Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22578 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. II, 10/09/2019, (ud. 22/05/2018, dep. 10/09/2019), n.22578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1287/2017 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO

45, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MATTEO, rappresentato

difeso dall’avvocato DONNINO DONNINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositato il

04/11/2016, RGn. 186/2016 VG, Cron. 1159/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/05/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCALISI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.L., con ricorso depositato il 23/12/2015 lamentava l’eccessiva durata di un giudizio civile che, incardinato dinanzi al Tribunale di Pesaro (con citazione notificata il 31/1/2000), s’era concluso con sentenza del 17/5/2007, contro la quale l’altra parte aveva interposto appello (con citazione notificata il 25/6/2008), e che s’era concluso con sentenza della Corte d’Appello di Ancona, depositata il 26/1/2015, passata in giudicato, chiedeva che venisse condannato il Ministero della Giustizia al pagamento di un indennizzo, in applicazione della L. n. 89 del 2001.

Il Giudice designato dal Presidente accoglieva la domanda, limitando però l’indennizzo entro il limite del 50% della somma 2.251,14) che la complessiva decisione, del Tribunale e della Corte d’Appello, aveva liquidato in favore dei contendenti le cui contrapposte domande erano state parzialmente accolte,

Contro tale decreto il F. proponeva opposizione, L. n. 89 del 2001, ex art. 5, deducendo che – ai fini dell’individuazione del limite posto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3 – doveva tenersi conto non soltanto della somma di cui si è appena detto (liquidata dal Giudice a titolo di ristoro del danno), ma, anche, della condanna all’eliminazione dei vizi dell’immobile compravenduto; e lamentava, ulteriormente, che il Giudice non aveva neppure liquidato per intero le spese del giudizio di equa riparazione (pari ad Euro 359,76, mentre col decreto gli era stata liquidata la somma di Euro 150).

La Corte di Appello di L’Aquila con decreto n. cronol. 1159 del 2016 accoglieva parzialmente l’appello e per l’effetto condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 4.500,00 compensando le spese del grado. Secondo la Corte distrettuale tenuto conto della durata del processo presupposto e tenuto conto dei parametri di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, nel testo vigente ratione temporis), nonchè dell’esito del processo presupposto, appariva equo liquidare la somma di Euro 4.500,00.

La cassazione di questo decreto è stata chiesta da F.L. con ricorso affidato a due motivi. Il Ministero della Giustizia in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il sig. F.L. denuncia nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, nel testo precedente le modifiche apportate dalla L. 208 del 2015, art. 1, comma 777. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale nel determinare l’equo indennizzo richiesto abbia applicato la misura di Euro 500,00 per ogni anno di ritardo e non, invece, Euro 750 per ogni anno di ritardo per i primi tre anni e di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo per quelli successivi. Per altro, aggiunge la ricorrente, la stessa Corte distrettuale nel procedimento ex legge Pinto promosso da A.A. per una stessa identica causa avrebbe liquidato una somma di Euro 8.250,00, proprio applicando il criterio di cui si è detto.

1.1. – Il motivo è infondato

La L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, stabilisce che il giudice liquida a titolo di equa riparazione una somma di denaro, non inferiore a 500,00 e non superiore a 1.500,00 Euro, per ciascuno anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, eccedente il termine di durata ragionevole (1 comma); e prevede che l’indennizzo sia determinato ai sensi dell’art. 2056 c.c., tenendo conto dell’esito del processo in cui s; è verificata la violazione, del comportamento del giudice e delle parti, della natura degli interessi coinvolti e del valore e della rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte (comma 2). Detta norma positivizza un campo di variazione dell’indennizzo (500,00 – 1.500,00 Euro per ogni anno di ritardo) ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte Suprema già prima della modifica legislativa, essendosi individuato nel criterio di 500,00 Euro all’anno, una misura idonea a contemperare la serietà dell’indennizzo con l’effettiva consistenza della pretesa fatta valere nel giudizio presupposto (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 5277/15, secondo cui tale approdo consente di escludere che un indennizzo di 500,00 Euro per anno di ritardo possa essere di per sè considerato irragionevole e quindi lesivo dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte Europea intende assicurare in relazione alla violazione del termine di durata ragionevole del processo). La nuova norma, inoltre, è stata ritenuta conforme al dettato costituzionale da Cass. n. 22772/14, che ha dichiarato, tra l’altro, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1, della CEDU, della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2-bis, atteso che la ragionevolezza del criterio di 500,00 Euro per anno di ritardo recepisce indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte EDU. Ciò posto, poichè compresa tra il minimo ed il massimo anzi detto, la scelta del moltiplicatore annuo da applicare al ritardo, nella definizione del processo presupposto, è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale deve decidere tenendo conto (come recita la norma) dei parametri di valutazione elencati nelle lett. da a) a d), medesimo art. 2-bis, comma 2.

