornita, sicchè ove la stessa sia stata reputata carente, in quanto sconfessata dagli stessi titoli di provenienza sui quali l’attrice fonda il proprio diritto, risulta conseguenziale il rigetto della domanda avanzata, risolvendosi le dedotte violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c. nel tentativo surrettizio di pervenire ad una diversa ricostruzione in fatto della vicenda, difforme da quella fornita dal giudice di merito, peraltro con motivazione logica e coerente.

Alcuna violazione quindi della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c. deve ritenersi perpetrata dal giudice di appello nè appare meritevole di accoglimento la deduzione secondo cui nel decidere la causa prendendo a riferimento il mappale (OMISSIS), la sentenza gravata avrebbe ecceduto dai limiti della domanda, volta invece a determinare il confine in relazione al diverso mappale n. (OMISSIS), non tenendo conto la censura della pacifica circostanza che tale ultimo mappale scaturisce proprio dalla fusione in esso del preesistente mappale (OMISSIS), essendo quindi la ricostruzione delle vicende proprietarie del medesimo funzionale alla decisione della controversia.

2. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione o falsa applicazione degli artt. 950,2697 c.c., art. 101 c.p.c., comma 2, artt. 115 e 116 c.p.c.

La Corte avrebbe erroneamente concluso per l’assenza del requisito dell’adiacenza dei fondi. Sostenendo la carenza della proprietà di una porzione del fondo in capo all’attrice, avrebbe negato un fatto storico non contestato in giudizio, ovvero il fatto che i fondi asseriti di proprietà dell’attrice e dei convenuti fossero adiacenti, non separati da alcunchè.

La sentenza, quindi, denoterebbe un travisamento di un fatto storico, la contiguità dei fondi, provato in atti e risultante dalla sentenza di primo grado.

Il motivo è destituito di fondamento.

Posto che il semplice difetto di contestazione non impone un vincolo di meccanica conformazione della decisione, in quanto il giudice può sempre rilevare l’inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto, la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa (cfr. Cass., sez. un., 3 giugno 2015, n. 11377; Cass., Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016). Inoltre, l’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all’art. 214 c.p.c. o di proporre – ove occorra – querela di falso, restando in ogni momento la loro significatività o valenza probatoria oggetto di discussione tra le parti e suscettibile di autonoma valutazione da parte del giudice (cfr. Cass., Sez. 6 L, Ordinanza n. 6606 del 06/04/2016; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 21/06/2016).

Nel caso di specie, l’accertamento della titolarità della proprietà del mappale (OMISSIS) era necessario per accertare la sussistenza del requisito dell’adiacenza dei fondi e quindi della stessa legittimazione ad agire e resistere nell’azione di regolamento dei confini che, alla luce del disposto dell’art. 950 c.c., presuppone che le parti in causa siano i proprietari di fondi confinanti (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 6333 del 06/12/1979; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8003 del 18/07/1991). In questo senso, in un precedente relativo a un caso di comproprietà, questa Suprema Corte ha affermato che, poichè l’azione di regolamento di confini spetta unicamente ai proprietari confinanti, la mancata prova del diritto di comproprietà esclude la legittimazione attiva all’esercizio di tale azione (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21245 del 10/10/2007).

Nè vale invocare la circostanza che in fatto, e verosimilmente per effetto dell’occupazione materiale del mappale (OMISSIS) da parte dell’attrice, vi sia apparente contiguità tra i due fondi in causa, atteso che in punto di diritto, e sulla scorta della puntuale disamina dei titoli di provenienza effettuata dal giudice di merito, è stata accertata la carenza di proprietà in capo alla ricorrente, superando in tal modo anche l’effetto della non contestazione intervenuta tra le parti.

Va, infatti, ribadito che il mero difetto di contestazione specifica, ove rilevante, non impone in ogni caso al giudice un vincolo assoluto (per così dire, di piena conformazione), obbligandolo a considerare definitivamente come provata (e quindi come positivamente accertata in giudizio) la legittimazione rappresentativa non contestata, in quanto il giudice può sempre rilevare l’inesistenza del fatto allegato da una parte anche se non contestato dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto (cfr. Sez. lav., 6 dicembre 2004, n. 22829; Sez. lav., 8 agosto 2006, n. 17947; Sez. lav., 10 luglio 2009, n. 16201; Sez. lav., 4 aprile 2012, n. 5363), sicchè correttamente la sentenza gravata, in presenza di titoli comprovanti le vicende traslative poste dalla stessa attrice a sostegno del proprio diritto, ha ritenuto di dover prescindere dalla precedente non contestazione, dando preminenza quindi a quanto provato, e non già al solo effetto della non contestazione che è l’esclusione del fatto non contestato dal thema probandum (e ciò anche a tacere del fatto che il motivo di ricorso non appare specificamente rivolto a contrastare l’affermazione del giudice di appello di cui all’ultimo capoverso di pag. 6, secondo cui la posizione dei convenuti, che asserivano di avere legittimamente operato sulla loro proprietà, valeva come contestazione di quella di controparte).

3. Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., comma 6.

La sentenza nel suo complesso sarebbe priva di motivazione validamente resa per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile.

Il motivo è infondato.

Alla luce dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata così sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile quale violazione della legge processuale ex art. 132 c.p.c.).

Le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) hanno altresì sottolineato che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”.

La correttezza della decisione impugnata, emersa dall’esame degli altri motivi di ricorso, esclude che possa sussistere alcun vizio di motivazione censurabile in sede di legittimità, ben potendo essere compreso dalla lettura della decisione gravata il percorso motivazionale che ha portato la Corte a rigettare le domande della ricorrente, rinvenendolo nel difetto della titolarità della legittimazione ad agire a seguito della mancata prova del diritto di proprietà del mappale (OMISSIS).

4. Al rigetto del ricorso consegue altresì la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio.

5. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

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