Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22587 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. II, 10/09/2019, (ud. 07/06/2019, dep. 10/09/2019), n.22587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14430-2015 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, V. FEDELE LAMPERTICO

12, presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA D’AGOSTINO,

rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCO PERFETTI, ANTONIO

ANGELO SCARANO;

– ricorrente –

contro

A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AREZZO 38,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MESSINA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato TULLIO CASTELLI;

– controricorrente –

nonchè contro

AR.CA., ALGICA SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 866/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 26/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2019 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito l’Avvocato Alessandro Tucci.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.L. conveniva in giudizio, avanti il tribunale di Massa, G.G. al fine di sentir accertare che il medesimo era debitore dell’attrice per la somma di Euro 185.000 in forza di tre scritture private formate rispettivamente in data 25 ottobre 2005, 17 gennaio 2006 e 30 gennaio 2006; conveniva, inoltre, Ar.Ca., moglie di G.G. e la società Al. GI. CA. S.r.l. in liquidazione della quale erano soci la stessa convenuta, e i suoi genitori, al fine di far dichiarare la simulazione assoluta o relativa dei contratti di compravendita del 18 gennaio 2005 e del 9 gennaio 2003 stipulati tra le parti o, in subordine, di conseguire una pronuncia revocatoria ex art. 2901 c.c., dei medesimi contratti.

2. Il Tribunale adito accoglieva integralmente le domande dell’attrice, condannava G.G. a restituire la somma di Euro 185.000 e dichiarava la simulazione assoluta degli atti di compravendita sopra indicati.

3. Avverso la suddetta sentenza G.G. proponeva appello.

4. Anche Ar.Ca., e Al. GI.CA. S.r.l. proponevano impugnazione avverso la medesima sentenza, svolgendo difese conformi alle doglianze di G.G..

5. La Corte d’Appello, riuniti i giudizi, rigettava le impugnazioni. Il giudice del gravame, preliminarmente rilevava l’inammissibilità del giuramento decisorio deferito in sede di precisazione delle conclusioni da G.G. nei confronti di A.L. perchè le circostanze articolate non erano idonee a determinare l’esito del giudizio e dunque per mancanza del requisito stabilito dall’art. 2736 c.p.c., n. 1, e riteneva inammissibili anche le prove richieste dalle altre parti appellanti.

Nel merito, riteneva infondato il motivo di appello relativo al debito che, nella tesi della parte appellante, sarebbe stato contratto non da G.G. personalmente ma nell’interesse della società G.F. & C. snc, con la conseguente improponibilità dell’azione di restituzione esercitata al di fuori della procedura concorsuale a cui detta società era stata in precedenza ammessa.

La Corte d’Appello affermava che, dalle tre scritture di riconoscimento del debito firmate dall’appellante e prodotte dall’attrice, emergeva che l’obbligo di restituire le somme ricevute tramite assegni dalla A. incombeva sull’unico sottoscrittore G.G. e ciò a prescindere dall’eventuale successivo impiego delle medesime somme a beneficio della G. snc di cui peraltro l’appellante era socio. In particolare, la Corte d’Appello poneva l’accento sulla assunzione personale ed esclusiva del G. dell’obbligo di restituzione e nell’ultima scrittura sulla dichiarazione esplicita che il debito assunto nei confronti della A. era di natura personale e non era stato fatto nell’interesse dell’azienda G..

Il giudice del gravame riteneva infondato anche il motivo d’appello comune a G.G., Ar.Ca. e AI.GI.CA. S.r.l. con il quale si censurava la sentenza di primo grado per avere dichiarato la simulazione assoluta dei due atti di compravendita stipulati dalle parti appellanti: il primo concluso con AL.GI.CA. S.r.l. il 19 gennaio 2003 (soli quindi 11 giorni dalla costituzione della società) avente ad oggetto la vendita da parte di G.G. di un suo immobile sito in (OMISSIS), per il corrispettivo di Euro 90.000 e l’altro concluso il 18 gennaio 2005 con la propria moglie Ar.Ca. avente ad oggetto la quota pari alla metà dell’immobile sito in (OMISSIS) per il corrispettivo di Euro 17.000.

La Corte d’Appello rilevava che l’argomentazione circa il fatto che il riconoscimento di debito non era opponibile agli acquirenti era del tutto infondata ed ininfluente e osservava che le considerazioni svolte relativamente al capo della sentenza in oggetto si riferivano in modo confuso e indistinto all’intervenuta pronuncia di simulazione e al contempo anche alla revocabilità degli atti dispositivi prospettata in subordine dall’attrice. In altri termini, gli appellanti si erano limitati ad una generica indistinta contestazione dell’esistenza dei requisiti della simulazione e della revocatoria ex art. 2901 c.c., senza consentire un esame specifico del motivo di gravame sotto ciascuno dei due aspetti e, dunque, il motivo così articolato risultava inammissibile. In ogni caso il tribunale aveva affermato la sussistenza tanto della simulazione quanto dei presupposti per l’inefficacia degli atti.

