Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22586 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. I, 27/09/2017, (ud. 27/04/2017, dep.27/09/2017),  n. 22586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5726/2011 proposto da:

Unicredit S.p.a., (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

L. Settembrini n.30, presso l’avvocato Garofalo Massimo, che la

rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio dott.

S.A. di (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a. (p.i. 03164330106), in persona del

Curatore dott. M.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Salaria n.259, presso l’avvocato Passalacqua Marco, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Arato Marco, Olivieri

Mario, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 175/2010 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 17/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2017 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Genova ha accolto parzialmente la domanda revocatoria di rimesse solutorie affluite sul conto corrente della (OMISSIS) spa in periodo sospetto, condannando la Banca di Roma spa, convenuta e costituita nel giudizio, alla restituzione di Euro 5.887,28, oltre interessi, in favore del Fallimento (OMISSIS).

Nel giudizio di appello, introdotto dal Fallimento (OMISSIS), si è costituita la nuova Banca di Roma spa (poi divenuta Unicredit Banca di Roma spa), la quale si è difesa nel merito e, preliminarmente, ha eccepito di essere stata erroneamente convenuta in appello, in quanto priva della titolarità del rapporto giuridico dedotto in causa, rimasta in capo ad un soggetto giuridico diverso, cioè alla vecchia Banca di Roma, poi denominata Capitalia spa e successivamente Unicredit spa (soggetto diverso da Unicredit Banca di Roma spa), con la conseguenza che la sentenza impugnata era passata in giudicato in quanto impugnata nei confronti di un soggetto non legittimato passivamente.

La Corte d’appello di Genova, con sentenza 17 febbraio 2010, ha accolto il gravame del Fallimento ed ha condannato la Banca di Roma, poi divenuta Capitalia spa, a restituire il maggior importo di Euro 127.996,00, oltre interessi.

La Corte ha ritenuto che correttamente e univocamente il Fallimento (OMISSIS) aveva appellato la sentenza del Tribunale nei confronti della controparte originaria, soccombente in primo grado, avendo notificato l’atto di appello nel domicilio eletto nel primo giudizio presso lo studio del difensore della vecchia Banca di Roma spa; il processo, a norma dell’art. 111 c.p.c., comma 1, doveva proseguire nei confronti del soggetto originario, il quale non si era estinto ma aveva mutato denominazione (in Capitalia spa) ed era rimasto contumace, non essendosi costituito in appello; la nuova Banca di Roma (poi Unicredit Banca di Roma spa), costituita in appello, non aveva legittimazione passiva, perchè non assumeva di essere successore a titolo particolare dell’appellata, nè v’era prova che il credito costituente oggetto della revocatoria rientrasse tra quelli ceduti a Unicredit Banca di Roma; quindi, la sua comparsa di costituzione in appello valeva come inammissibile intervento in causa; nel merito, la Corte ha riscontrato la conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca in epoca precedente a quella, indicata dal primo giudice (in data 25 settembre 1996), della revoca degli affidamenti e della richiesta di rientro, in considerazione di varie circostanze significative per un operatore professionale come la banca.

Avverso questa sentenza la Unicredit spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; il Fallimento (OMISSIS) ha resistito con controricorso. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Si osserva, preliminarmente, che la ricorrente Unicredit contrariamente a quanto dedotto dal Fallimento (OMISSIS) nel controricorso – è legittimata a proporre il ricorso in esame, avendo incorporato tutte le società del gruppo, ivi compresa Capitalia, titolare del rapporto controverso (nel senso che il successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c., può tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, esercitando il potere di azione che gli deriva dall’acquistata titolarità del diritto controverso, v. Cass. n. 5759/2016).

Con il primo motivo la ricorrente Unicredit spa ha denunciato violazione o falsa applicazione degli artt. 100 e 101 c.p.c., e art. 111 c.p.c., comma 1, nullità del procedimento di appello e vizio di motivazione, per il rigetto dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva della nuova Banca di Roma, erroneamente evocata dal Fallimento (OMISSIS) nel giudizio di appello, in luogo della vecchia (e diversa) Banca di Roma, poi divenuta Capitalia – titolare di tutti i rapporti già facenti capo alla prima – ed ora Unicredit, incorporante tutte le società del gruppo, ivi comprese Capitalia e Unicredit Banca di Roma; con la conseguenza che, essendo stata impugnata nei confronti di un soggetto non legittimato, la sentenza di primo grado era passata in giudicato.

Il motivo è inammissibile.

