Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22573 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. un., 10/09/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 10/09/2019), n.22573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26261-2017 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 29,

presso lo studio dell’avvocato MANFREDI BETTONI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SILVANO CANU;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 143/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 17/07/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/05/2019 dal Consigliere ANTONIO ORICCHIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale MATERA

MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Manfredi Bettoni ed Angelo Vitale per l’Avvocatura

Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.A. ricorre, con atto affidato a cinque ordini di motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche n. 143/2017.

Con tale decisione il detto Tribunale Superiore dichiarava inammissibile per tardività l’appello innanzi ad esso interposto dall’odierna ricorrente avverso la sentenza n. 2774/2016 del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte di Appello di Milano, la quale aveva rigettato la domanda della stessa S.A. di accertamento del suo diritto ad acquistare le aree demaniali, di cui in atti, facenti parte del demanio idrico del lago d’Iseo, e per le quali era stata presentata domanda di acquisto ai sensi della L. n. 212 del 2003, art. 5-bis.

Nella fattispecie (e per quanto rilevante ai fini dell’odierno decidere) la sentenza gravata affermava espressamente che “il testo integrale della sentenza di primo grado era stato portato a conoscenza dell’appellante con messaggio di posta elettronica del 1 luglio 2014 (rectius: 2016), mentre l’appello era stato notificato a controparte a mezzo posta con plico spedito il 16 settembre 2016”, con conseguente violazione del termine di cui all’art. 189, comma 1 del T.U. sulla acque pubbliche che prevede il termine di trenta giorni dalla notificazione del dispositivo al fine della rituale proposizione dell’appello avverso le sentenze definitive dei Tribunali regionali delle Acque Pubbliche.

L’intimata Agenzia del Demanio resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si deduce il vizio di “violazione e/o falsa applicazione di legge ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b) e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (in ordine) all’art. 115 c.p.c. e in relazione al R.D. n. 1777 del 1933, art. 208”.

Parte ricorrente, in particolare, asserisce che “l’avvenuta comunicazione del testo integrale della sentenza in allegato Pec trasmessa dalla Cancelleria del T.R.A.P. in data 1/7/2016 in realtà non era avvenuta” e che, quindi, l’impugnata sentenza è errata “laddove ha posto a fondamento della decisione una circostanza di fatto assolutamente non provata”.

La doglianza svolta col motivo qui in esame è inammissibile. La stessa laddove postula la ricorrenza di un vero e proprio errore di diritto (e non un errore di tipo revocatorio) dell’impugnata sentenza si rivela inidonea e generica.

Infatti, pur non disconoscendo la ricezione di un documento informatico, la parte lamenta genericamente di aver ricevuto un documento inidoneo al fine del decorso del termine per l’impugnazione.

La doglianza – a fronte della specifica eccezione di parte controricorrente – è del tutto non specifica.

Va, in proposito, rammentato che, già nella memoria innanzi al T.S.A.P., l’intimata Agenzia aveva “depositato i documenti che dimostrano che la sentenza integrale di primo grado è stata trasmessa dalla cancelleria del T.R.A.P. all’attuale ricorrente in data 1.7.2016”.

Deve, al riguardo, osservarsi specificamente che agli atti vi sono copie asseverate di accettazione e di avvenuta consegna al difensore dell’odierna parte ricorrente di “comunicazione 229/2015/CC” della Corte di appello di Milano in data 1 luglio 2016 (la comunicazione porta come riferimento il proprio il n. di r.g. della causa decisa dal T.R.A.P.).

Orbene, anche a fronte di tali evenienze era necessaria non la generica negazione della ricezione di idonea comunicazione ma adeguata allegazione di ciò era comunque ricevuto ed alla prova di inidoneità del tipo di documento informatico avuto. A ciò consegue la detta inammissibilità.

Infatti non vi è stata allegazione idonea a consentire di ritenere provato il fatto (solo asserito) che il file di trasmissione della sentenza non conteneva nulla.

Singolare, ma significativo al riguardo, appare l’atteggiamento della parte ricorrente che ammette di aver ricevuto il file, ma non dice ciò che ha avuto comunicato col detto file, limitandosi ad un generico riferimento ad un formato informatico ed estensione che (solo a dire della parte) sarebbero incompatibili con la trasmissione della testo integrale della decisione del T.R.A.P..

Il motivo è, quindi, inammissibile.

2.- Il secondo motivo del ricorso è così rubricato: “violazione e falsa applicazione di legge ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b) e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 189, comma 1 e art. 183, comma 4”.

Col motivo parte ricorrente deduce la pretesa erroneità della sentenza impugnata “laddove (essa) ha ritenuto che il termine per proporre appello alle sentenze di primo grado emesse dai Tribunali Regionali delle ò acque decorra dalla “comunicazione” dell’avviso di pubblicazione della sentenza anzichè dalla “notificazione” della copia autentica del dispositivo integrale effettuata dalla Cancelleria a mezzo Ufficiale Giudiziario.

3.- Con il terzo motivo si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b) e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 189, comma 1 e art. 183, comma 4 e art. 153 violazione degli artt. 136,137,148 e 149 bis c.p.c. in relazione al R.D. n. 1775 del 1933, art. 208 (e) violazione degli artt. 70 e 101 Cost..

Il motivo, articolato con la prospettazione di plurime violazioni di legge, attiene nella sostanza alla doglianza che la sentenza gravata, secondo parte ricorrente, ha affermato che “il termine per proporre appello alle sentenze dei Tribunali delle acque decorra indifferentemente dalla “comunicazione” o dalla “notificazione” di una parte soltanto del provvedimento”, si sarebbe “sostituita al legislatore”.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b) e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 189, comma 1 e art. 183, comma 4 e dell’art. 133 c.p.c. in relazione al R.D. n. 1775 del 1933, art. 208.

