Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2257 del 06/02/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2257 Anno 2015
Presidente: FORTE FABRIZIO
Relatore: SCALDAFERRI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso 20661-2007 proposto da:
BRUNA CARNI S.R.L. (p.i. 01284461215), già BRUNA
CARNI DI CARBONCELLO MARIO & C. S.N.C., in persona
del legale rappresentante pro tempore, domiciliata
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA
CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e
2014
1846

difesa dall’avvocato ANTONIO ROMANO, giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 06/02/2015

CURATELA DEL FALLIMENTO MARI MARIA BAGLI E CIRILLO
GREGORIO, in persona del Curatore avv. LUCIA OLIVA,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI
39, presso l’avvocato GIUFFRE ADRIANO,

COSTABILE,

e

difesa

giusta

dall’avvocato

procura

in

calce

MARIO
al

controricorso;
– controri corrente –

avverso la sentenza n.

116/2007 della CORTE

D’APPELLO di SALERNO, depositata il 14/02/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 31/10/2014 dal Consigliere
Dott. ANDREA SCALDAFERRI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

gv.1

rappresentata

2

Svolgimento del processo
La Curatela del fallimento della società di fatto Mari
Maria Bagni e Cirillo Gregorio convenne in giudizio
dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore la s.n.c.
Bruna Carni di Cardoncello Mario & c. chiedendo che
venissero dichiarati inefficaci, a norma dell’art.67
comma II 1.fall., alcuni pagamenti eseguiti nell’anno
anteriore al fallimento della stessa, dichiarato con
sentenza del 25 febbraio 1994. La domanda veniva
accolta dal Tribunale, che condannava la società
convenuta alla restituzione in favore della massa di E
35.271,03 oltre accessori.
Proponeva appello la Bruna Carni s.r.l. -cui resisteva
la Curatela- lamentando l’erronea valutazione della
prova della scientia decoctionis,

l’erronea esclusione

di alcuni capitoli di prova testimoniale in prime cure,
l’omessa o insufficiente motivazione.
La Corte d’appello di Salerno rigettava il gravame,
osservando -per quanto qui ancora rileva- come
rettamente il primo giudice avesse desunto la prova
indiretta della

sci entia decoctionis

in capo alla

convenuta dalla avvenuta pubblicazione di numerosi
protesti cambiari nonchè dalla pendenza di procedure
esecutive e di istanze di fallimento a carico del
solvens,

segni sintomatici della insolvenza che la
3

società

appellante

-impresa

commerciale

che,

contrariamente a quanto affermato dalla medesima,
, risultava di non modeste dimensioni (impiegando almeno
quattro dipendenti in aggiunta ai familiari del
titolare), ed era in rapporto continuativo con la

consistenza- era senz’altro in grado di percepire, non
rilevando in contrario la diversità di provincia tra le
due società (l’una operante in Torre del Greco, l’altra
nella vicina Scafati).
Avverso tale sentenza, resa pubblica il 14 febbraio
2007, la Bruna Carni s.r.l. ha proposto ricorso per
cassazione affidato a due motivi, cui resiste con
controricorso la Curatela.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia
l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione
circa la consapevolezza nella odierna ricorrente,
all’epoca dei pagamenti, dello stato di insolvenza
della società poi fallita: lamenta la ricorrente che la
Corte distrettuale si sarebbe limitata a richiamare
acriticamente delle massime di questa Corte

“senza

calarsi nella realtà dei fatti” come peraltro descritta

dai due testi escussi, senza cioè considerare che essa
ricorrente non aveva motivo (perché l’acquirente pagava
F

■,.

4

società poi fallita con forniture sempre di notevole

puntualmente le forniture), né era in grado (per il suo
carattere familiare e le modeste dimensioni, oltre che
per il fatto che opera in provincia diversa da quella
in cui operava l’altra) di assumere informazioni
commerciali sulla cliente, e quindi di conoscere i dati

mobiliari instaurate.
Tali doglianze non meritano accoglimento. Gli elementi
di fatto indicati nel motivo sono stati tutti
congruamente esaminati nella sentenza impugnata
(cfr.sopra), e la critica alla motivazione, piuttosto
che indicare risultanze decisive che non sarebbero
state considerate (tali non apparendo, in sé, neppure
le dichiarazioni testimoniali in ordine ai pagamenti
regolari che, secondo le stesse dichiarazioni, erano
imposti dalla odierna ricorrente quale condizione per
la consegna della merce), si risolve in effetti nella
prospettazione di una diversa “lettura” di merito,
evidentemente estranea alla verifica di legittimità.
2.

Con il secondo motivo si denuncia, in relazione

all’art.360 comma I n.4 cod.proc.civ., l’omissione di
pronuncia su una domanda svolta in subordine dalla
odierna ricorrente, diretta a ridurre a la somma da
restituire alla massa, in luogo di quella per la quale
era stata emessa condanna in primo grado. Sostiene la
5

relativi ai protesti pubblicati ed alle esecuzioni

ricorrente che, fin dal primo grado di giudizio, aveva
sostenuto che i pagamenti ricevuti nel periodo sospetto
ammontavano non alla somma contestatale (lire
68.294.224), bensì a somma inferiore (lire 52.963.062);
e che la Corte distrettuale, nonostante la reiterazione

accolta dal primo giudice, di riduzione della somma da
restituire alla massa, non avrebbe provveduto su di
essa.
Anche questa doglianza non merita accoglimento.
L’illustrazione del motivo si limita a riportare uno
stralcio delle conclusioni formulate nell’atto di
appello, contenente la domanda subordinata, ma non
indica un motivo di appello che la sostenesse, nel
rispetto del principio fondamentale dettato
dall’art.342 cod.proc.civ. Il principio, cioè, della
necessaria specificità dei motivi di appello, per il
quale è onere dell’appellante esporre le ragioni di
fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, in
relazione al contenuto della sentenza appellata, in
modo tale che restino esattamente precisati il
contenuto e la portata delle censure in riferimento ad
una o più delle statuizioni adottate dal primo giudice
(cfr.ex multis: Cass. n.6978/13; n. 25218/11;
n.23299/11; S.U. n.28057/08). Tali considerazioni, che
6

in atto di appello della richiesta subordinata, non

quantum

inducono a ritenere la mancanza, in ordine al

determinato dalla sentenza di primo grado, di un motivo
• di appello ammissibile, trovano del resto conferma
nell’esame diretto -consentito dalla natura del
denunziato vizio in procedendo

dell’atto di gravame:

della richiesta subordinata, ma non figura alcuna
indicazione né in ordine alle ragioni esposte nella
sentenza di primo grado a sostegno della determinazione
della somma da restituire né in ordine alle ragioni che
l’appellante intendesse eventualmente contrapporre a
tale determinazione, i motivi di gravame vertendo
esclusivamente sui punti evidenziati ed esaminati dalla
Corte distrettuale nella sentenza qui impugnata. Che,
.

dunque, rettamente ha omesso di provvedere su un motivo
di appello inesistente.
Il rigetto della domanda si impone dunque, con la
conseguente condanna della ricorrente alle spese, che
si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
rimborso in favore della parte resistente delle spese
di questo giudizio di cassazione, in E 4.500,00 (di cui
E 200,00 per esborsi) oltre spese generali forfetarie e

accessori di legge.
a•

7

in esso risulta solo la formulazione nelle conclusioni

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

prima sezione civile della Corte suprema di cassazione,

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