Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22558 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 16/10/2020), n.22558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24236/2019 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche, via

Fermi, presso lo studio dell’avv.to GIUSEPPE LUFRANO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE BRESCIA;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato in data

11/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’08/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA MARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Brescia, con decreto pubblicato l’11 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da O.S., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, priva di qualsivoglia dettaglio o circostanza che potesse dare un minimo di valore al racconto. Il richiedente aveva riferito di essere fuggito dalla Nigeria perchè era stato ingiustamente accusato della morte di un suo amico, accuse mosse dai familiari di costui che avevano minacciato di ucciderlo. Successivamente nel percorso di fuga era transitato per la Libia dove era stato ferito Egli, tuttavia, si era contraddetto nel racconto e aveva fornito dettagli del tutto incoerenti e contraddittori.

In ogni caso i fatti non integravano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, nè con riferimento alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, nè a quella di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Il richiedente non aveva allegato che in caso di rimpatrio poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali la Nigeria non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non essendo stata nè allegata nè dimostrata alcuna di quelle situazioni di vulnerabilità anche temporanea tale da legittimare la richiesta della protezione umanitaria, nè sotto il profilo soggettivo, nè sotto quello oggettivo, ciò tenuto conto anche del periodo trascorso in Libia.

2. O.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per non aver considerato la Libia quale paese di provenienza. A parere del ricorrente egli si era radicato in Libia vivendo in un lasso di tempo apprezzabile ed era dovuto fuggire a causa della situazione di violenza indiscriminata verificatasi a partire dal 2011.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per motivazione apparente, per aver escluso l’esistenza nel paese di provenienza di una situazione di violenza indiscussa e incontrollata.

Il giudice avrebbe violato il dovere di cooperazione istruttoria non considerando che dalle fonti citate emergeva una situazione di violenza diffusa di indiscriminata coinvolgente l’intero territorio del paese, ivi compreso l’Edo State.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per il mancato scrutinio specifico delle condizioni di vulnerabilità per non aver ritenuto sussistenti le condizioni di vulnerabilità del ricorrente in caso di rientro forzoso in patria. A parere del ricorrente sussiste la condizione di vulnerabilità oggettiva vista la situazione del paese di origine che vede compromesso l’esercizio dei diritti fondamentali. In Italia invece il ricorrente è riuscito a crearsi una buona integrazione in modo da condurre una vita dignitosa.

4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili, anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Brescia ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla inverosimiglianza e contraddittorietà delle dichiarazioni del ricorrente, oltre che alla situazione socio-politica della Nigeria. In particolare quanto alla situazione della Libia come paese di transito il Tribunale ha correttamente ritenuto, ai fini della protezione sussidiaria, che la Libia non poteva essere considerata come paese di provenienza, come preteso dal ricorrente, essendovi questi stato per un periodo estremamente limitato e, con riferimento alla protezione umanitaria, che il periodo ivi trascorso non era idoneo a determinare una situazione di vulnerabilità.

Il Tribunale di Brescia ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che la Nigeria non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Nigeria, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente si limita a dedurre genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo al non aver tenuto conto della situazione generale del paese di origine.

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che in tal caso non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

Con riferimento al diniego della protezione umanitaria anch’esso è dipeso dall’accertamento non sindacabile dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità sia sotto il profilo soggettivo con riferimento all’integrazione del richiedente che oggettivo riguardo alla situazione della zona di provenienza. Si è detto che il tribunale ha tenuto conto anche del vissuto del ricorrente quanto al transito in Libia, ritenendo che non aveva concorso a determinare una situazione di vulnerabilità sotto il profilo fisico o psichico.

All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese in quanto il Ministero delllnterno non è si è costituito.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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