Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22571 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 16/10/2020), n.22571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27492/2016 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso la Sig.ra ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso

dagli avvocati MASSIMILIANO MARCIALIS, CARLA VALENTINO;

– ricorrente –

e contro

O.L., C.L., C.S., C.L., CO.GI.,

c.d., S.C.G., O.C.;

– controricorrenti –

OL.LE., O.G., O.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 619/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 04/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. LUCA MARRONE.

udito l’Avvocato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.S. con atto di citazione del 7 marzo 1997 conveniva in giudizio davanti al Pretore di Sanluri, Ol.Le., O.M.S., O.L., O.G., O.S., O.C. e O.M. e U.M.R. per sentire dichiarare che, per effetto dell’intervenuta usucapione, era divenuto proprietario di tre appezzamenti di terreni in agro di (OMISSIS) (F. (OMISSIS) mapp. (OMISSIS), F. (OMISSIS) mapp. (OMISSIS) e F. (OMISSIS) mapp. (OMISSIS)). L’attore esponeva di aver posseduto i suddetti terreni dal 1975, sottolineando che il possesso era iniziato dal padre deceduto nel 1991. Si costituivano O.M.S., G., S., L. e Le., contestando il fondamento dell’atto di citazione e sostenendo che l’attore non aveva mai esercitato un possesso in modo continuato e indisturbato sui predetti terreni, ma semmai i suddetti terreni erano stati detenuti dal dante causa dell’odierno attore e poi da quest’ultimo a titolo di affitto o mezzadria per i quali era stato regolarmente corrisposto un canone in natura. Eccepivano ancora che nel 1993 era stata inviata a M. una comunicazione scritta idonea ad interrompere il corso dell’usucapione.

2. Istruita la causa il Pretore di Sanluri con sentenza del 21 gennaio 2003 accoglieva la domanda dell’attore.

2.1 Il Giudice di primo grado motivava la decisione sulla considerazione che la prova testimoniale aveva dimostrato che il dante causa dell’attore, e poi quest’ultimo, avevano utilizzato i terreni in oggetto, fin dalla metà degli anni settanta, a fini di pascolo e per coltivare cereali, realizzando anche delle recinzioni. Per contro, i convenuti non avevano provato che i terreni erano detenuti a titolo di mezzadria o di affitto, dovendosi, inoltre, ritenere priva di efficacia interruttiva la comunicazione effettuata nel 1993.

3. Avverso tale sentenza proponevano appello O.M.S., G., L. e Le., anche nella loro qualità di eredi legittimi di O.S., chiedendo la riforma della sentenza e sostenendo di aver provato la natura dei rapporti intercorsi fra l’appellato e i terreni oggetto di causa.

3.1 Si costituiva M., contestando il fondamento dell’atto di appello e chiedendone il rigetto.

4. La Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza n. 246 del 2006, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di M.S. di usucapione dei terreni oggetto della controversia. Condannava l’appellato al rimborso delle spese giudiziarie.

Secondo la Corte cagliaritana, l’attore non aveva fornito la prova rigorosa delle circostanze di fatto di svolgimento del rapporto con i beni immobili rivendicati. In particolare, le circostanze emerse nel corso del giudizio (coltivazione dei terreni e realizzazione di opere di miglioramento), non erano in grado di fornire una prova rigorosa di un possesso uti dominus da parte dell’attore, dato che entrambe le suddette attività avrebbero potuto essere espletate o su iniziativa personale o su incarico del proprietario.

4. M.S. proponeva ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.

4. Questa Corte con sentenza n. 26984 del 2013 accoglieva il ricorso. Il collegio preliminarmente richiamava la sentenza n. 11286 del 1998 secondo cui “dimostrato il potere di fatto, pubblico ed indisturbato, esercitato sulla cosa per il tempo necessario ad usucapirla, ne deriva, a norma dell’art. 1141 c.c., comma 1, la presunzione che esso integri il possesso ed incombe alla parte che invece lo correla alla detenzione provare il suo assunto, in mancanza dovendosi ritenere l’esistenza della prova del “possessio ad usucapionem”. Ciò premesso questa Corte evidenziava che una volta provata dall’attore un’attività conforme all’esercizio di un diritto di proprietà non poteva gravarsi il medesimo attore della prova che tale attività non fosse svolta come mero detentore.

