Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22568 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 07/11/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 07/11/2016), n.22568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1544-2012 proposto da:

C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, V. Monte

Zebio 19, presso lo studio dell’avvocato CARLO DE PORCELLINIS, che

lo rappresenta e difende, come da procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.P. SRL, (OMISSIS), in persona legale rappresentante pro

tempore, M.C. & FIGLI SRL (OMISSIS), in persona legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, Via

Ludovisi 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO,

rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO VENDITTI, come da

procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti in via incidentale –

avverso la sentenza n. 4787/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

uditi gli avvocati De Porcellinis e Venditti, che si riportano agli

atti e alle conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, Luisa De Renzis, che

conclude per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A. Così la sentenza impugnata riassume la vicenda processuale.

” C.A. conveniva in giudizio, innanZi al Tribunale di Roma, seZione distaccata di Tivoli, le società M.P. a rl, e M.C. & Figli a rl, esponendo che era proprietario, in forza di atto di assegnazione di beni sociali a seguito della liquidazione della società CTI a rl di un là fabbricato da cielo a terra sito in (OMISSIS), ad uso uffici al piano terra, ad abitazione del guardiano al primo piano, e ad uso capannone industriale per la parte restante, con annessa area di manovra, confinante nell’insieme con proprietà M., con strada d’accesso, con proprietà assegnata a C.C., con proprietà S., il tutto distinto al catasto alla partita (OMISSIS); che, dal lato del confine con la proprietà M., perpendicolarmente alla via (OMISSIS), correva una strada privata di sua esclusiva proprietà, come risultava dall’atto di acquisto della dante causa CTI dall’originaria proprietaria A.E. in B.; che detta strada privata era delimitata verso nord dalla proprietà M., verso est dalla via (OMISSIS) e verso sud dalla proprietà di esso ricorrente; che nella proprietà M. le società convenute svolgevano attività di segatura e lavorazione delle pietre e del marmo travertino; dal lato a confine con la strada privata di proprietà di esso attore il muro che delimitava la proprietà M. era stato lasciato andare in rovina ed erano stati immessi nella proprietà C. blocchi e residui di varia pezzatura di marino travertino; a seguito dell’accumulo degli scarti della segatura del marmo, sempre in prossimità del confine delimitato dai resti del muro di cinta, il piano di quota dell’area di proprietà M. era stato illegittimamente innalzato di almeno due metri rispetto alla quota iniziale e sul lato di confine a sud ovest erano stati accumulati scorie e detriti della lavorazione che invadevano la sua proprietà; all’interno della proprietà C., sul muro di confine, erano stati posati tubi in plastica per lo scarico di acque e fanghi residui delle lavorazioni del marino; sullo stesso lato di confine era stata posta in opera una struttura, poggiante su una piattaforma in cemento armato, con relativa copertura in ondulato plastico coibentato, per la segatura del marmo, le cui tarature di sostegno insistevano sulla proprietà C.; l’impianto di segatura del marmo, inoltre, provocava immissioni sonore e vibrazioni non tollerabili e, per l’estrema vicinanza alla proprietà di esso attore, era fonte di pericolo.

Chiedeva quindi che le società fossero condannate alla demolizione della detta struttura oltre che alla rimozione dei materiali di risulta e degli enormi riempimenti eseguiti con i rifiuti delle lavorazione del travertino.

Si costituivano in giudizio le convenute, deducendo quanto segue: la società M.P. era nel legittimo possesso della strada privata, che si frapponeva fra lo stabilimento M. e quello dimesso C.; da oltre un ventennio, prima direttamente e successivamente a mezzo della società M.C. provvedendo all’asfaltatura, manutenzione ed utilizzo esclusivo; da molti anni i M. avevano apposto un cancello alla strada ed, anche prima, l’accesso alla stessa era precluso da grossi blocchi di travertino posti dai M. per impedire ingressi non autorizzati; l’attore lamentava principalmente la violazione delle distanze legali fra costruzioni; tuttavia la struttura realizzata aveva l’esclusivo scopo di protezione del telaio, non era stabilmente ancorata al suolo ed era facilmente rimuovibile, ragione per cui non vi era pericolo di creazione di dannose intercapedini. Concludevano chiedendo il rigetto delle domande attoree.

(…) Con sentenza n 46/05, il giudice unico, condannava la società convenuta a rimuovere i residui e le lastre dalla proprietà dell’attore, respingendo tutte le altre domande.

Avverso tale sentenza proponevano appello le due società, chiedendone la riforma per i motivi che saranno appresso esaminati.

Si costituiva l’appellato, proponendo appello incidentale chiedendo per contro la conferma della sentenza di primo grado”.