Esso censura il capo della sentenza impugnata che ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della nuova Banca di Roma-Unicredit Banca di Roma, la quale, non essendo succeduta alla vecchia Banca di Roma-Capitalia (titolare del rapporto controverso), non era legittimata a stare in giudizio; ciò allo scopo di fare accertare l’erronea costituzione del rapporto processuale in appello con il Fallimento (OMISSIS) e di dimostrare, quindi, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Il motivo in esame, tuttavia, non coglie la ratio decidendi con la quale la Corte d’appello ha affermato che il rapporto processuale si era validamente instaurato in appello con la medesima banca originariamente convenuta nel giudizio di primo grado (vecchia Banca di Roma-Capitalia), rimasta contumace, per la plausibile ragione che quest’ultima era destinataria dell’atto di appello della sentenza che l’aveva vista parzialmente soccombente, ritualmente notificato presso l’originario difensore. Inoltre, la ricorrente Unicredit non censura la decisiva affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il soggetto costituito in appello non assumeva di essere successore a titolo particolare di Capitalia e titolare del rapporto controverso, con la conseguenza che tale soggetto non aveva titolo per spiegare intervento in appello ex art. 111 c.p.c..

Il Fallimento controricorrente ha ulteriormente eccepito che alla ricorrente Unicredit sarebbe ormai preclusa la facoltà di difendersi nel merito, non potendo essa far valere le domande ed eccezioni già avanzate in primo grado dalla vecchia Banca di Roma-Capitalia, ma da questa rinunciate in quanto non riproposte, essendo rimasta contumace in appello. E’ una tesi infondata, non essendo concepibile che su un capo della sentenza che sia stato appellato da una parte (nella specie, dal Fallimento (OMISSIS), con esito favorevole) si sia formato un giudicato opponibile all’altra parte; non rileva che quest’ultima sia rimasta contumace in appello, ciò non precludendo al successore a titolo particolare – nella specie a Unicredit – la facoltà di proporre ricorso per cassazione, facendo valere motivi di illegittimità della sentenza impugnata. Pertanto, il capo della sentenza concernente la revocatoria delle rimesse bancarie, appellata dal Fallimento (parzialmente) soccombente, non integra un giudicato opponibile alla banca ricorrente per cassazione, che agisca in via di successione a titolo particolare ex art. 111 c.p.c., non rilevando che essa sia rimasta contumace nel giudizio di appello.

Con gli altri motivi è denunciata violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, e vizio di motivazione, per avere ritenuto la scientia decoctionis in base ad elementi inconsistenti e da epoca precedente alla revoca dei fidi (in data 20 settembre 1996); per avere mal valutato la circostanza che la (OMISSIS) era affidata presso altre banche, il che significava che il sistema bancario la riteneva meritevole di credito, e per non avere considerato che il conto non era costantemente passivo ma presentava un’alternanza di operazioni attive e passive (secondo motivo); per avere escluso l’esistenza di un’apertura di credito in conto corrente, che risultava dalla documentazione prodotta in giudizio dalla banca e ignorata dalla Corte d’appello (terzo motivo).

Entrambi i motivi sono inammissibili.

Va ricordato che, in tema di elemento soggettivo dell’azione revocatona proposta L. Fall., ex art. 67, comma 2, la scientia decoctionis in capo al terzo, come effettiva conoscenza dello stato di insolvenza, è oggetto di apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivatà, potendosi formare il relativo convincimento anche attraverso il ricorso alle presunzioni, alla luce del parametro della comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria diligenza, con rilevanza peculiare della condizione professionale dell’accipiens e del contesto nel quale gli atti solutori si sono realizzati (Cass. n. 8827/2011, n. 12306/2010, 2557/2008).

La sentenza impugnata ha adeguatamente argomentato in ordine alla conoscenza dello stato di insolvenza, avendo riguardo alla categoria di appartenenza del terzo e all’onere di informazione tipico del settore di operatività, sulla base degli estratti della Centrale rischi della Banca d’Italia, da cui risultava che sin da aprile 1996 la (OMISSIS) aveva iniziato a superare il fido e che la situazione debitoria era andata via via peggiorando, e dell’andamento costantemente passivo del conto corrente, rimasto aperto solo per ricevere rimesse per la riduzione del passivo; ha ritenuto non provata la circostanza che il conto fosse affidato. Gli argomenti addotti dal ricorrente in senso contrario mirano ad una rivisitazione del giudizio di fatto, inammissibile in questa sede.

In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

 

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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