Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22563 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 16/10/2020), n.22563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5836/2016 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE FIORENTINO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.G., TO.AN., G.A., I.A.,

D.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GREGORIO VII

474, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SILVESTRI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ERRICO EDUARDO CHIUSOLO;

– controricorrenti –

e contro

C.O.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3610/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/02/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. Con atto di citazione del 27 aprile 2011, To.An., D.E., I.A., T.G., G.A. e C.O. convenivano in giudizio l’Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (Inpdap) e la Scip s.r.l. al fine di ottenerne, ai sensi del D.L. n. 41 del 2004, il rimborso del maggior prezzo pagato in occasione del trasferimento di unità immobiliari, facenti parte del patrimonio dell’ente, atteso che il corrispettivo versato risultava di importo maggiore in ragione del ritardo con il quale era stata effettuata la stima dei beni oggetto di vendita e si erano perfezionati i relativi atti di acquisto.

Il Tribunale di Napoli, preliminarmente escluso che l’accordo sottoscritto il 7 maggio 2003 con le rappresentanze dei sindacati degli inquilini potesse considerarsi una transazione sui medesimi fatti oggetto della controversia, con sentenza n. 8138/2014 accoglieva le domande degli attori, riconoscendo a ciascuno di essi una somma compresa tra i 5.071,44 e i 13.272,38 Euro.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello, quale successore ex lege dell’Inpdap, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), lamentando che il Tribunale aveva trascurato l’eccezione di difetto di giurisdizione, aveva erroneamente interpretato gli accordi transattivi conclusi con alcuni degli appellati, l’omessa pronuncia sull’eccezione relativa all’atto di rinunzia di D. e l’omessa pronuncia sull’eccezione di adempimento e di ingiustificato arricchimento.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza 16 settembre 2015, n. 3610, ha rigettato il gravame e ha confermato la sentenza impugnata.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione l’Inps.

Resistono con controricorso To.An., D.E., I.A., T.G. e G.A..

L’intimata C.O. non ha proposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1. Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente ripropone l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, anche alla luce della pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 9692/2013: la controversia spetterebbe alla cognizione del giudice amministrativo in quanto non si verterebbe in tema di diritto soggettivo al rimborso da parte degli acquirenti, bensì di interesse legittimo al corretto svolgimento dell’attività dell’ente gestore.

Il motivo è infondato. Come hanno precisato le sezioni unite nel decidere un’analoga fattispecie (Cass., sez. un., n. 3728/2016), gli attori hanno acquistato, a seguito del procedimento di cartolarizzazione, immobili dall’Inpdap versando il prezzo proposto conseguente all’accordo del maggio 2003, e la controversia in esame – volta a stabilire se la sopravvenuta riduzione del prezzo intervenuta per via legislativa ex D.L. n. 41 del 2004, costituisca una duplicazione della riduzione già intervenuta tra le parti in virtù dell’accordo del 2003 e sia applicabile nel caso di specie – non coinvolge alcun potere discrezionale della pubblica amministrazione, così che la controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 c.c. e segg. e degli artt. 100,112 e 345 c.p.c., in relazione alla mancata declaratoria di improcedibilità dell’azione fatta valere dagli attori I.A., T.G. e G.A., nonchè da D.E..

Con il motivo l’Inps lamenta che non sia stata accolta l’eccezione, sollevata dall’Inpdap in primo grado, di intervenuta transazione della lite da parte di I.A., T.G. e G.A., che il 29 dicembre 2005 sottoscrissero un accordo risolutivo della causa collettiva iniziata nel 2004, causa che – secondo l’Inps – aveva lo stesso petitum di quella in esame; allo stesso modo il giudice d’appello avrebbe erroneamente considerato l’atto di D.E., che aveva rinunciato a un giudizio pendente innanzi al Tribunale di Napoli ed avente ad oggetto il rimborso del prezzo ex D.L. n. 41 del 2004.

Il motivo è inammissibile. In relazione alla transazione da parte di I.A., T.G. e G.A. è generico: per contestare l’interpretazione dell’atto di citazione della causa del 2004 nonchè delle schede di pagamento operata dal giudice di merito, il ricorrente invoca atti che non trascrive e rispetto ai quali si limita a un vago rinvio alla loro produzione in primo grado. Del tutto generico è poi il motivo circa l’atto di rinuncia di D.E.: a fronte della affermazione del giudice d’appello che “deve anzitutto rilevarsi che dalla documentazione allegata alla produzione di parte appellante non risulta in alcun modo evincibile la riferibilità di tale rinuncia allo specifico diritto oggetto della controversia in esame”, il ricorrente si limita a dire che D. “aveva rinunciato a un giudizio pendente innanzi al Tribunale di Napoli ad avente ad oggetto il rimborso del prezzo ex D.L. n. 41 del 2004, come da atto di rinuncia allegato in atti”, senza nulla obiettare all’altro argomento offerto dal giudice d’appello, ossia che trattandosi di una rinuncia agli atti del giudizio a non all’azione la sua valenza era esclusivamente endoprocessuale e quindi priva di rilievo nel giudizio in esame.

3. Il terzo e il quarto motivo sono tra loro strettamente connessi e vanno quindi congiuntamente esaminati:

a) il terzo motivo riporta “violazione e falsa applicazione del D.L. 23 febbraio 2004, n. 41, artt. 1,2, 3 e 4, conv. in L. 23 aprile 2004, n. 104; violazione e falsa applicazione del D.I. 20 aprile 2005, artt. 1, 2 e 3 (Modalità di rimborso del maggior prezzo corrisposto dagli acquirenti alla Scip s.r.l., da effettuarsi ai sensi della L. 23 aprile 2004, n. 104, art. 1, comma 3)” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; la Corte d’appello ha ritenuto, con interpretazione priva di fondamento, che la ratio del D.L. n. 41, fosse quella di evitare che l’anomalo incremento immobiliare nel 2001 ledesse gli acquirenti in ritardo con la procedura d’acquisto e, dall’altro, che l’accordo locale del 2003 avesse diversa motivazione, connessa allo stato manutentivo degli immobili;

b) il quarto motivo lamenta “vizio della motivazione per contraddittorietà e per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”; la Corte d’appello nell’affermare che l’accordo sindacale e la normativa statale operano su piani diversi, non ha considerato il contenuto integrale dell’accordo e in particolare la premessa del protocollo di intesa del 7 maggio 2003.

Come precisa l’Istituto ricorrente a p. 18 del ricorso, le questioni sollevate dai due motivi sono già state sottoposte all’esame delle sezioni unite di questa Corte. Nella pronuncia sopra richiamata – non ancora pubblicata quando è stato notificato il presente ricorso – le sezioni unite hanno affermato l’inammissibilità prima ancora che l’infondatezza dei corrispondenti due motivi (Cass., sez. un., n. 3728/2016). Con tali motivi l’Istituto censura infatti l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello dell’accordo del 7 maggio 2003 e la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, censura per la quale è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, nonchè con la trascrizione della parte della regolamentazione pattizia in contestazione (v. al riguardo, per esempio, Cass. 178/2007 e Cass. 19044/2010).

Nel caso in esame, il terzo motivo non censura la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione dei canoni ermeneutici di interpretazione del contratto, mentre il quarto motivo ripropone la censura sotto il profilo del vizio di contraddittorietà della motivazione (parametro non invocabile alla luce della formulazione. 5 dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie) e dell’omesso esame di fatti decisivi, non denunciando però il mancato esame di fatti storici, ma, ancora, l’interpretazione dell’accordo posta in essere dal giudice d’appello.

Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono pertanto inammissibili.

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’Istituto ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dell’Istituto ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

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