Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22571 del 10/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2021, (ud. 10/06/2021, dep. 10/08/2021), n.22571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22146 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

R.E., R.G. e C.G., nella qualità

di eredi di Ri.Gi., rappresentati e difesi per procura

speciale a margine del ricorso dagli Avv.ti Riccardo Vianello e

Giuseppe Marini, elettivamente domiciliati in Roma, via di Villa

Sacchetti, n. 9, presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, n. 74/7/2108, depositata in data 16 gennaio

2018;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del giorno 10

giugno 2021 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a R.E., R.G. e C.G., nella qualità di eredi di Ri.Gi., un avviso di accertamento con il quale aveva rettificato la dichiarazione dei redditi modello unico 2010 da quest’ultimo presentata, avendo ritenuto che la variazione in diminuzione in essa indicata non era legittima, in quanto si era determinato l’ingiustificato azzeramento della plusvalenza realizzata in occasione della cessione di una farmacia il cui titolo di proprietà, in precedenza, Ri.Gi. aveva ricevuto a seguito di donazione modale; avverso l’avviso di accertamento i contribuenti avevano proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Vicenza, che aveva ritenute fondate e assorbenti le eccezioni pregiudiziali proposte; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello principale ed i contribuenti appello incidentale;

la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello principale dell’Agenzia delle entrate e accolto, sebbene parzialmente, quello incidentale dei contribuenti, in particolare ha ritenuto che: erano fondati i motivi di appello principale relativi alla non sussistenza della violazione del contraddittorio endoprocedimentale e alla non necessità della previa redazione del processo verbale di constatazione; erano infondati i motivi di appello incidentale relativi alla illegittimità costituzionale della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, alla violazione degli artt. 484 e 495 c.c. nonché del diritto di difesa, alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41bis, e del TUIR, art. 17, alla illegittimità dell’atto per difetto di sottoscrizione, nonché relativi al merito della controversia; era, infine, fondato il motivo di appello nella parte in cui era stata prospettata l’erronea determinazione del valore della plusvalenza;

i contribuenti hanno quindi proposto ricorso per cassazione della sentenza affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del diritto di difesa;

in particolare, parte ricorrente evidenzia di avere proposto con l’atto di appello un’azione di accertamento negativo dell’esistenza del diritto di procedere in executivis per ragioni di merito sostanziale, in particolare legata al fatto che, avendo gli eredi, parti ricorrenti, accettato con beneficio d’inventario, la pretesa nei confronti degli stessi può essere fatta valere solo nei limiti del valore dei beni ereditati, mantenendo separato il proprio patrimonio da quello del de cuius;

sotto tale profilo, tenuto conto dell’accettazione con beneficio d’inventario fatta valere dai ricorrenti con il ricorso originario, delle attività e passività risultanti dalla dichiarazione di successione, del credito privilegiato consistente nell’ipoteca immobiliare e del valore del credito erariale, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che la questione dell’eventuale incapienza dei beni ereditari avrebbero dovuto essere oggetto di contestazione in sede di successiva fase esecutiva;

allo stesso modo, secondo i ricorrenti, non potrebbe essere rimessa al giudice dell’opposizione la questione relativa all’an ed al quantum della pretesa, essendo dinanzi al giudice tributario che l’accertamento in oggetto deve essere proposto;

il motivo è infondato;

la questione di fondo della presente controversia riguarda i limiti dei poteri di accertamento del giudice tributario quando, notificato un avviso di accertamento agli eredi del debitore deceduto, questi contestino di avere accettato con beneficio di inventario e oppongano l’incapienza del patrimonio del de cuius a soddisfare il credito erariale;

va precisato, sotto tale profilo, che, ai sensi dell’art. 490 c.c.: “L’effetto del beneficio di inventario consiste nel tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede”, sicché: “l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti”;

in generale, l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario non determina di per sé sola il venir meno della responsabilità patrimoniale degli eredi per i debiti anche tributari, ma fa solo sorgere il diritto di questi ultimi a non risponderne “ultra vires hereditatis”, cioè al di là del valore dei beni lasciati dal de cuius;

si tratta, dunque, di valutare se, in caso di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, l’erede possa far valere l’interesse alla separazione del proprio patrimonio personale con quello ereditario in sede di proposizione del ricorso avverso l’avviso di accertamento allo stesso notificato per il pagamento dei debiti ereditario;

