Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22579 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 07/11/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 07/11/2016), n.22579

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2686/2012 proposto da:

D.G.V., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LAMARMORA 8, presso lo studio dell’avvocato MARIA BEATRICE CAPENTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO MANFREDI;

– ricorrente –

contro

D.G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL

RISORGIMENTO 14, presso lo studio dell’avvocato LUIGI VINCENZO, che

la rappresenta difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3572/2011 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

18/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato MANFREDI Carlo, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MIGLIORELLI Cristina con delega depositata in

udienza dell’Avvocato VINCENZO Luigi, difensore del resistente che

si riporta agli atti depositati;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso; rigetto ex art. 384 c.p.c., su domanda proposta della

sig.ra D.G.M. e sua condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.G.M., proprietaria un fondo sito in (OMISSIS) – su cui insisteva un pozzo bianco che l’atto di cessione di quote e divisione intercorso tra la stessa, D.G.V. e D.G.E. poneva a disposizione dei condividenti, facendo a questi carico delle relative spese di gestione, manutenzione e riparazione – conveniva in giudizio D.G.V. avanti al Giudice di pace di Roma per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 644,72, quale rimborso, pro quota, delle spese sostenute per l’interramento del pozzo. Esponeva che il proprio terreno era situato nell’area di competenza dell’Ente parco regionale dell’Appia antica che, con provvedimento del 14 gennaio 2005, aveva per l’appunto disposto l’eliminazione del pozzo.

Si costituiva in giudizio D.G.V. il quale rilevava come dall’atto di divisione dovesse desumersi che le spese per la suddetta eliminazione non fossero poste a carico di tutti i condividenti.

Il Giudice di pace accoglieva la domanda, condannando il convenuto al pagamento della somma richiesta.

Proposto appello da parte del convenuto, il Tribunale di Roma lo respingeva con sentenza pubblicata il 18 febbraio 2011. Riteneva il Tribunale che il giudice di prime cure avesse fatto corretta applicazione dell’art. 1069 c.c., norma, questa, che, all’ultimo comma, prevedeva che le spese che giovano al fondo servente debbano essere poste a carico sia del proprietario di questo, che del proprietario del fondo dominante, in proporzione dei rispettivi vantaggi: con la conseguenza che ove il proprietario del fondo servente avesse eseguito su quest’ultimo opere necessarie alla conservazione della servitù, da individuarsi anche in interventi diretti alla estinzione della stessa, le relative spese dovessero essere sostenute da tutti gli interessati, e quindi anche dal proprietario del fondo dominante. Rilevava, inoltre, che l’atto di divisione andasse interpretato nel senso di accollare su tutti i condividenti vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla servitù e che ove la convenzione contrattuale non consentisse di dirimere dubbi circa il contenuto dei diritti delle parti, il giudice fosse tenuto a ricorrere al criterio sussidiario del contemperamento delle esigenze del fondo dominante con quelle del fondo servente. Osservava infine che correttamente il Giudice di pace aveva ritenuto che, in presenza dell’interramento ordinato dall’ente pubblico, anche l’odierno appellante avrebbe potuto e dovuto impugnare il provvedimento nelle sedi competenti, facendo valere i vizi dedotti.

La sentenza è stata impugnata da D.G.V. con un ricorso affidato a due motivi. Resiste con controricorso D.G.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’attribuzione in capo al proprietario del fondo dominante di un’obbligazione di rimborso basata sul riparto delle spese sostenute per la rimozione delle opere a servizio della servitù. Lamenta il ricorrente che il Tribunale aveva irragionevolmente operato una immotivata equiparazione tra le spese necessarie alla conservazione della servitù e quelle sostenute per l’estinzione della stessa, ove quest’ultime fossero imposte da un provvedimento amministrativo. Secondo l’istante, inoltre, la pronuncia risultava incomprensibile laddove poneva un onere contributivo anche al proprietario del fondo dominante; osservava come il proprietario del fondo servente avesse conseguito un concreto beneficio dalla eliminazione del pozzo: beneficio derivante dell’impossibilità, di fatto, per il titolare del fondo dominante, di esercitare la servitù che era stata costituita. Il motivo censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui afferma che il ricorrente, onde evitare di pagare le spese di rimozione del pozzo, avrebbe dovuto proporre ricorso avverso il provvedimento dell’Ente parco: in tal modo, infatti, si era attribuita all’ipotizzata acquiescenza del ricorrente rispetto al provvedimento dell’autorità amministrativa una valenza impropria, non potendo la prospettata scelta di non impugnare l’atto rappresentare la fonte di obbligazione.

