Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22569 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 16/10/2020), n.22569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2371/2016 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliata in Roma, via Ciro Menotti

24, presso lo studio dell’avvocato Pietro Caponetti, che la

rappresenta e difende in virtù di mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PA.IS., G.E., COMUNE DI NEROLA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3892/2015 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 25/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

– P.E. chiamava in giudizio dinanzi al Tribunale di Tivoli Pa.Is.;

– deduceva che le parti erano proprietari di terreni confinanti in Comune di Nerola;

– lamentava che la convenuta aveva realizzato opere che ricadevano sul terreno di proprietà dell’attrice, in particolare aveva installato un cancello in ferro con due colonne;

-chiedeva pertanto che, previa delimitazione del confine, la convenuta fosse condannata a restituire il terreno abusivamente occupato;

– deduceva ancora che, nel realizzare le modifiche, la convenuta aveva inglobato un braccio della strada comunale denominata “(OMISSIS)”, eseguendo varie opere di scavo e di livellamento del terreno e, da ultimo, arrivando a costruire un manufatto abusivo;

– era perciò chiamato nel giudizio anche il Comune di Nerola, nei cui confronti l’attrice proponeva domanda di risarcimento del danno;

-i convenuti si costituivano, chiedendo il rigetto della domanda;

– l’attrice iniziava una ulteriore causa dinanzi al medesimo tribunale convenendo in giudizio, oltre ai soggetti già convenuti nella prima lite, anche G.E. e Gi.Be., il primo quale avente causa della Pa. in relazione ai beni coinvolti nella lite, il secondo perchè “divenuto di fatto ulteriore confinante”;

– per quanto interessa in questa sede il Tribunale, nel decidere le cause successivamente riunite, accoglieva in parte la pluralità delle richieste avanzate dall’attrice nei confronti di Pa.Is. e G.E.;

– rigettava la richiesta di risarcimento del danno nei confronti del Comune, in favore del quale liquidava le spese del giudizio;

– la Corte d’appello di Roma, investita con appello principale dalla Pa. e dal G. e con appello incidentale dalla P., dichiarava inammissibile l’appello principale e rigettava l’appello incidentale;

– in particolare, con l’appello incidentale, la attuale ricorrente aveva censurato la decisione di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva disatteso la domanda di risarcimento del danno nei confronti del Comune “per il comportamento inerte serbato in ordine alla tutela del ramo della strada comunale (OMISSIS), oggetto della iniziativa dei convenuti, assumendo l’erroneità della decisione per avere fondato la decisione sulla sola circostanza della mancata inclusione della strada nell’elenco delle strade comunali adottato con Delib. Consiglio Comunale 14 maggio 1983, n. 13”;

– per quanto ancora interessa in questa sede la corte di merito negava che la strada, oggetto del denunciato inglobamento, avesse carattere di strada comunale, confermando sul punto la valutazione del giudice di primo grado;

– per la cassazione della sentenza la P. ha proposto ricorso affidato a due motivi, il primo diretto a censurare la decisione assunta nei confronti del Comune, il secondo riguardante un aspetto della decisione della causa fra proprietari confinanti;

– la ricorrente, con nota del 14 gennaio 2020, ha depositato rinuncia al ricorso nei confronti di Pa.Is. e di G.E., chiedendo dichiararsi la cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese di lite;

– con il medesimo atto ha dichiarato di volere insistere nella impugnazione nei confronti del Comune di Nerola.

-la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– in considerazione della rinuncia al ricorso deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio di legittimità nei rapporti fra la ricorrente, Pa.Is. e G.E., rimasti intimati nel giudizio di cassazione, senza provvedimento sulle spese in conformità alla richiesta della stessa ricorrente;

– il primo motivo di ricorso (il solo ancora rilevante in questa sede) denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 112,115 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c., comma 2, artt. 824, 826, 832, e 2043 c.c. e dell’art. 97 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5;