6. Avverso la suddetta sentenza G.G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi di ricorso.

7. Al.Ca. a sua volta ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.

8. A.L. ha resistito con controricorso.

9. A.L. parte controricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nelle proprie richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso di G.G. è così rubricato: violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2736 c.c..

Il ricorrente censura la statuizione di inammissibilità del giuramento decisorio deferito all’udienza del 3 ottobre 2010, in quanto le circostanze articolate non sarebbero state idonee a determinare, nemmeno in parte, l’esito del giudizio, difettando le stesse anche del requisito stabilito dall’art. 2736 c.c., n. 1.

La Corte territoriale sarebbe incorsa in un error ius posto che, nel dichiarare l’inammissibilità del giuramento, si era limitata a fornire una motivazione tautologica, violando l’obbligo di una congrua motivazione sul punto. Nella specie, invece, il giuramento era ammissibile ed idoneo a definire la lite, in quanto diretto a provare che la A. aveva ricevuto la restituzione di quanto prestato e che il debito si era estinto. Inoltre, l’altro capitolo era diretto a provare che G.G. aveva contratto il debito nell’interesse della società nella piena consapevolezza della creditrice. Tale elemento avrebbe definito il giudizio in forza dell’eccezione di estinzione del credito a seguito di esdebitazione L. Fall. ex art. 184, sollevata in sede di comparsa di costituzione e risposta.

1.2 Il motivo è infondato.

In primo luogo, deve osservarsi che nello svolgimento del motivo il ricorrente non coglie la preclusione sostanziale dedotta dalla Corte d’Appello come specifica ragione del rilievo di inammissibilità, nè illustra le ragioni che avrebbero impedito, in primo grado, di dedurre e provare ciò che intende ottenere con il deferimento che dunque è tardivo (Sez. 3, Sent. n. 21073 del 2015).

Inoltre deve richiamarsi il principio consolidato secondo cui: “la deduzione per la prima volta in sede di appello di nuove circostanze di fatto, così come la proposizione di nuovo eccezioni non è consentita ed è possibile ritenere indispensabile una prova alle condizioni previste dall’art. 345 c.p.c., sempre che il fatto che si assume essere o meno avvenuto sia stato già dedotto in primo grado o comunque sia provato che la mancata deduzione, come la mancata acquisizione della prova siano dipese da causa non imputabile alla parte che ne pretende la ammissione, fattispecie non verificatesi”. Ne consegue che è inammissibile il giuramento decisorio deferito in sede di gravame allorchè verta su una circostanza non dedotta in primo grado, in quanto l’introduzione di un “quid novum” nella fase di appello verrebbe a modificare il principio devolutivo e quello della disponibilità delle prove nei limiti delle regole processuali.

Ciò premesso, deve osservarsi che il ricorrente non aveva mai dedotto di aver restituito integralmente le somme ricevute in prestito, ma solo una restituzione parziale e il carattere non personale del debito. Infine, anche il fatto che il G. non avesse materialmente predisposto le scritture private, da lui poi sottoscritte, era circostanza nuova e, in ogni caso, del tutto irrilevante ai fini della prova che il debito era stato contratto nell’interesse della società.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 c.c., art. 116 c.p.c., comma 2, e L. Fall., art. 184, vizio di motivazione.

La Corte d’Appello sarebbe incorsa in un ulteriore errore di diritto non essendosi soffermata sul fatto che le affermazioni contenute nell’atto di citazione e il contenuto delle scritture private depositate nel fascicolo di primo grado dalla parte attrice integravano una confessione circa la natura del credito vantato. Tali dichiarazioni in base alla giurisprudenza avrebbero un valore confessorio e, inoltre, A.L. aveva reso dichiarazioni discordanti nella memoria ex art. 183 c.p.c., circa il tentativo di coinvolgere gli altri soci.

2.1 Il secondo motivo è inammissibile.

In primo luogo il motivo difetta di specificità, in quanto il ricorrente non riporta esattamente il contenuto della citazione e della memoria ex art. 183 c.p.c..

In ogni caso deve ribadirsi che le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem, costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento. Esse, tuttavia, possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., qualora l’atto sia stato sottoscritto dalla parte personalmente, o con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute (Sez. 2, Ord. n. 23634 del 2018). Tali presupposti non sono neanche dedotti dal ricorrente.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360, n. 3 e 4, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 2, e art. 210 c.p.c., vizio di motivazione.

