Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22577 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 16/10/2020), n.22577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2742/2016 proposto da:

COMUNE DELL’AQUILA, elettivamente domiciliato in Roma, via Tremiti

10, presso lo studio dell’avv. Annalisa Pace, rappresentato e

difese, in virtù di mandato in calce al ricorso, dall’avv. Domenico

De Nardis;

– ricorrente –

THE BOSS s.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, depositata il

22/12/2014, resa all’esito del giudizio iscritto al n. 831/2011

R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La Corte d’appello di Roma, per quanto interessa in questa sede, ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma, di rigetto dell’opposizione proposta dal Comune dell’Aquila contro il decreto ingiuntivo richiesto e ottenuto dalla The Boss s.r.l. a titolo di corrispettivo per l’organizzazione di concerti, in esecuzione di due contratti stipulati da istituzione comunale.

La Corte d’appello. superando le contestazioni del Comune, ha riconosciuto che il creditore aveva dato prova scritta dell’obbligazione mediante la produzione di due fotocopie di scritture; essa ha osservato che, rispetto a tali scritture. il Comune aveva contestato la conformità delle copie agli originali in modo generico, il che rendeva i documenti utilizzabili in causa.

Per la cassazione della sentenza il Comune dell’Aquila ha proposto ricorso affidato a due motivi. The Boss s.r.l. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il primo motivo denuncia “violazione dell’art. 360, n. 3, in relazione all’art. 2719 c.c., ed agli artt. 214 e 215 c.p.c.. Violazione dell’art. 2697 c.c.. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per motivazione meramente apparente o contraddittoria”.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha riconosciuto utilizzabili, ai fini della prova della esistenza di una valida obbligazione, la copia dei contratti datati 28 luglio e 3 agosto 2004, nonostante l’attuale ricorrente ne avesse disconosciuto la conformità agli originali. E’ oggetto di censura, in particolare, il rilievo che il disconoscimento è “avvenuto in modo generico senza indicazione degli aspetti nei quali le copie si sarebbero differenziate dagli originali”.

Secondo il ricorrente, al fine di suffragare tale conclusione, la Corte d’appello si è rifatta a un precedente di legittimità non pertinente (Cass. n. 7775/2014). Nel caso deciso dalla Suprema Corte, infatti, vi era stato un disconoscimento del tutto generico, laddove, nella specie, c’era stata radicale contestazione di conformità rispetto a originali ipotetici. Insomma, l’eccezione era stata formulata in maniera da porre in contestazione “persino l’esistenza degli atti originali”.

Il motivo è infondato.

Quanto alla copia fotostatica del documento, è pacifico che il semplice disconoscimento della sua conformità all’originale non impedisce al giudice di accertarne la conformità attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni, sì che per escluderne ogni valenza probatoria la parte contro cui essa è prodotta ha altresì l’onere di disconoscere, in modo formale e non equivoco, alla prima udienza o nella risposta successiva alla produzione, sia la conformità all’originale, sia anche il contenuto e la sottoscrizione (Cass. n. 16998/2015). Conseguentemente la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte non la disconosce, in modo specifico e inequivoco, alla prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass. n. 882/2018).

In aggiunta al principio che il termine per disconoscimento della sottoscrizione previsto dagli artt. 214 e 215 c.p.c., si applica anche nel caso in cui il documento sia stato prodotto in fotocopia (Cass. n. 1708/2000), va ricordato ancora il principio secondo cui il disconoscimento di una scrittura privata, pur non richiedendo, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., una forma vincolata, deve avere i caratteri della specificità e della determinatezza (Cass. n. 18042/2014) e non può costituire una mera espressione di stile, risolvendosi peraltro la relativa valutazione in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato. Si precisa ancora che la parte che ha disconosciuto la sottoscrizione della copia sarebbe onerata di disconoscere anche l’originale successivamente depositato, per escludere che la scrittura si abbia per riconosciuta (Cass. n. 16551/2015).

E’ ancora affermato nella giurisprudenza della Corte il principio secondo cui il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti nè il ricorso a clausole di stile nè generiche asserzioni (Cass. n. 16557/2019).

Nel caso di specie la ricorrente non deduce di avere disconosciuto la sottoscrizione e il contenuto del contratto, ovvero di avere sollevato una questione di falsità del documento (cfr. Cass. n. 32219/2018). Chiarito che il disconoscimento ha riguardato la sola conformità della copia all’originale, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio di cui sopra, che esige che una siffatta contestazione sia operata in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass. n. 29993/2017), non potendosi ritenere sufficiente a tale scopo, diversamente da quanto sostiene il Comune ricorrente, la generica affermazione della inesistenza dei documenti e degli atti di cui la copia sarebbe rappresentativa (Cass. n. 15790/2016).

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 360, in relazione al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191 TUEELL ed all’art. 1421 c.c..

Sin dall’atto di opposizione l’attuale ricorrente aveva eccepito l’inesistenza dell’impegno di spesa destinato a far fronte agli obblighi documentati nei due contratti, reiterando l’eccezione in appello. Conseguentemente, sia in ragione di tali difese, sia in ragione dell’esame diretto degli atti, la Corte d’appello – e prima ancora il tribunale – avrebbero dovuto rilevare anche ex officio la nullità dei due contratti.

Il motivo è inammissibile.

E’ stato chiarito che la proponibilità della censura di mancato rilievo da parte del giudice è denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione delle norme che prevedono la rilevabilità d’ufficio della questione, nel caso in cui sia mancata la proposizione in appello di un’eccezione di nullità contrattuale. Diversamente quando la questione, ancorchè rilevabile d’ufficio, abbia formato oggetto di una specifica domanda od eccezione e il giudice non abbia statuito sulla stessa, si è in presenza di una omissione di pronuncia ed è onere del ricorrente denunciare la stessa omissione in quanto tale, determinandosi altrimenti un giudicato processuale preclusivo della riproposizione della questione in cassazione (Cass. n. 12259/2019).

Nel caso in esame ricorre proprio tale ultima eventualità. Infatti, il ricorrente deduce di avere sollevato nei gradi di merito, dinanzi al tribunale e poi in appello, la questione della nullità dei contratti. Nondimeno su tale questione la sentenza impugnata è del tutto silente. Invero, ogni questione relativa al contratto è considerata dalla corte di merito nella prospettiva del requisito della forma scritta imposta per i contratti della pubblica amministrazione.

Consegue da ciò che il ricorrente avrebbe dovuto denunciare la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass., S.U., n. 17931 del 2013) per l’omissione di pronuncia, mentre il Comune si duole in questa sede del mancato rilievo ufficioso della nullità contrattuale per la mancanza dell’impegno di spesa sotto il profilo della violazione di legge.

Si deve ancora ricordare che, in sede di legittimità, non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di Cassazione (Cass. n. 2443/2016; n. 14477/2018).

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nulla spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

PQM

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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