13. La Corte di appello, sul gravame principale delle società e incidentale di C., così decideva: “in parziale accoglimento principale dichiara che la stradina posta al confine tra la proprietà C. e M. non è in proprietà di C.A.; condanna le società convenute in solido ad arretrare la costruzione destinata alla lavorazione del travertino fino alla distanza di otto metri dalla costruzione di C.A. posta sul lato nord della proprietà dello stesso; rigetta l’appello incidentale e compensa interamente ha le parti le spese di questa fase del giudizio”.

1. La Corte di appello, circa la declaratoria effettuata dal primo giudice della proprietà in capo al C. della strada in questione, ritenuta ammissibile tale domanda, perchè non nuova, accoglieva il relativo motivo di impugnazione delle società, rilevando che “dalla disamina dall’atto di vendita della A. dante causa della CTI, a sua volta dante causa del C. (atto per Notaio Ca., rep (OMISSIS)), si evince in realtà che la strada non era oggetto della compravendita bensì di costituzione di servitù di passaggio a favore dell’acquirente CTI”, come risultava dal confronto tra l’atto e le planimetrie allegate che corrispondevano nella sostanza alla planimetria esistente al Nuovo Catasto Edilizio Urbano, depositata dalla stessa CTI, allegata agli atti processuali”, dalla quale “si evidenziano i termini chiari che sulla stradina, posta tra il fabbricato C. e la proprietà M., è tracciata la dicitura servitù di passaggio”.

2. Quanto alla domanda relativa al rispetto delle distanze, la Corte di appello rilevava che “la presenza della strada interposta tra i confini dei fondi delle due parti… non incida (…) sull’obbligo dell’osservanza delle distanze che la società M. avrebbe dovuto rispettare bensì sulla sola determinazione dell’arretramento. Le caratteristiche della strada in oggetto, sicuramente non pubblica, cieca, lasciano ritenere che nella specie la violazione debba configurarsi tra il confine C., costituito dalla costruzione in proprietà dello stesso posta sul lato nord e quello M. segnato dal detto muro”. Osservava al riguardo la Corte locale che “in analogia con la costante giurisprudenza di legittimità secondo cui gli spazi interposti tra le costruzioni, non appartenenti alle parti bensì ai terzi, non esonerano dall’obbligo di osservare le distanze, (…) nella specie debba ritenersi la sussistenza della violazione giacchè la costruzione contestata è posta rispetto al confine del C., rappresentato dall’immobile in proprietà dello stesso, a distanza inferiore a quella regolamentare e quindi legale”. Concludendo poi che “Va quindi disposto l’arretramento della costruzione non già alla distanza di otto metri dal confine rispetto al muro di separazione tra la proprietà M. e quella privata bensì alla distanza di otto metri C., dal lato computato dal consulente ai fini delle distanze”.

3. Quanto alla natura di costruzione, o meno, del manufatto da arretrare, la Corte locale lo qualificava come costruzione sulla base degli accertamenti tecnici espletati e facendo applicazione dei principi al riguardo affermati da questa Corte.

C. Impugna tale decisione il C. con tre motivi. Resistono con controricorso le società che formulano a loro volta ricorso incidentale sulla base di un motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A. Il ricorso principale.

1. I motivi del ricorso.

Il ricorrente chiarisce che il suo ricorso riguarda: a) il capo della sentenza “che ha statuito dichiarando che la strada posta al confine nord tra la proprietà C. e M. non è in proprietà di C.A.”; b) il capo della sentenza “che ha statuito, ordinando alle società convenute di arretrare la costruzione destinata alla lavorazione del travertino fino alla distanza di otto metri dalla costruzione di C.A. e non dal confine tra le proprietà e, dunque, fino alla distanza di otto metri dal confine della strada privata”; c) sul capo della sentenza “che ha rigettato l’appello incidentale promosso dal ricorrente”; d) sul capo della sentenza “relativo alle spese di giudizio”.

