Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22570 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. un., 10/09/2019, (ud. 23/10/2018, dep. 10/09/2019), n.22570

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21200/2017 proposto da:

MIFA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 14, presso lo studio

dell’avvocato ANNARITA D’ERCOLE, rappresentata e difesa

dall’avvocato DONATELLA PANZAROLA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VALFABBRICA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIO RAMPINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 528/2017 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il

07/02/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/10/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7/2/2017 il Consiglio di Stato, in accoglimento del gravame interposto dal Comune di Valfabbrica e in conseguente riforma delle pronunzie Tar Umbria n. 567 del 2013 (non definitiva) e n. 200 del 2015 (definitiva), ha rigettato la domanda nei confronti del medesimo originariamente proposta dalla società Mifa s.a.s. (poi Mifa s.p.a.), qualificata come di “accertamento negativo in ordine al quantum debeatur dovuto a titolo di oneri concessori”, e cioè di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione “relativi alla concessione n. (OMISSIS)” per “la realizzazione di una villa bifamiliare ed un annesso agricolo”, su terreni di sua proprietà.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice amministrativo d’appello la società Mifa s.p.a. (già Mifa s.a.s.) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Valfabbrica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con entrambi i motivi la ricorrente denunzia eccesso di potere giurisdizionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1.

Si duole avere il giudice amministrativo d’appello “travalicato i limiti esterni della propria giurisdizione, sino ad invadere la sfera riservata al potere legislativo”, là dove ha nella specie escluso l’applicabilità dell’actio indebiti, affermando trattarsi di “un’obbligazione… inquadrabile in termini “pubblicistici””.

Lamenta che, a tale stregua, il suindicato giudice ha “creato ad hoc una nuova norma, in funzione derogatrice” della “regola generale di cui all’art. 2033 c.c.”, che “si sostanzierebbe nella previsione di un’eccezione alla regola generale di cui all’art. 2033 c.c., in modo da escluderne l’applicabilità alle obbligazioni di diritto pubblico, senza che peraltro i Giudici di Palazzo (OMISSIS) si siano presi cura di motivare in forma specifica le ragioni che giustificherebbero siffatta deroga ad un principio generale dell’ordinamento”, essendosi essi limitati “a statuire, in via del tutto generica ed apodittica, che l’inapplicabilità dell’actio indebiti deriverebbe dal fatto che “si versa in un ambito prettamente pubblicistico cui non è trasponibile l’istituto invocato dalla Mifa”, per poi concludere, quale diretta conseguenza di tale (erroneo) presupposto, che l’azione proposta dall’appellante “va fatta rientrare nella tipologia di un accertamento negativo del quantum debeatur””.

Lamenta, ancora, che “nel caso di specie… la pronuncia avversata ha finito per sconfinare nella sfera riservata al potere legislativo, per effetto dell’introduzione nell’ordinamento di una nuova regola di diritto, consistente nell’escludere l’operatività dell’actio indebiti alle obbligazioni “pubblicistiche” e nella conseguente illegittima disapplicazione della previsione generale di cui all’art. 2033 c.c., senza peraltro che ne fossero chiariti i motivi, stante l’evidente apoditticità delle relative argomentazioni”.

Si duole che il giudice del gravame abbia “di fatto sollevato d’ufficio la questione d’inammissibilità dell’azione ex art. 2033 c.c., proposta in primo grado da Mifa”, senza invero previamente comunicare “tale intenzione alle parti durante l’udienza di trattazione, oppure successivamente con ordinanza scritta, in modo da consentire alla difesa di Mifa di poter esporre il proprio punto di vista sul tema considerato”.

Lamenta che “i Giudici di Palazzo (OMISSIS)” non si sono “limitati a sostenere che l’azione proposta in primo grado dalla ricorrente fosse da qualificare in termini di azione di mero accertamento, anzichè di ripetizione dell’indebito, sulla base del petitum, ma si sono spinti ad affermare… che tale azione non sia nemmeno proponibile con riferimento ad obbligazioni di natura pubblicistica”, con la conseguenza “che, a ben vedere, la pronunzia avversata, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, si è spinta ben oltre il senso dell’eccezione sollevata dalla difesa avversaria in primo grado (eccezione di prescrizione), che non contestava affatto l’esperibilità stessa dell’actio indebiti, giungendo a sollevare, ex officio, non già un’eccezione di prescrizione sic et simpliciter, bensì una vera e propria eccezione di inammissibilità dell’azione proposta dalla ricorrente”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.