Piuttosto, la Corte di merito avrebbe dovuto valutare se i convenuti 011a avessero dimostrato che la disponibilità dei terreni oggetto della controversia era stata conseguita dal M. a titolo di detenzione e non di possesso, ricadendo su di loro tale onere della prova. Conseguentemente, la Corte di merito avrebbe dovuto valutare se la prova offerta da M. consentiva di ritenere provato un possesso prolungato per il tempo utile ad usucapire.

Questa Corte osservava anche che la coltivazione del terreno con la messa a dimora di piante configura un’attività, specifica ed importante, senza dubbio corrispondente all’esercizio del diritto di

proprietà vantato dal ricorrente; coltivare il terreno, infatti, significa disporre materialmente di esso.

Se la coltivazione configura un comportamento pubblico, pacifico, continuo e non interrotto inequivocabilmente esso deve ritenersi inteso ad esercitare un potere di fatto corrispondente a quello del proprietario. In tal caso, pertanto, è il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene era stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale (Cass. 5 luglio 1999, n. 6944)”.

5. La sentenza della Corte d’Appello di Cagliari veniva dunque cassata con rinvio ad altra sezione della medesima Corte d’Appello.

6. Il giudizio veniva riassunto da M.S. e la Corte d’appello con sentenza del 14 luglio 2016 rigettava nuovamente la domanda di usucapione proposta da M.S..

In particolare, il giudice del rinvio precisava di essere chiamato a valutare se i convenuti 011a avessero dato prova che il M. aveva esercitato sui terreni oggetto della controversia una mera detenzione o un possesso utile ai fini dell’usucapione.

A tal riguardo osservava che i testi P.F. e Ma.Fr., si erano limitati a riferire in ordine all’attività svolte dall’attore, e precedentemente da suo padre, sui terreni oggetto della controversia, mentre i testi B.L. e F.A. avevano invece specificamente dichiarato che il M. esercitava sui terreni oggetto di causa una mera detenzione a titolo di affitto, cominciata peraltro nel 1982 e non nel 1975.

Pertanto, stante l’attendibilità delle suddette testimonianze ed il chiaro tenore delle stesse osservava che i convenuti O. avevano adeguatamente dimostrato che i terreni oggetto della causa erano stati esclusivamente oggetto di detenzione da parte di M., posto che costui per averne la disponibilità aveva corrisposto regolarmente un canone di affitto in natura e non aveva quindi esercitato un possesso uti dominus utile ai fini dell’usucapione.

7. M.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo di ricorso.

8. O.L.C. in proprio e nella qualità di erede di O.S., O.C., in proprio e nella qualità di erede di U.M.R., C.L., nella sua qualità di erede di U.M.R., C.S., nella sua qualità di erede di U.M.R., Co.Gi., in proprio e nella sua qualità di erede di U.M.R., c.d., nella sua qualità di erede di U.M.R., C.S.G., nella sua qualità di erede di U.M.R. hanno resistito con controricorso.

9. Il ricorrente, con due memorie, l’ultima depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso è così rubricato: travisamento delle risultanze processuali. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione dell’art. 1141 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. ,in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

A parere dei ricorrenti la Corte d’Appello sarebbe incorsa nel vizio di travisamento della prova deducibile in Cassazione a differenza del travisamento dei fatti, allorchè riguardi un punto decisivo della controversia idoneo a condurre in errore il giudice del rinvio.