1.1 – Col primo motivo si deduce: “vizio di ultrapetizione – Violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione agli artt. 163 e 167 c.p.c. nonchè all’art. 873 c.c. art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”. Ciò perchè “le domande svolte dalle parti hanno circoscritto l’ambito del giudizio all’accertamento della violazione, da parte delle società convenute, delle norme relative alla distanza tra le costruzioni, sicchè la statuizione circa l’accertamento negativo del diritto di proprietà relativo alla predetta stradina è abnorme esiliando essa dal petitum cui è vincolato il Giudice di merito”. La Corte territoriale “ha correttamente rigettato, sulla base delle risultanze processuali, l’eccezione riconvenzionale di usucapione formulata dalle convenute (..) e nonostante ciò, (…) ha incomprensibilmente esaminato – peraltro errando – i titoli di proprietà C., pronunciandosi negativamente in merito alla sussistenza della proprietà vantata da quest’ultimo sulla strada de quo”. Al Giudice di merito “era certamente precluso di pronunciarsi, con efficacia di giudicato, in ordine alla attribuzione o negazione del diritto di proprietà vantato dall’attore sulla porzione di terreno costituito dalla citata stradina”, posto che la domanda con la quale l’attore chieda nei confronti del vicino il rispetto delle distanze legali va qualificata come “negatoria servitutis” (Cass. 2006, n. 24702). Il ricorrente osserva che “la domanda dell’attore muoveva dall’assunto che il proprio diritto dominicale fosse stato violato a causa della edificazione di una costruzione, da parte del proprietario del fondo confinante, a distanza illegale ed aveva oggetto il ripristino dello stato dei luoghi con i consequenziali provvedimenti”, mentre quella delle convenute “era semplicemente volta a paralizzare, mediante la richiamata eccezione di usucapione (…) la domanda dell’Ing. C.”, tanto che “nelle conclusioni rassegante in primo grado su ari deve ritenersi cristallizzato il contraddittorio le convenute hanno chiesto solo di rigettare le avverse domande siccome inammissibili ed infondate in fatto ed diritto e comunque non provate”. Rileva ancora il ricorrente che “la pronuncia di che trattasi, oltre ad essere irrimediabilmente viziata dal dedotto error in procedendo, è altresì palesemente illogica e porta ad conseguenza giuridica”, posto che “proprio l’eccezione riconvenzionale di usucapione sviluppata dalle società M. comprova che entrambe le parti muovevano da un dato pacifico, rappresentato dalla sussistenza in capo all’attore – quantomeno formalmente – del diritto di proprietà sulla stradina che ci occupa”. Inoltre, “l’eventuale e denegato passaggio in giudicato della statuizione in esame porterebbe a qualificare la porzione di terreno facente parte del lotto in proprietà dell’attore come una res nullius, in quanto priva di un legittimo proplietario”.

1.2 – Col secondo motivo si deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Osserva il ricorrente che “la Corte d’Appello, sebbene le convenute avessero implicitamente riconosciuto e non contestato che la strada posta sul lato nord fosse di proprietà dell’attore, ha erroneamente riformato la sentenza di primo grado, statuendo in maniera negativa sul medesimo diritto dominicale, sulla base delle nuove ed inammissibili eccezioni introdotte solo in sede di gravame dalle società M., in palese violazione dell’art. 345 c.p.c., posto che “l’accertamento in ordine alla proprietà della stradina in parola costituiva, nella là se d’appello un tema di indagine nuovo”. Rileva che “la titolarità di tutta l’area in capo all’Ing. C. rappresentava all’esito del giudizio di primo grado una circostanza pacifica, che lo stesso Giudice di prime cure aveva correttamente posto alla base della propria decisione”. Aggiunge che già in sede di costituzione nel grado di appello aveva eccepito che i motivi di gravame e le eccezioni formulate dalle appellanti erano, in parte qua, improcedibili ed inammissibili”, eccezione che “la Corte territoriale ha disatteso (…) sulla scorta delle osservazioni delle appellanti”, negando “all’attore la titolarità della porzione di terreno posta sul lato nord della proprietà del medesimo” e, conseguentemente, “disponendo che la costruzione che insiste sulla proprietà M. debba essere arretrata di otto metri non dall’effettivo confine tra due fondi, ma dalla costruzione di proprietà dell’attore”:

1.3 – Col terzo motivo si deduce: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento ad un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, posto che la Corte locale, nel valutare l’atto di trasferimento ai fini della proprietà o meno del terreno in questione, aveva errato nelle relative conclusioni, non avendo letto l’intero atto con riguardo alle planimetrie allegate. Con l’ulteriore conseguenza che “l’ordine di ripristino delle distanze legali mediante arretramento del fabbricato di proprietà M. avrebbe comportato l’arretramento medesimo per mt. 8 dal confine della strada privata e non dalla costruzione di proprietà di C.A.”.