Va anzitutto osservato, con particolare riferimento al 1 motivo, che il giudice amministrativo d’appello, chiamato a pronunziare in ordine alla domanda originariamente proposta dall’odierna ricorrente di annullamento del provvedimento del Comune di diffida “al pagamento di quanto richiesto a titolo di contributi per la concessione n. (OMISSIS) nonchè a pagare l’importo… a titolo di mora per il ritardato pagamento in applicazione della sanzione amministrativa di cui alla L. n. 47 del 1985”, diversamente dal giudice di prime cure ha qualificato la medesima non già come “azione di ripetizione dell’indebito” bensì quale “azione di accertamento negativo in ordine al quantum debeatur… a titolo di oneri concessori dalla società Mifa”.

Ha al riguardo argomentato dal rilievo che “il petitum sostanziale attiene alla determinazione del quantum dovuto per gli oneri concessori inerenti un permesso di costruire rilasciato nel 1993”, sicchè “il rapporto giuridico che viene in rilievo è di tipo prettamente pubblicistico, ancorchè sussumibile sotto la figura di un diritto soggettivo la cui definizione è rimessa alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.

Ha ulteriormente osservato che “il contributo concessorio (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia”.

Orbene, nel fare luogo a siffatta interpretazione della normativa e degli atti amministrativi de quibus il giudice amministrativo d’appello non ha invero integrato il lamentato sconfinamento dai propri poteri bensì ha dei medesimi fatto necessario esercizio, l’attività d’interpretazione delle norme rientrando nei limiti interni della giurisdizione esercitata.

Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare in tema di sindacato della Corte Suprema di Cassazione sulle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, l’interpretazione della legge o la sua disapplicazione rappresentano invero il proprium della funzione giurisdizionale, e non possono pertanto integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo legittimante il ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, fatti salvi i casi del radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc dal giudice speciale (v. Cass., Sez. Un., 13/6/2019, n. 15893; Cass., Sez. Un., 31/5/2016, n. 11380).

L’eccesso di potere giurisdizionale è dunque configurabile solo ove il giudice applichi non già la norma esistente bensì una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete.

Orbene, tale ipotesi invero non ricorre allorquando come nella specie il giudice si attenga al compito interpretativo che gli è proprio (cfr. Cass., Sez. Un., 13/6/2019, n. 15893).

Avuto in particolare riguardo al 2 motivo, va per altro verso posto in rilievo che come queste Sezioni Unite hanno già avuto più volte modo di affermare l’eccesso di potere giurisdizionale denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va invero riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici), e in coerenza con la relativa nozione posta da Corte Cost. n. 6 del 2018 (che non ammette letture estensive neanche limitatamente ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento), non essendo viceversa configurabile in relazione ad errores in procedendo, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 5/7/2019, n. 18079; Cass., Sez. Un., 20/3/2019, n. 7926).

Orbene, la lamentata violazione per omessa pronunzia, e pertanto il difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. (censura nella specie dall’odierna ricorrente invero nemmeno formalmente formulata), dà invero luogo non già alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale bensì se del caso ad un error in procedendo, invero sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite (cfr. Cass., Sez. Un., 22/4/2013, n. 9687; Cass., Sez. Un., 4/10/2012, n. 16849; Cass., Sez. Un., 9/6/2006, n. 3433. Cfr. altresì Cass., Sez. Un., 14/12/2016, n. 25628; Cass., Sez Un., 10/9/2013, n. 20698; Cass., Sez. Un., 12/12/2012, n. 22784).

A parte il rilievo che la ricorrente formula le proprie censure del tutto apoditticamente, là dove pone a base delle stesse atti e documenti del giudizio di merito senza invero osservare il requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, va pertanto ribadita l’inammissibilità del ricorso per cassazione come nella specie prospettante la denunzia di un dedotto error in procedendo, inerente non già all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa bensì se del caso ridondante in termini di mera violazione endoprocessuale rilevabile in ogni tipo di giudizio in relazione al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 26/8/2019, n. 21686), non sindacabile da queste Sezioni Unite.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente Comune di Valfabbrica, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente Comune di Valfabbrica.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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