Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22585 del 10/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 10/08/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 10/08/2021), n.22585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11334-2018 proposto da:

G.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CORRADO MARTELLI;

– ricorrente –

contro

D.E. HOLDING ITALY S.R.L., già SARA LEE BRANDED APPAREL ITALIA

S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA QUATTRO FONTANE n. 20, presso

lo studio dell’avvocato MATTEO FUSILLO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 238/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 03/04/2017 R.G.N. 1201/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Messina, con la pronuncia emessa il 18.9.2019, in parziale accoglimento della domanda proposta da G.A., agente di commercio da ultimo, a seguito di varie incorporazioni, della società Sara Lee Branded Apparel Italia spa, divisione DIM, gli riconosceva il diritto ad ottenere la somma di Euro 4.280,44 (di cui Euro 4236,51 a titolo di differenze sull’indennità di preavviso, quantificata in sette mensilità, ed Euro 43,93 a titolo di differenze sulla indennità suppletiva di clientela) oltre accessori.

2. La Corte di appello di Messina, con la sentenza n. 238 del 2017, rigettava il gravame principale del G. e, in parziale accoglimento di quello incidentale, condannava la D.E. Holding srl (già Sara Lee Branded Apparel Italia srl) al pagamento, a titolo di indennità di mancato preavviso, della somma di Euro 2.225,96 oltre accessori, compensando tra le parti le spese di lite in ragione di due terzi e condannando la società alla rifusione della restante quota.

3. I giudici di seconde cure rilevavano che, dalla istruttoria espletata, ai fini della quantificazione dell’indennità di mancato preavviso, non era emerso che tutti gli ordinativi contenuti nei “rapportini settimanali” non fossero stati evasi per la responsabilità della mandante; precisavano che, in ordine alla determinazione dell’indennità suppletiva di clientela, così come per l’indennità di scioglimento del contratto, non erano stati avanzati specifici motivi di censura; quanto alla indennità di mancato preavviso, sottolineavano che andava applicato l’AIEC Industria, che prevedeva una somma pari a sei mensilità per cui al G. spettava l’importo minore, rispetto a quanto già corrisposto, di Euro 2.225,96; per le spese di giudizio, tenuto conto dell’esito della complessiva vicenda, esse andavano compensate nella misura di due terzi, ponendo la residua parte a carico della società.

4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione G.A. affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la D.E. Holding Italy srl.

5. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo si denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697,1748,1749 c.c. e art. 24 Cost. (principio di vicinanza e disponibilità delle prove), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la Corte territoriale rilevato che esso ricorrente aveva pacificamente provato i fatti, relativi alle pretese azionate in giudizio, sia mediante il deposito di idonea prova documentale sia attraverso l’espletata prova testimoniale.

3. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo il ricorrente che l’eventuale cassazione della sentenza con rinvio o senza rinvio dovesse comportare che anche questo capo della decisione impugnata relativo alle spese venisse riformato con la condanna integrale al pagamento delle stesse in ordine ai giudizi di primo e secondo grado ex art. n. 55 del 2014.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. Invero, le violazioni di legge denunciate sono insussistenti, in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalle disposizioni di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

6. In realtà, il motivo scrutinato è essenzialmente inteso alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 6288 del 2011).

7. E ciò per la corretta ed esauriente argomentazione, senza alcun vizio logico nel ragionamento decisorio, delle ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto solo in parte fondata la pretesa del G..

8. Anche il secondo motivo è inammissibile.

9. Con esso, infatti, non si intende censurare in senso tecnico una statuizione dei giudici di seconde cure, ma si prospetta solo che l’eventuale cassazione della gravata sentenza, con o senza rinvio, avrebbe dovuto comportare anche la riforma del capo relativo alle determinazioni sulle spese di tutti i gradi.

10. Trattasi di questione che chiaramente non costituisce un vizio tipizzato dall’art. 360 c.p.c. concretante una violazione di legge sostanziale o processuale ovvero un difetto di motivazione sindacabile in sede di legittimità.

11. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

12. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021

 

 

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