B. Il ricorso incidentale.

Con l’unico motivo di ricorso si deduce: Violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., come integrato dalle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Tivoli, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″. Ha errato la Corte di appello a qualificare come costruzione il manufatto in questione, posto che le prescrizioni delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Tivoli che prevedevano per la sottozona 194 (aree industriali) “distanze minime di 8 mt. dei fabbricati dai confini”, prescrivono “il distacco di mt. 8 dei fabbricati dai confini e non delle opere provvisionali delle attrezzature adibite alle lavorazioni che, per la loro finalità e le intrinseche caratteristiche di temporaneità, erano da ritenersi precarie e non equiparabili ai fabbricati”. Osservano di aver tempestivamente dedotto che “la struttura in esame è una mera protezione del telaio che esegue la segagione del travertino, consistente in una tettoia di ondulato sorretta da pilastri in ferro imbullonati su una piattaforma di cemento. Tale tettoia non è ancorata stabilmente al suolo ed è facilmente rimovibile, non realizza alcuno spazio chiuso nè è diversamente utilizzabile per cui, in sè considerata, non integra gli estremi della costruzione (intesa come fabbricato)… tant’è che “non impedisce il passaggio di aria e luce e che la sua natura precaria e transitoriamente finali fiata all’attività produttiva esclude che essa costituisca una intercapedine pregiudizievole della salubrità dei luoghi considerato che si tratta terreni in zona industriale. Osservano, quindi, che “le norme dello strumento urbanistico, disciplinando esclusivamente l’attività edilizia nelle aree industriali, prescrivevano (soltanto) le distanze dei fabbricati dai confini per cui la Corte territoriale non poteva applicarle estensivamente ad un’opera provvisionale e precaria, quale la copertura del telaio, se non incorrendo, come è avvenuto, nel vizio denunziato nel titolo”.

C. Entrambi i ricorsi sono infondati e vanno rigettati.

D. Quanto ricorso principale occorre osservare quanto segue.

1. Il primo motivo, che presenta profili di inammissibilità, è comunque infondato. Non sussiste la denunciata violazione di legge, perchè, a fronte dell’eccezione riconvenzionale di usucapione della strada, la Corte locale doveva necessariamente pronunciarsi sulle prove sulla proprietà o meno della strada in questione e ciò ai fini di verificare poi il rispetto delle distanze secondo la prospettazione le parti. Va evidenziato che la pronuncia d’accertamento negativo della proprietà della strada nei riguardi del ricorrente riguarda solo le parti in causa e non terzi.

2. Parimenti il secondo motivo presenta aspetti d’inammissibilità, risultando comunque infondato.

Non può essere qualificata come indagine nuova, come tale inammissibile in appello, quella relativa all’accertamento della proprietà a fronte della eccezione riconvenzionale proposta, dovendo, come si è detto quanto al primo motivo, la Corte procedere ad accertamento propri ai fini del decidere sulle domande proposte, che tale proprietà presupponevano, ai fini della individuazione del confine tra le proprietà, indispensabile per poi procedere al successivo accertamento dell’eventuale violazione delle distanze. Al riguardo, occorre anche osservare che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione possa valore assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova dei fatti impediti, modificativi o distintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti (Cass. SU n. 2951 del 2016).

3. è Infine infondato il terzo motivo che deduce vizio motivazionale sull’intervenuto accertamento negativo della proprietà della strada. La Corte d’appello, come si è visto per quanto esposto in fatto al punto B1, ha esaminato l’atto di trasferimento e le relative planimetrie nelle quali, a conferma delle previsioni prefettizie, la strada in questione veniva indicata come oggetto di sola servitù di passaggio in favore del ricorrente. La motivazione è adeguata e sufficiente, mentre il ricorrente con il motivo proposto in definitiva sollecita una diversa valutazione, a sè più favorevole, delle risultanze processuali, così chiedendo a questa Corte una loro rivalutazione, inammissibile in questa sede.

E. E’ infondato anche il ricorso incidentale col quale si contesta, sotto il profilo della violazione di legge, la conclusione raggiunta la Corte locale quanto alla qualificazione del manufatto come costruzione.

Al riguardo va osservato che la Corte di appello riporta la descrizione del manufatto risultante dalla CTU come segue: “trattasi di manufatto in carpenteria metallica e pannellature laterali, di dimensioni in pianta di mt 14×7 ed altezza pari a circa 7 mt, destinato al ricovero di un telaio per la segagione del travertino, poggiante su fondazioni in cemento armato, a loro volta gravanti su una struttura di sostegno realizzata con blocchi di travertino di diversa altezza solidarizzati dal basamento in c.a sovrastante, che fungono anche come muri di sostegno per il rilevato che, in quel punto, raggiunge circa i 2 mt di altezza”. La Corte territoriale ha poi osservato che per costruzione deve intendersi qualsiasi opera che emerga sensibilmente dal suolo, con caratteristiche di consistenza, stabilità e compattezza e pertanto anche nei confronti di manufatti costituiti da materiali diversi dal cemento e latrizio ove presentino i suddetti connotati. A nulla rileva poi che il collegamento al suolo avvenga mediante mezzi meccanici i quali consentano mediante procedimenti o manovre o procedimenti inversi una nuova mobilizzazione e l’asportazione del manufatto”.

La motivazione la Corte d’appello è adeguata e condivisibile e indica con chiarezza le ragioni per le quali il manufatto in questione deve essere considerato come costruzione, avendo fatto correttamente applicazione dei condivisi arresti di questa Corte al riguardo.

F. Spese compensate in relazione alla reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016

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