occorre, a questo punto, procedere ad una necessaria differenziazione tra la pretesa fatta valere con l’avviso di accertamento e quella conseguente alla notifica della cartella di pagamento;

il primo atto ha natura impositiva, e con lo stesso l’amministrazione finanziaria identifica il soggetto legittimato passivo e l’importo che si si ritiene debba essere corrisposto;

con specifico riferimento, quindi, all’avviso di accertamento conseguente alla contestazione, a carico dell’erede, dei debiti ereditari, l’avviso di accertamento tende ad identificare in quest’ultimo il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria già sussistente nei confronti del de cuius ed individua l’entità del debito tributario che, per effetto del fenomeno successorio, viene ora richiesta al successore ereditario;

sotto tale profilo, si intende dare continuità a quanto affermato da questa Corte (Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070) secondo cui “Il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo”;

l’eventuale contestazione, quindi, da parte dell’erede, dell’avvenuta accettazione dell’eredità con beneficio di inventario e, quindi, della limitazione della propria responsabilità entro i limiti del patrimonio ereditario, non attiene al giudizio con il quale si contesta la legittimità della pretesa fatta valere con l’avviso di accertamento; ne è di ostacolo la circostanza, più volte affermata da questa Corte (Cass. civ., 15 marzo 2013, n. 6610), che il giudizio tributario ha semplice struttura oppositiva di manifestazioni di volontà fiscali “esternate” al contribuente, senza cioè che possa farsi luogo a preventive azioni di accertamento negativo del tributo;

rispetto a questa configurazione del giudizio conseguente all’impugnazione avverso l’avviso di accertamento si pone, in misura diversa, l’eventuale giudizio di opposizione alla cartella di pagamento;

invero, la cartella di pagamento costituisce l’atto di riscossione con il quale l’amministrazione finanziaria viene concretamente a determinare la pretesa esecutiva (Cass., sez. Un., 14 aprile 2020, n. 7822) ed è solo in sede di impugnazione della eventuale successiva cartella di pagamento che l’erede è ammesso a denunciare, oltre che l’irregolarità formale, anche, qualora non si siano formate preclusioni, il diritto del creditore di procedere esecutivamente, introducendo contenuti analoghi a quelli che, nel sistema del codice di rito, appartengono al perimetro dell’opposizione all’esecuzione, introducendo la questione relativa alla capienza o meno del patrimonio ereditario a far fronte ai debiti tributari e, sotto tale profilo, prospettando una questione relativa ai limiti dell’azione di riscossione che spetta al giudice tributario definire (vd., con specifico riferimento al giudizio di opposizione avverso la cartella di pagamento instaurato dal socio che ha fatto valere la violazione del principio di sussidiarietà a causa dell’inosservanza del principio del beneficium excussionis: Cass. Sez. Un., 16 dicembre 2020, n. 28709);

tali considerazioni, dunque, precludono di ritenere fondata la prospettazione dei ricorrenti di violazione del proprio diritto di difesa proposta sotto la triplice direttiva: a) del diritto a contestare, con azione di accertamento negativo, l’esistenza del diritto di procedere in executivis per ragioni di merito; b) del pregiudizio conseguente alla applicabilità del principio del solve et repete; c) del limite a far valere le proprie ragioni in sede di opposizione all’esecuzione, state la previsione contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57;

la pronuncia del giudice del gravame è dunque corretta per avere ritenuto che la questione della violazione dell’art. 484 c.c., ovvero dell’art. 495 c.c., non era fondata, ponendo in evidenza la circostanza che l’avviso di accertamento, notificato agli eredi, aveva ad oggetto una pretesa fiscale che concerne il patrimonio del de cuius, traducendosi in un debito di quest’ultimo verso l’erario, sicché l’accettazione con beneficio di inventario da parte degli eredi non preclude all’amministrazione finanziaria di accertare l’obbligazione tributaria del de cuius e, quindi, l’an ed il quantum debeatur, fermo restando che la pretesa esecutiva dovrà essere compiuta tenendo conto, eventualmente, della responsabilità intra vires;

ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 13.000,00, oltre spese prenotate a debito;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuti.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 13.000,00, oltre spese prenotate a debito;

dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuti.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021

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