Con il secondo mezzo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1069 e 1030 c.c.. La prima di dette disposizioni, infatti, stabiliva le modalità di ripartizione delle spese, facendo riferimento alla proporzione dei rispettivi vantaggi: nella specie si era invece riversato sul proprietario del fondo dominante un onere economico relativo a spese che non potevano dirsi necessarie alla conservazione del bene in funzione dell’esercizio della servitù. Secondo il ricorrente, dall’art. 1069, poteva trarsi il principio di equità per cui devono evitarsi indebiti arricchimenti da parte del proprietario del fondo dominante: onde costui poteva pretendere di riversare sul proprietario del fondo dominante i soli oneri afferenti il mantenimento della servitù. Del resto, l’interpretazione estensiva operata dal giudice dell’impugnazione confliggeva con la previsione dell’art. 1030 c.c., che escludeva in via generale la necessità, per il proprietario del fondo servente, di eseguire prestazioni accessorie per rendere possibile l’esercizio della servitù da parte del titolare, salvo che la legge o il titolo disponessero diversamente. Le spese occorrenti per l’interramento del pozzo, in quanto inerenti ad un manufatto della piena ed esclusiva titolarità della proprietaria del fondo servente, costituivano l’oggetto di un’obbligazione reale: figura, questa, rispetto alla quale l’individuazione del debitore avviene per relationem, avendo riguardo alla titolarità del bene.

I due motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono fondati.

Occorre premettere che la causa, avendo il valore di Euro 644,72, rientra tra quelle che il giudice di pace deve decidere secondo equità, giusta l’art. 113 c.p.c., comma 2. A tali cause si applica l’art. 339 c.p.c., comma 3, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 1, relativo alla impugnabilità della sentenza per violazione delle norme del procedimento, per violazione delle norme costituzionali o comunitarie, ovvero dei principi regolatori della materia. Il testo novellato dell’art. 339, comma 3, d’altro canto, si applica ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e cioè al 2 marzo 2006, salvo che il provvedimento del giudice di pace sia stato pubblicato entro la data suddetta: ciò che nella fattispecie non è, visto che la sentenza di primo grado è stata pronunciata nel 2008.

In caso di causa da decidersi secondo equità, poi, la sentenza di appello è censurabile in cassazione per l’inosservanza delle norme sul procedimento, ovvero delle norme costituzionali o comunitarie, o dei principi regolatori della materia, posto che la violazione di legge deducibile in sede di legittimità in caso di ricorso avverso sentenza di appello resa su pronuncia di equità del giudice di pace va pur sempre rapportata alla violazione di tali norme e di tali principi (cfr. in tema Cass. 24 febbraio 2015, n. 3715).

Ora, il Tribunale ha ritenuto di desumere dall’art. 1069 c.c., il principio per cui anche le opere necessarie all’estinzione della servitù, se imposte da una pubblica autorità, debbano essere sostenute da tutti i soggetti interessati, e quindi anche dal proprietario del fondo dominante. Ha poi richiamato il titolo contrattuale, attraverso cui è stata costituita la servitù: ma ciò in modo contraddittorio, prima ammettendo che esso non aveva disposto alcunchè in ordine alle spese necessarie all’estinzione della servitù, poi rilevando che lo stesso accollava a tutti i condividenti i vantaggi e gli svantaggi della servitù e infine rilevando che, in caso di dubbio sul contenuto della prescrizione convenzionale, andava applicato il criterio sussidiario del contemperamento delle esigenze del fondo dominante con la necessità di arrecare il minor aggravio al fondo servente.