1.2. – Con l’ulteriore precisazione che i parametri di cui si dice costituiscono indicatori cui il giudice può variamente attingere per orientare il quantum della liquidazione equitativa dell’indennizzo. La norma, se da un lato esclude che siano valorizzabili fattori di natura diversa, dall’altro non detta dei tassativi temi di accertamento, tutti e ciascuno oggetto di specifica indagine e di singola valutazione in punto di fatto. Il giudice di merito, pertanto, nel determinare l’ammontare dell’equa riparazione, non è tenuto ad esaminare ognuno dei suddetti parametri, ma deve tenere conto di quelli tra questi che ritiene maggiormente significativi nel caso specifico. Lo scrutinio e la valutazione degli elementi della fattispecie che consentono di formulare il giudizio di sintesi sul patema derivante dalla durata irragionevole del processo, costituisce un caratteristico apprezzamento di puro fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti ammessi dall’art. 360 c.p.c., n. 5.

1.3. – Ora, nel caso in esame, la Corte distrettuale ha rispettato questi principi specificando, sia pure in modo sintetico, che, nel determinare l’equo indennizzo richiesto, ha tenuto conto “(….) dei parametri di legge “L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, nel testo ratione temporis” e dell’esito del processo (il ctu ha ritenuto sussistere solo una minima parte dei vizi che erano stati lamentati dal F.) (….)”. Pertanto, il decreto impugnato non merita di essere censurato.

1.4. – Va altresì, chiarito che la mera circostanza che il processo si sia protratto a lungo non legittima presunzioni di alcun genere in ordine alla sussistenza dei requisiti di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, la cui sussistenza, invece, va dedotta e provata dal ricorrente, in base ai principi sull’onere della prova. Con l’ulteriore conseguenza che il ricorrente non può, dunque, lamentarsi della somma che gli è stata liquidata, deducendo una mera disparità di trattamento con quanto sia stato liquidato ad altro soggetto in giudizio analogo a quello in esame.

Inconferente, dunque, è l’osservazione del ricorrente in ordine alla circostanza che in merito ad una identica causa la Corte distrettuale abbia liquidato un equo indennizzo diversa a favore di altro soggetto, perchè non è dato sapere quale siano state le ragioni di quella liquidazione e quali prove in merito alla sussistenza dei requisiti di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, siano state offerte.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa indicazione nel dispositivo del decreto impugnato della liquidazione degli esborsi, correzione della sentenza. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale, nonostante il F. avesse depositato la nota delle spese dalla quale risultavanoesborsi per Euro 359,76 e chè, pertanto, il Giudice non avrebbe potuto liquidare una somma inferiore, tuttavia nel dispositivo non avrebbe disposto la liquidazione a vantaggio del ricorrente degli esborsi pari ad Euro 359,76.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Infatti, il motivo denuncia un mero errore materiale del decreto di merito, che, pur avendo previsto il diritto del F. al rimborso delle spese effettuate in primo grado ha poi omesso, nel dispositivo, il corrispondente riconoscimento di tale diritto nei confronti del Ministero della Giustizia. Come emerge dal ricorso, si è trattato palesemente di una divergenza tra convincimento del giudice evidenziato nella motivazione del decreto e dispositivo, in cui non è cenno alcuno del diritto riconosciuto nella motivazione. Epperò, tale divergenza va rettificata mediante la mera procedura di correzione di errore materiale, e con l’inserzione nel dispositivo della condanna del Ministero della Giustizia a rimborsare F. delle spese pari ad Euro 359,76.

Senza dire che il ricorrente non ha, neppure, dimostrato che la Corte distrettuale, nel liquidare le spese giudiziali, abbia violato i minimi tariffari.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione, posto che il Ministero della Giustizia, intimato in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 22 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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