– la ricorrente richiama innanzitutto le censure sollevate con l’appello incidentale: a) il carattere non costitutivo della iscrizione della strada nell’elenco delle strade comunali; b) la strada è riportata come strada comunale nelle mappe catastali ed è indicata come tale negli atti notarili riguardanti i beni adiacenti; c) il braccio di strada in questione aveva le medesime caratteristiche del restante percorso, che era stato oggetto di un intervento del Comune di Nerola: “(…) prima che venisse cementata anche questo tratto non era utilizzato e se ciò avveniva raramente, solo da mezzi piccoli e adeguati, in quanto sconnessa e con andamento in forte declivio come quello del suo braccio oggetto di occupazione illegittima e comunque priva di alcuna causa giustificativa. (…) Il ritenuto mancato rinvenimento del tracciato richiede una logica integrazione”; d) lo stato di abbandona in cui versava il braccio in questione era solo apparente, trovando la sua spiegazione nella iniziative indebite poste in essere dai convenuti; e) la corretta applicazione dei principi sulla sdemanializzazione tacita avrebbe dovuto portare a un diverso esito decisorio; f) il Comune aveva assunto nel giudizio un contegno in contrasto con l’assunta sdemanializzazione tacita; g) il bene, ammesso e non concesso che fosse stato sdemanializzato, sarebbe entrato a far parte del patrimonio disponibile del Comune e non avrebbe potuto essere sacrificato a beneficio di determinate persone; h) si insisteva infine nel sostenere la responsabilità del Comune, che “andava condannato al risarcimento dei danni in favore dell’attrice per non avere posto in essere gli atti e i mezzi amministrativi anche cautelari e conservativi di cui esso disponeva e che il caso imponeva, da liquidarsi, attesa la peculiarità degli stessi e la impossibilità di quantificarli attraverso regole astratte riconducibile al caso concreto, secondo equità”;

– secondo la ricorrente, in rapporto a tali critiche, la sentenza d’appello è inficiata da motivazione apparente, perchè non dà adeguata risposta alle censure mosse con l’appello, perchè non tiene conto dei principi di giurisprudenza secondo i quali la iscrizione o la mancata iscrizione non hanno carattere costitutivo, potendo la natura della strada risultare anche da presunzioni, in particolare dalle risultanze catastali, elemento, quest’ultimo, ricorrente nel caso concreto;

– la corte d’appello, inoltre, non ha considerato gli insegnamenti giurisprudenziali in materia di sdemanializzazione tacita, che richiedono non solo il mancato utilizzo, ma anche l’esistenza di un atto della amministrazione che manifesti in modo inequivocabile la volontà dell’ente di sottrarre il bene alla sua destinazione;

– tale volontà nel caso in esame non era ravvisabile;

– il Comune, anzi, costituendosi nel giudizio, aveva reso affermazioni incompatibili con l’ipotesi della sdemanializzazione tacita;

– quanto allo stato di abbandono del tracciato esso era stato rilevato dal consulente dopo tre anni dalla immutazione dei luoghi e “comunque lo stesso si riferisce solo alla non rinvenibilità in loco, quindi a quella visiva, ma non certamente alla ricostruzione reale che è perfettamente rappresentata in scala nelle mappe catastali di cui non è stato tenuto conto nè del primo nè del secondo giudice di merito tanto che è stato perfino possibile determinare quanto parte di essa è stata occupata (…)” (pag. 27 del ricorso);

– insomma, la sentenza della Corte d’appello di Roma non offre alcuna risposta a “quanto dedotto dall’appellante e a quanto risulta oggettivamente nel processo rimanendo così la sentenza impugnata priva di una motivazione giustificativa e per l’evidente violazione del principio del vincolo tra chiesto e pronunciato e (…) conseguentemente nullità della sentenza o necessità di emenda anche ex art. 132 c.p.c.” (pag. 28 ricorso);

– nel motivo infine si pone l’accento sulla responsabilità del Comune sia per non avere rilevato la esatta ubicazione del manufatto realizzato dalla convenuta (circostanza risultante dalla sentenza di primo grado), sia per l’inerzia “manifestata a fronte di una situazione che avrebbe imposto mezzi di salvaguardia ben diversa ed approfonditi dalla quale non può non discendere una responsabilità intergerarchica per la pubblica amministrazione riconducibile all’art. 2043 c.c. e art. 97 Cost.”;

