Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22587 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. I, 27/09/2017, (ud. 24/05/2017, dep.27/09/2017),  n. 22587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14212/2012 proposto da:

Coltivazione Cava Flap S.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazzale Clodio n.

12, presso l’avvocato Giammarioli Paolo Salvatore, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Società San Paolo, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Viale Vaticano n. 48, presso

l’avvocato Fenucciu Demetrio, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1809/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/05/2017 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che chiede che Codesta

Suprema Corte voglia dichiarare inammissibile il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 5.4.2007, il Tribunale di Roma ha dichiarato risolto il contratto con cui la Società San Paolo aveva dato in concessione un’area interessata dalla presenza di una cava di pozzolana alla S.r.l. Coltivazione Cava Flap, per inadempimento della concessionaria, rigettando la domanda di inefficacia della disdetta, dalla stessa proposta, e la domanda di danni, avanzata dalla concedente. Adita su impugnazione principale della Coltivazione Cava Flap ed incidentale della San Paolo, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 21.4.2011, ha confermato, per quanto d’interesse, la statuizione di risoluzione del contratto per violazione della normativa mineraria, ha escluso, in conseguenza, la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante alla valutazione del motivo dell’appello principale relativo all’inefficacia della disdetta, pur confermando la statuizione del Tribunale, secondo cui l’originaria durata contrattuale di due anni non poteva che esser rinnovata per eguale periodo, ed ha emesso, infine, condanna generica al risarcimento del danno a carico della Società concessionaria.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso la S.r.l. Coltivazione Cava Flap con due motivi, successivamente illustrati da memoria, ai quali la San Paolo ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha autorizzato, come da Decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

2. Col primo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 1362,1363,1366,1368,1369 e 1371 c.c., oltre che vizio di motivazione in relazione all’interpretazione dell’art. 2 del contratto inter partes, avente ad oggetto la sua scadenza. La Corte d’Appello, lamenta la ricorrente, con motivazione apodittica ed insufficiente ed in violazione dei menzionati canoni ermeneutici, aveva ritenuto che la proroga contrattuale avesse durata biennale, quando, invece, avrebbe dovuto affermare che il rinnovo e la proroga duravano fino all’esaurimento del giacimento.

3. Col secondo motivo, si denuncia la violazione degli artt. 1453,1455 e 1458 c.c., nonchè vizio di motivazione e mancata ammissione di prove decisive in ordine alla sussistenza dell’inadempimento. La ricorrente lamenta che, con motivazione apparente, la Corte aveva ravvisato l’inadempimento della normativa mineraria e lo sconfinamento, senza valutare il contenuto della determinazione comunale del 6.10.2005, impugnata al TAR, da cui risultava la presentazione, da parte sua, di un’istanza della L.R. Lazio n. 17 del 2004, ex art. 35, con conseguente legittimità della prosecuzione dell’attività estrattiva, e del suo subentro alla precedente concessionaria (Ditta Z.). La Corte non aveva, poi, considerato che essa concessionaria si era conformata alla predetta determinazione comunale ed aveva riconnesso valore probatorio alla perizia giurata depositata ex adverso, omettendo di motivare sui rilievi da lei formulati, di pari valore probatorio, e senza dare ingresso alla prova orale. Anche la valutazione della gravità dell’inadempimento era erronea, in quanto l’attività estrattiva si era svolta all’interno dell’area concessa, nè era avvenuta alcuna appropriazione arbitraria di materiale

4. Il secondo motivo, che va esaminato con priorità, è inammissibile. 5. Con esso, infatti, come non hanno mancato di rilevare la controricorrente ed il PG nelle sue conclusioni, la ricorrente tenta una rivisitazione del materiale probatorio, onde pervenire ad una diversa valutazione della sua condotta, svilendo sia l’avvenuta coltivazione della cava in area a ciò non deputata (oltre un ettaro a quanto si riferisce nel controricorso), mediante la qualificazione dello sconfinamento come lieve, sia il suo comportamento antecedente (sversamento di rifiuti su altra parte del fondo), nonchè omettendo di riportare il contenuto della determinazione dirigenziale del 6.10.2005, che, a suo dire, avrebbe invece legittimato la sua condotta. Se dunque, l’assunto secondo cui l’attività estrattiva si sarebbe svolta all’interno dell’area oggetto del contratto, come ribadisce la ricorrente nella memoria, è smentito in fatto dalla Corte territoriale, che non ha mai accertato alcuna “facoltà d’ampliamento” dell’area di coltivazione, ma ha, anzi, rilevato la sussistenza dell’arbitraria estrazione di materiale, occorre rilevare che la prova orale, di cui viene riprodotto il contenuto, è stata disattesa con motivazione congrua e della stessa, peraltro, non è chiara la relativa decisività. 5. Resta da aggiungere che la valutazione della gravità dell’inadempimento operata dai giudici a quo ai fini della risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1455 c.c., è sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici e risulta perciò insindacabile in questa sede di legittimità, costituendo questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito.

6. Il primo motivo è inammissibile per difetto d’interesse: quale che fosse, infatti, il regime di proroga contenuto nell’art. 2 del contratto, lo stesso, per effetto dell’avvenuta sua risoluzione, non può costituire valida fonte per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale ad opera della ricorrente.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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