Il ricorrente lamenta che, sin dal primo grado, aveva chiesto di esibire all’attrice copia degli assegni indicati nelle scritture di cui al fascicolo di primo grado della difesa A. che aveva specificamente reiterato tale richiesta ex art. 210 c.p.c. e la condotta dell’ A. di inottemperanza all’ordine del giudice di primo grado doveva essere valutata ex art. 116 c.p.c., comma 2.

Il giudice non aveva specificato le ragioni per le quali aveva ritenuto che l’ottemperanza all’ordine non fosse più necessaria e senza indicare le ragioni per le quali non aveva ritenuto di trarre dall’inottemperanza argomenti di prova del comportamento omissivo della parte.

3.1 Il motivo è inammissibile.

Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, infatti, l’inosservanza dell’ordine di esibizione di documenti costituisce un comportamento dal quale il giudice può, nell’esercizio di poteri discrezionali, desumere argomenti di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c.. La mancata valorizzazione dell’inosservanza dell’ordine ai fini della decisione di merito non è censurabile in sede di legittimità, neanche per difetto di motivazione, (Sez. L, Sent. n. 2148 del 2017, Sez. 1, Sent. n. 15768 del 2004).

4. Il ricorso di Ar.Ca. si articolo in quattro motivi.

4.1 Il primo motivo è così rubricato: violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 345 c.p.c., comma 3 e all’art. 116 c.p.c., comma 2, e art. 210 c.p.c., mancanza di motivazione in ordine all’inammissibilità dei documenti prodotti all’udienza del 3 gennaio 2013 e all’inosservanza dell’ordine di esibizione.

La difesa della ricorrente aveva depositato in copia 21 assegni consegnati da G.G. a A.L. che provavano la restituzione di quanto il primo aveva ricevuto in prestito dalla seconda.

La Corte territoriale non ha fatto alcun cenno a tale documentazione, omettendo completamente di considerarla, mentre la stessa, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, era ammissibile perchè decisiva rispetto alla soluzione della controversia. Infatti, la circostanza che il G. avesse consegnato alla A. le somme di denaro indicate nei titoli depositati era astrattamente idonea a paralizzare la pretesa creditoria dell’ A.’ e determinava il venir meno del presupposto stesso dell’azione di simulazione e revocatoria. In ogni caso tali documenti avrebbero potuto condurre la Corte ad una migliore valutazione delle prove anche in considerazione della mancata ottemperanza all’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. di copia delle matrici e delle scritture contabili provenienti dalla banca relativa gli assegni consegnati a G.G..

La ricorrente ritiene violato l’art. 116 c.p.c., comma 2, per non avere la Corte tenuto conto nella motivazione di tale inottemperanza.

4.1 Il motivo è infondato.

Sull’inottemperanza all’ordine di esibizione non può che ripetersi quanto già detto con riferimento al terzo motivo circa la non sindacabilità in cassazione della mancata valorizzazione dell’inosservanza dell’ordine ai fini della decisione di merito.

Con riferimento alla declaratoria di inammissibilità della prova documentale richiesta in appello dal ricorrente, la decisione impugnata è immune dai vizi prospettati in quanto “Nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, quale risulta dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 (applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 – nella specie la sentenza è del 2014), pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l'”indispensabilità” degli stessi, e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (Sez. 3, Sent. n. 26522 del 2017).

5 Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2732 e 2735 c.c. e alla L.Fall., art. 184.

La ricorrente ritiene che la corte territoriale abbia errato nel non tenere conto della confessione circa la natura del credito effettuata nell’atto di citazione e nel contenuto delle scritture private depositate dalla controparte. L’art. 2732 c.c., stabilisce che la confessione non può essere revocata se non quando determinata da errore di fatto o violenza. L’errore di diritto della Corte di Appello sarebbe dunque evidente in quanto a fronte delle dichiarazioni confessorie provenienti dell’attrice avrebbe dovuto ritenere applicabile il disposto di cui alla L. Fall., art. 184 ed estinto il credito non essendosi la creditrice insinuata nella procedura fallimentare.

5.1 La censura è interamente sovrapponibile a quella svolta dal G. con il terzo motivo e ne segue la medesima sorte di inammissibilità.

In primo luogo, il motivo difetta di specificità, in quanto il ricorrente non riporta esattamente il contenuto della citazione e della memoria ex art. 183 c.p.c..

In ogni caso deve ribadirsi che le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem, costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento. Esse, tuttavia, possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., qualora l’atto sia stato sottoscritto dalla parte personalmente, o con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute (Sez. 2, Ord. n. 23634 del 2018). Tali presupposti non sono neanche dedotti dal ricorrente.

6. Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 163 c.p.c., n. 4, e art. 183 c.p.c., comma 6, mutatio libelli non consentita.

L’attrice aveva fondato l’azione sulle scritture datate 25 ottobre 2006 e 17 gennaio 2006 dalle quali si evinceva che il credito era stato erogato al G. quale legale rappresentante della G. snc per far fronte agli impegni della società. La domanda fondata sulla scrittura depositata nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, violerebbe il divieto di mutamento della domanda perchè il credito risulterebbe azionato sulla base di un titolo diverso. La domanda nuova dove essere dichiarata inammissibile ex officio.

6.1 Il motivo è inammissibile.

La questione non risulta affrontata nella sentenza d’appello e la ricorrente non indica in quale atto abbia sollevato tale eccezione.

Pertanto, deve darsi continuità al seguente principio di diritto: Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla S.C. di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Sez. 6-1, Ord. n. 15430 del 2018).

In ogni caso giova ribadire anche che: “La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (Sez. U, Sent. n. 12310 del 2015).

7. Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2736 c.c. e art. 233 c.p.c..

La ricorrente censura la statuizione del giudice circa l’inammissibilità del deferimento del giuramento decisorio in quanto i capitoli articoli erano idonei a definire il giudizio, perchè idonei a provare: che l’ A. aveva ricevuto la restituzione di quanto prestato al G.; che il debito era stato contratto nell’interesse della società e di ciò la creditrice era a conoscenza.

7.1 Anche in questo caso la censura è interamente sovrapponibile a quella svolta dal G. con il primo motivo e ne segue la medesima sorte di infondatezza per le medesime ragioni ivi esposte.

8. Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 342 c.p.c., mancanza di motivazione circa la ritenuta inammissibilità del motivo di appello sull’inesistenza dei presupposti della domanda di simulazione dell’azione revocatoria.

Il ricorrente riporta integralmente il motivo di appello dichiarato inammissibile dal giudice del gravame e ritiene che lo stesso non violi il disposto di cui all’art. 342 c.p.c..

In particolare, con il motivo si contestava la simulazione, evidenziando che era stato versato il prezzo di entrambi i contratti di compravendita e l’irrilevanza del fatto che le compravendite fossero posteriori rispetto all’accensione del debito, non essendoci la prova della conoscenza, al momento della conclusione del contratto, in capo agli acquirenti dell’esistenza stessa del debito. Dunque, le appellanti non si erano limitate ad una generica ed indistinta contestazione dell’esistenza dei requisiti della simulazione e della revocatoria ex art. 2901 c.c., avendo contrapposto alle tesi del tribunale argomentazioni logiche fondato sugli atti processuali.

8.1 Il motivo è infondato.

Non coglie la ratio decidendi del giudice dell’appello basata sul fatto che la sentenza di accoglimento del giudice di primo grado si fondava a sua volta su una duplice ratio: la sussistenza della simulazione e la sussistenza dei presupposti per l’azione revocatoria.

Nell’appello, invece, la ricorrente aveva censurato la sussistenza della simulazione e della revocazione senza articolare critiche specifiche all’una piuttosto che all’altra.

Dalla lettura del motivo di appello riportato integralmente dal ricorrente emerge che le argomentazioni si incentravano quasi esclusivamente sull’erronea dichiarazione di simulazione assoluta del contratto. Rispetto, invece, alla sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., il ricorrente si limitava all’affermazione della mancanza della consapevolezza di arrecare pregiudizio ai creditori di G.G.. La Corte d’Appello richiama sul punto, facendola propria, la motivazione del giudice di prime cure che aveva affermato che la domanda dell’attrice doveva essere accolta non solo in relazione alla simulazione ma anche in relazione alla declaratoria di inefficacia degli atti di disposizione compiuti, tenuto conto che già nel gennaio del 2003 vi erano stati diversi prestiti dei quali erano sicuramente a conoscenza sia la ricorrente Ar., che la Società da lei costituita appena dieci giorni prima della stipula del relativo rogito.

Risulta, pertanto, conforme al disposto di cui all’art. 342 c.p.c., la declaratoria di inammissibilità dell’appello in relazione a tale motivo che non conteneva una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confutasse e contrastasse le ragioni addotte dal primo giudice.

In ogni caso non può che evidenziarsi l’emersione ictu oculi, nel caso di specie, degli elementi oltre che dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., anche della simulazione assoluta. Tali elementi, come rappresentato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, sono costituiti da: una società acquirente costituita nell’ambito del ristretto nucleo familiare pochi giorni prima del rogito; prezzo del tutto incongruo e non pagato; alienazione al coniuge; anteriorità del debito del venditore.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1-quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 7500 di cui 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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