– il motivo è inammissibile;

– questa Corte ha chiarito che, al fine di determinare l’appartenenza di una strada al demanio comunale, costituiscono indici di riferimento, oltre l’uso pubblico, cioè l’uso da parte di un numero indeterminato di persone (il quale isolatamente considerato potrebbe indicare solo una servitù di passaggio), la ubicazione della strada all’interno dei luoghi abitati, l’inclusione nella toponomastica del Comune, la posizione della numerazione civica, il comportamento della P.A. nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica. Per converso non può ritenersi elemento da solo sufficiente, l’inclusione o rispettivamente la mancata inclusione nell’elenco delle strade comunali, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’elenco anzidetto (Cass. n. 4345/2000);

– è stato anche chiarito che:

a) che l’appartenenza di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c. (Cass. n. 23705/2009; n. 18027/2016), quali, in particolare, le risultanze delle mappe catastali (Cass. n. 5339/2001);

b) la sdemanializzazione tacita non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, ma è ravvisabile solo in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino (Cass., S.U., n. 11101/2002; n. 12062/2014);

c) la sdemanializzazione di una strada può avvenire anche tacitamente, indipendentemente da un formale atto di sclassificazione, quale conseguenza della cessazione della destinazione del bene al passaggio pubblico, in virtù di atti univoci ed incompatibili con la volontà di conservare quella destinazione; il relativo accertamento da parte del giudice di merito è – ove immune da vizi logici e giuridici – incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 4827/2016; n. 14666/2008);

– la sentenza impugnata è in linea con tali principi;

– la corte di merito ha avuto ben presente che “la mancata iscrizione di una strada all’interno dell’elenco delle strade comunali non può essere ritenuto elemento sufficiente per escludere la sua appartenenza all’ente pubblico, stante la natura meramente dichiarativa dell’elenco”;

– tuttavia, nel confermare la sentenza di primo grado su questo punto, ha chiarito che il tribunale aveva basato il suo convincimento su una pluralità di circostanze di fatto, analiticamente indicate a pag. 14 della sentenza e, precisamente: 1) sull’attuale impossibilità di rilevare sul posto il tracciato del ramo di strada comunale in contestazione, non più pavimentato e ricoperto da anni da vegetazione e da rovi; 2) sulla pendenza media del tratto di strada, servito in passato per superare un dislivello di circa 30 metri ed avendo una pendenza media del 50% che lo rendeva sin dall’origine percorribile solo con animali da soma e non con mezzi meccanici o trainati da animali; 3) sul fatto che detta mulattiera interna, con l’abbandono dell’utilizzazione di animali da soma per le coltivazioni agricole, non sarebbe più stata utilizzata dalla collettività locale, come comprovato dalla sua attuale condizione, che denota da lungo tempo una totale assenza di manutenzione da parte di chiunque in particolare dell’ente comunale”;

-secondo la corte d’appello sussistevano nella fattispecie una serie “elementi obiettivi che, indipendentemente dal dato formale della inclusione o meno della strada nell’elenco comunale, sono un chiaro indice di totale abbandono del braccio in questione, sicchè può essere condivisa la valutazione del tribunale in ordine ad una tacita sdemanializzazione di esso, il quale peraltro, si trova da sempre distante dall’agglomerato urbano e non è risultato visibile neanche ai tecnici del Comune di Nerola, in occasione del sopralluogo effettuato ad hoc in data 5/4/2007”;

– così identificato il contenuto della sentenza è chiaro che, sotto la veste della violazione di legge, del difetto di motivazione o della violazione delle norme in materia di valutazione dei mezzi di prova, è denunciata la ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di merito in quanto tale, sollecitandosi dal giudice di legittimità una considerazione degli elementi di prova diversa rispetto a quella già operata dai giudici di merito (ad esempio la consistenza della vegetazione da farsi risalire ad epoca non superiore a due tre anni): ciò in cassazione non è consentito (Cass. n. 91/2014; n. 19547/2017);

