Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22559 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/11/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 07/11/2016), n.22559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16787-2015 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DOMENICO

PETRACCA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

STEFANO MENDOLIA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, c.f. (OMISSIS), in persona del Direttore

pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7090/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA, emessa il

03/11/2014 depositata il 22/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA VELLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

1. Con il primo motivo si deduce “nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione – violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4)”, per inconciliabilità tra il parziale accoglimento dell’appello dichiarato in motivazione e la conferma della sentenza appellata statuita in dispositivo.

1.1. Il motivo è infondato, in quanto dalla lettura della sentenza emerge chiaramente che la parziale fondatezza dell’appello, affermata nella seconda riga della motivazione, è in realtà riferita alle ragioni del contribuente, come chiarito nella penultima riga della motivazione medesima, conformemente alla statuizione del dispositivo, essendosi perciò trattato di un evidente lapsus calami.

2. Con il secondo si deduce la “nullità della sentenza per motivazione apparente – violazione dell’art. 132, n. 4 – violazione artt. 2702 e 2712 c.c. – violazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4)”, per essersi la C.T.R. limitata ad affermare che “ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, è onere del contribuente dimostrare, con idonee e circostanziate prove documentali, che gli elementi desumibili dalla motimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili”, tuttavia “nella fattispecie dette prove non risultano essere state presentate, ma risulta che siano state solo fornite generiche attestazioni e fotografie prive di ogni valore documentale e probatorio”.

2.1. Il motivo, che propone cumulativamente plurime e distinte censure, presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

2.2. In particolare, la motivazione non è meramente apparente, bensì chiaramente incentrata sul mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sul contribuente, per inidoneità, in concreto, delle produzioni effettuate (“generiche allegazioni e fotografie”).

2.3. I denunziati errores in iudicando difettano invece di autosufficienza, mancando l’indicazione del contenuto delle suddette produzioni, ai fini dell’invocato riscontro circa il valore probatorio di cui esse sarebbero munite; le censure integrano altresì una contestazione sul merito della decisione, segnatamente sulla valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio, che però non è ammissibile in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. s.u. n. 7931/13; Cass. nn. 14233/15, 3396/15, 961/15, 26860/14,12264/14).

3. Il terzo motivo attiene alla “violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21 septies, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, commi 2 e 3, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 36, comma 3, del principio generale di diritto comunitario che tutela il diritto di difesa del contribuente mediante necessario contraddittorio anticipato come specificato da Corte di giustizia UE, Sent.18.12.2008 – C-349/07 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) “, per avere la C.T.R. ritenuto inapplicabile il termine dilatorio di 60 giorni, trattandosi di controllo eseguito in base ad indagini finanziarie sulle movimentazioni bancarie del contribuente (cd. accertamenti “a tavolino”), e comunque irrilevante la sua violazione, trattandosi di “mero vizio forrmale” non incidente “minimamente sulla legittimità sostanziale dell’atto”.

3.1. Sul tema del cd. contraddittorio preventivo o endoprocedimentale, le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 24823/15) hanno affermato il seguente principio di diritto: “differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi cd. non armonizzati, dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzate, avendo luogo la dirette, applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

3.2. Nel caso di specie – in cui si tratta pacificamente di controlli bancari eseguiti ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, (cd. controlli “a tavolino”) all’esito dei quali l’avviso di accertamento è stato emesso senza il rispetto del termine dilatorio di 60 giorni – la decisione impugnata non risulta in contrasto con i suddetti principi.

3.3. Ed invero, con riguardo ai tributi IRPEF ed IRAP – in quanto “non armonizzati” – non si applica il principio generale del contraddittorio preventivo.

3.4. Quanto all’IVA, invece, le stesse Sezioni Unite hanno chiarito che “la limitazione della rilevanza della violazione dell’obbligo del contraddittorio, all’ipotesi in cui la sua osservanza avrebbe potuto comportare un risultato diverso del procedimento impositivo”, deve essere inteso “nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorchè, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali”; nel caso di specie, invece, non risulta che il contribuente abbia assolto l’onere di fornire “in giudizio prova del fatto che l’omissione del contraddittorio gli ha impedito di far emergere circostanze e ragionamenti idonei ad attestare altri eventuali profili d’illegittimità o l’infondatezza (totale o parziale) della pretesa fiscale”.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore dell’amministrazione controricorrente, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016

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