La sentenza del TSAP oggetto del ricorso sarebbe errata – secondo la ricorrente – in quanto “farebbe decorrere il termine per l’impugnazione indifferentemente dalla “comunicazione” o dalla “notificazione del provvedimento impugnato”.

5.- I motivi, sub 2., 3. e sub 4., di cui innanzi, possono essere trattati congiuntamente.

Essi sono infondati e vanno rigettati.

Tanto, innanzitutto, in quanto la gravata decisione ha dato conto con specifiche argomentazioni in motivazione della ragione per cui la legge – innanzitutto – e l’interpretazione della stessa da parte di questa Corte hanno dato rilievo, nella materia, alla rilevanza della data di notificazione della sentenza al fine di valutare al tempestività o meno della proposizione di un ricorso avverso le sentenze di un Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche.

Più specificamente, ancora, il T.S.A.P. – senza sostituirsi affatto al legislatore – ha dato atto della corretta interpretazione delle norme (art. 189, comma 1 e art. 183, commi 3 e 4, R.D. cit.) che regolano il regime in base al quale va valutata la ritualità dell’anzidetta impugnazione, interpretazione oggetto di evoluzione giurisprudenziale data da note pronunce di questa stessa Corte.

Queste ultime hanno affermato, innanzitutto, l’inidoneità dell’avviso di trasmissione della sentenza all’ufficio del registro ai sensi del già citato art. 183, comma 3 a far decorrere il termine di legge di trenta giorni previsto dal succitato art. 189 al fine dell’ammissibilità dell’impugnazione innanzi al T.S.A.P. avverso decisione del T.R.A.P..

Ed, inoltre e secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è stato affermato che – al fine della detta tempestività dell’impugnazione – è rilevante solo la data di notificazione o di comunicazione, purchè integrale, del dispositivo della sentenza a prescindere dalla circostanza della previa registrazione della sentenza del T.R.A.P..

In tal senso si sono pronunciate note sentenze (Cass. S.U. 30 marzo 2010, n. 7607; 11 luglio 2011, n. 15144; 21 maggio 2015, n. 10453) che hanno univocamente affermati e ribadito un orientamento giurisprudenziale rispetto al quale nulla di rilevante adduce parte ricorrente al fine di far modificare l’orientamento stesso.

Ciò posto, deve poi osservarsi quanto segue al fine di una più esaustiva risposta alle doglianze di cui ai motivi qui congiuntamente in esame.

Va evidenziato, in primis, come – alla stregua di quanto innanzi detto sub 1. – non può ritenersi fondata la censura svolta al fine di far ritenere non svolta la notifica in data 1 luglio 2016.

Nella fattispecie in esame l’impugnata sentenza ha dato atto che “dagli atti risulta che la sentenza di primo grado è stata notificata dalla cancelleria alle parti costituite in data 1 luglio 2016”; che “non vi è dubbio che la notificazione effettuata in tale data sia da ricondurre al richiamato art. 183, comma 3 e non comma 4 “e che essa produceva “già l’effetto di far decorrere il termine per l’impugnazione”.

E tanto a maggior ragione per il fatto che, in base a consolidato principio sviluppatosi in tema di inammissibilità di impugnazione ex art. 348-ter c.p.c. (e,quindi, per fattispecie analoga in tema di comunicazione), allorchè la decorrenza di un termine breve di impugnazione sia ancorato alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria “è irrilevante che la comunicazione sia integrale o meno” (Cass. 9 ottobre 2015, n. 20336 e 5 novembre 2014, n. 23526).

Infine ed ancor più decisiva appare la pronuncia, per cui “la disposizione dell’art. 133 c.p.c., comma 2, u.p., non impedisce il decorso del termine per l’impugnazione, quando tale decorso sia collegato da una normativa speciale, quale quella di cui all’art. 189, comma 1 e art. 183 del T.U. sulla acque, alla comunicazione o notificazione di una parte soltanto del provvedimento, ove il testo integrale di quest’ultimo sia comunque portato a conoscenza, con il nuovo strumento telematico, dei suoi destinatari e, tra questi, alle parti onerate di proporre impugnazione (T.S.A.P., Sent. 8 aprile 2016, n. 106).

I motivi esaminati congiuntamente sono, quindi, del tutto infondati e vanno respinti.

5.- Il quinto motivo del ricorso è così rubricato: “violazione e/o falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b) e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): violazione dell’art. 153 o dell’art. 112 c.p.c. in relazione al R.D. n. 1775 del 1933, art. 208”.

La doglianza di cui al motivo qui in esame, proposta in via subordinata, attiene alla omessa pronuncia su istanza di rimessione in termini al fine della proponibilità dell’impugnazione.

Il motivo è del tutto inammissibile per due ordini di ragioni.

Parte ricorrente – allo stato degli atti ed attese in particolare le conclusioni riportate nella sentenza impugnata – svolge questione non risultante come già svolta in precedenza e che, comunque, non può che essere considerata come nuova in difetto di ogni altra dovuta opportuna allegazione.

Infatti “i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 30 marzo 2007, n. 7981 ed, ancora e più di recente, Sez. 6 – 1, Ord. 9 luglio 2013, n. 17041).

Inoltre la doglianza è priva di ogni riferimento al dove e quando l’istanza sia stata proposta e non riporta nè trascrive, neppure in sintesi, il testo della stessa, così violando il noto prescritto onere di autosufficienza (Cass. civ., S.U. 2 dicembre 2008, n. 28547, nonchè Cass. 24 ottobre 2014, n. 22607 e 25 maggio 2015, n. 10749).

6.- Il ricorso va, dunque, rigettato.

7.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

8.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 1.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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