– l’ulteriore assunto dalla ricorrente, e cioè che il Comune, costituendosi nel giudizio, aveva manifestato una volontà incompatibile con l’ipotesi della tacita sdemanializzazione, costituisce petizione di principio;

– infatti, secondo la stessa trascrizione dello scritto difensivo operata nel ricorso, il Comune aveva solo espresso una “riserva di ulteriori accertamenti e di rivendica all’esito degli stessi”;

– tale precisazione non costituisce di per sè un fatto che contraddice l’ipotesi della sdemanializzazione tacita fatta propria dalla corte d’appello;

– in conclusione, il ricorrente pretende in questa sede la revisione di apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, i quali, congruamente motivati in base a considerazioni in linea con la giurisprudenza della Corte, sono invece incensurabili in questa sede (Cass. n. 4827/2016; n. 14666/2008; Cass. n. 7708/2002);

– si deve aggiungere che il Comune è stato chiamato nel giudizio nella sua veste di proprietario della strada oggetto della supposta illecita iniziativa dei privati, per non avere assunto le iniziative occorrenti per la tutela della strada pubblica, “in violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 2043 c.c., con danno patrimoniale in pregiudizio dell’attrice che, fra l’altro, è proprietaria di altri terreni sottostanti alla strada comunale, di fatto sottratta all’uso pubblico dei cittadini di Nerola del tutto immotivatamente, oltre che all’istante ed in suo pregiudizio” (così il secondo atto di citazione);

– ora una simile pretesa non è configurabile in questi termini già in linea di principio;

– essa suppone che la ricorrente, con riguardo alla strada comunale, sia titolare di una posizione di diritto soggettivo, laddove, secondo gli insegnamenti di questa Corte, il fatto che i frontisti facciano del demanio stradale un uso più frequente non costituisce un fenomeno intrinsecamente diverso per qualità dall’uso generale;

– diversamente da quanto afferma la ricorrente non si tratta di diritti soggettivi, ma al limite di interesse legittimi (Cass. n. 11242/2003; Cass. n. 1202/1988; n. 244/1968), suscettibili di tutela, anche per i profili risarcitori, dinanzi al giudice amministrativo (art. 7, comma 4, Codice del processo amministrativo);

– è stato anche chiarito che “la sdemanializzazione di una strada pubblica fa sempre venire meno il diritto di accesso e transito esercitato da privati frontisti, con la sola eccezione del proprietario intercluso (assolutamente o relativamente), poichè l’interesse legittimo del frontista non può trasformarsi in diritto su cosa altrui” (Cass. n. 3283/1974; conf. 12008/2004);

– in quanto all’errore dei tecnici comunali sulla identificazione della posizione del manufatto realizzato sul terreno dell’attrice, trattasi di rilievo operato in via incidentale dal giudice di primo grado, rilievo rimasto del tutto privo di incidenza sulla decisione, tant’è vero che la domanda proposta nei confronti del Comune è stata rigettata, nè la questione risulta minimamente affrontata nella sentenza impugnata;

– a un attento esame il rilievo sembra utilizzato in questa sede quale argomento inteso a ulteriormente corroborare la pretesa, non configurabile per quanto già detto, fondata sulla supposta colpevole inerzia mantenuta dal Comune nella vicenda, in violazione dei principi stabiliti dall’art. 97 Cost.;

– è infine palesemente inammissibile la deduzione contenuta nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, laddove la responsabilità del Comune è fatta dipendere anche dalla mancata vigilanza sull’attività edilizia dei privati;

– anche tale aspetto non è correlato ad alcun contenuto della sentenza impugnata, che rappresenta l’invalicabile perimetro del presente giudizio di legittimità;

– nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 25319/2017; n. 20712/2018);

– per completezza di esame si osserva che l’art. 133 codice del processo amministrativo, comma 1, lett. f), devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio”;

-il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile;

– nulla sulle spese non avendo il Comune svolto difese;

– ci sono le condizioni per dare atto della ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

PQM

dichiara l’estinzione del presente giudizio relativamente alla ricorrente P.E. e gli intimati Pa.Is. e G.E.; dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Comune di Nerola; sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

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