In particolare, il travisamento sarebbe relativo alla testimonianza di F.A., il quale non avrebbe mai dichiarato che i terreni oggetto della domanda di usucapione erano solo detenuti dal M.. Un secondo travisamento riguarderebbe la testimonianza di B.L. il quale sentito una prima volta all’udienza del 18 maggio 1999, non aveva poi confermato le sue dichiarazioni all’udienza successiva del 20 maggio 2001, al contrario di quanto affermato dalla Corte d’Appello. La Corte non avrebbe tenuto conto, inoltre, del decesso dell’avvocato Ol.Ga., avvenuto il (OMISSIS), che smentiva la circostanza che il teste si fosse recato insieme al suddetto avvocato a riscuotere dal M. l’affitto.

Dunque, la ritrattazione del Brucoli e il decesso dell’avvocato Ol.Ga., non considerati nella sentenza impugnata, contrasterebbero con le risultanze probatorie poste a base della convinzione del giudice di merito.

I suddetti atti processuali travisati a parere del ricorrente costituirebbero altrettanti fatti storici il cui esame sarebbe stato omesso dalla sentenza impugnata. Tali fatti sarebbero decisivi per il giudizio.

Sotto altro profilo il ricorrente evidenzia che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali come sopra evidenziato avrebbe determinato l’erronea applicazione dell’art. 1141 c.c., in tema di presunzione di possesso.

1.1 Il motivo è inammissibile.

In disparte il profilo di inammissibilità per non aver riportato il contenuto delle testimonianze al fine di consentire alla Corte la valutazione circa il presunto travisamento della prova che incide su un fatto decisivo per il giudizio, è possibile affermare l’inammissibilità della censura per come la stessa è formulata.

Deve premettersi che: “Il ricorso per cassazione avverso

una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma dell’art. 383 c.p.c., è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione, in base al generale principio processuale “tempus regit actum” ed a quello secondo cui il giudizio di rinvio, a seguito di cassazione, integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria. Da ciò consegue che, se la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio è stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, vale a dire dal giorno 11 settembre 2012, trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell’art. 54, comma 1, lett. b), del suddetto D.L., Sez. 6-3, Sentenza n. 26654 del 18/12/2014.

Il ricorrente ritiene che la Corte abbia travisato sia la testimonianza di F.A., il quale non avrebbe mai dichiarato che i terreni oggetto della domanda di usucapione erano solo detenuti dal M., che quella di B.L. poi ritrattata e contraddetta su un punto dal decesso dell’avvocato O..

Il travisamento della prova non implica una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che un’informazione probatoria, utilizzata dal giudice ai fini della decisione, è contraddetta da uno specifico atto processuale, così che, a differenza del travisamento del fatto, può essere fatto valere mediante ricorso per cassazione, ove incida su un punto decisivo della controversia (Sez. 3, Sent. n. 1163 del 2020).

Diversamente, invece, la prospettazione del ricorrente non attiene ad un errore di percezione che cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della testimonianza bensì presuppone, al fine di affermare l’esistenza o meno della circostanza controversa, un giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza della testimonianza, che si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità (Sez. L., Ord. n. 25166 del 2019).

Nella specie, invece, la Corte d’Appello ha ritenuto provato, anche sulla base delle citate testimonianze complessivamente considerate, che i terreni oggetto del giudizio erano stati esclusivamente oggetto di detenzione da parte di M., posto che costui per averne la disponibilità aveva corrisposto regolarmente un canone di affitto in natura e non aveva quindi esercitato un possesso uti dominus utile ai fini dell’usucapione. Le circostanze che il ricorrente assume travisate non sono decisive e si collocano sul piano dell’attendibilità e congruenza complessiva delle testimonianze, sottratte al sindacato di questa Corte.

Ne consegue che, alla luce delle considerazioni esposte non si ravvisa alcun fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti che la Corte d’Appello ha omesso di considerare, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e il motivo in esame si risolve in una richiesta di rivalutazione complessiva dell’attendibilità e congruenza delle testimonianze che, come si è detto, è riservata al giudice di merito e non può essere oggetto di sindacato nel giudizio di legittimità se non per violazione di un criterio legale di valutazione della prova.

Da quanto detto discende che nessuna violazione dell’art. 1141 c.c., in tema di presunzione di possesso si è determinata nel caso in esame.

6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000, più 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

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