Sotto quest’ultimo profilo, la sentenza non prospetta una autonoma ratio decidendi idonea a sorreggere la statuizione adottata: sia in quanto il percorso argomentativo della pronuncia è, sul punto, insanabilmente privo della necessaria coerenza, sia in quanto, come correttamente dedotto dal ricorrente, non appare affatto concludente, ai fini dell’accoglimento della domanda proposta, la previsione negoziale circa l’obbligo, in capo ai contraenti, di sostenere le “spese relative alla gestione, riparazione e manutenzione del pozzo”.

Per quel che attiene, invece, all’attuata equiparazione tra spese per la conservazione del pozzo e spese per la sua rimozione, occorre ricordare che l’art. 1069 c.c., il quale stabilisce che, nel caso in cui le opere necessarie alla conservazione della servitù, eseguite dal proprietario del fondo dominante sul fondo servente, giovano anche a quest’ultimo, le relative spese debbono essere sostenute da entrambi i soggetti del rapporto giuridico di servitù in proporzione dei rispettivi vantaggi – non costituisce una norma eccezionale, ma, al contrario, rappresenta l’applicazione di un più generale principio di equità genericamente ispirato all’esigenza di evitare indebiti arricchimenti (così Cass. 5 luglio 1975, n. 2637). Non ha allora fondamento la proposizione secondo cui le spese per l’interramento del pozzo, non più utilizzabile in base a una disposizione dell’autorità amministrativa, debbano far carico al proprietario del fondo dominante. Se, infatti, il principio sotteso alla norma richiamata è quello di evitare ingiuste locupletazioni, non si vede per quale ragione il proprietario del fondo dominante, che vede esclusa, per il futuro, e per effetto del disposto interramento del pozzo, la possibilità di esercitare la servitù, debba sostenere il costo delle opere necessarie a tal fine: opere, di cui, in definitiva, si gioverà il solo proprietario del fondo servente, che vedrà attuata, in fatto, la riespansione delle proprie facoltà di godimento del fondo, non più gravato dell’altrui possesso della servitù di attingimento.

La regola equitativa desunta, per astrazione generalizzante, dalla disciplina positiva, cui il Tribunale avrebbe dovuto conformarsi è, quindi, quella per cui in materia di servitù il riparto degli oneri è informato al divieto di ingiustificati arricchimenti. Tale regola escludeva il rimborso delle spese di cui si dibatte nel presente giudizio.

Carente di consistenza è, poi, l’argomento speso dal Tribunale con riguardo alla mancata impugnativa, da parte del ricorrente, del provvedimento amministrativo: argomento che, del resto, nemmeno pare assurgere ad autonomo fondamento motivazionale dell’impugnata pronuncia. E’ evidente, al riguardo, che quel che rileva, ai presenti fini, è la legittimità o illegittimità della regolamentazione degli oneri conseguenti al prescritto interramento del pozzo: profilo, questo, cui risulta essere del tutto estraneo il tema relativo all’impugnazione del provvedimento dell’autorità che tale interramento aveva disposto.

In conclusione, il ricorso è accolto. Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, alla cassazione della sentenza segue, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la decisione della causa nel merito. La domanda attrice viene dunque rigettata.

Le spese dei precedenti gradi di giudizio sono riversati sulla controricorrente, in base al principio di soccombenza; nello stesso modo sono regolate quelle della presente fase.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda attrice; condanna la controricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 500,00 per diritti e Euro 300,00 per onorari, oltre rimborso spese generali, per il primo grado, e in Euro 350,00 per diritti, Euro 300,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, per l’appello; condanna altresì la controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 350,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso delle spese per il contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre

2016

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