Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22556 del 28/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 28/10/2011), n.22556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.S. e F.A., elettivamente domiciliate in

Roma presso l’Avv. Marco Gatti, con studio in via G. Scalia n. 12,

rappresentate e difese dall’Avv. Faugno Massimo per procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Mazzini n. 134,

presso lo studio dell’Avv. Fiorillo Luigi, che la rappresenta e

difende per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5747/08 della Corte d’appello di Roma,

pronunziata in causa n. 10975/08 r.g., depositata in data 5.06.09;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 28.09.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale dott. FEDELI Massimo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- M.S. e F.A.R. chiedevano a giudice del lavoro di Roma di dichiarare nullo il termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 1.7-30.9.00, per la prima, e 1.8-30.9.00, per la seconda, stipulati per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie, ai sensi dell’art. 8 del CCNL per i dipendenti postali 26.11.94.

2.- Rigettata la domanda e proposto appello dalle lavoratoci, la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata in data 5.6.09, rigettava l’impugnazione. Il giudice rilevava, per la parte che qui interessa, che – nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23 che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – il contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8, comma 2, del CCNL Poste 26.11.94. Per la legittimità dell’assunzione era, dunque, chiesto non che il lavoratore fosse assunto per sostituire un dipendente nominativamente indicato o che fosse indicata la causa specifica della sostituzione, ma solo che l’assunzione era stata necessitata da esigenze di servizio che non potessero essere soddisfatte per l’assenza per ferie del personale nel periodo giugno-settembre.

3.- Avverso questa sentenza M. e l’errante proponevano ricorso per cassazione, cui rispondeva con controricorso Poste Italiane.

Il Consigliere relatore ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c. ha depositato relazione, che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori costituiti assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza.

4.- I motivi proposti dalle ricorrenti possono essere così riassunti: 4.1.- violazione dell’art. 8 del ccnl Poste 26.11.94, con riferimento alla L. n. 56 del 1987, art. 23 alla direttiva CE 1999/70 ed alla L. n. 230 del 1962, nonchè ai principi espressi dalla sentenza della Corte cost. n. 214 del 2009, per errata interpretazione dell’art. 8 del CCNL 1994, conseguente violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1, 2 e 3 in relazione alla mancanza di prova dell’effettiva sostituzione del personale in ferie con personale a termine e per mancata indicazione del nominativo del lavoratore da sostituire;

4.2,- carenza di motivazione in quanto la sentenza impugnata ha omesso di considerare che la causale indicata nell’atto scritto non recava l’indicazione che la necessità di espletamento del servizio fosse riferita al “periodo giugno-settembre”, come richiesto dall’art. 8 del contratto collettivo, il che eluderebbe i requisiti minimi di tutela apprestati dalla normativa a difesa del dipendente.

5.- I due motivi, da trattare congiuntamente in ragione della connessione tra di loro esistente, sono infondati in ragione della giurisprudenza di questa Corte, che sulle questioni oggi sollevate dalla ricorrente ha adottato orientamenti ormai consolidati.

6.- I contratti in questione furono stipulati ai sensi dell’art. 8, comma 2, CCNL Poste 1994, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 6 novembre 2001, n. 368, attuativo della direttiva 1999/70/CE in materia di lavoro a tempo determinato. Ai sensi del cit. D.Lgs. , art. 11, comma 2, la norma contrattuale era ancora vigente e regolava in pieno la fattispecie ora in esame. E’, quindi, irrilevante il richiamo alla sentenza della Corte cost. n. 214 del 2009, che e stata pronunziata con riferimento a tutt’altro contesto normativo.

7.- I contratti in esame furono motivati dalla “necessità di espletamento del servizio (recapito) in concomitanza di assenze per ferie”, in forza di fattispecie prevista esplicitamente dall’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2.3.07 n. 4933), decidendo su una fattispecie analoga ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

Infatti, l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva è del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie prevista dalla L. n. 230 del 1962, in considerazione del principio (Cass. S.u-, 2.3.06 n. 4588) che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati. Questi ultimi, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo (vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti.

L’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94, per il quale “l’Ente potrà valersi delle prestazioni di personale con contratto a termine …

anche nei seguenti casi: necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre …”, usando una formula diversa da quella della L. n. 230 del 1962 testimonia che le parti stipulanti considerano questa ipotesi di assunzione a termine, in ragione dell’uso dell’espressione in concomitanza sempre sussistente nel periodo stabilito (giugno- settembre).

Altre decisioni (cfr. Cass. 6.12.05 n. 26678) hanno, inoltre, confermato le decisioni di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, avevano ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

8.- E’ irrilevante, infine, il rilievo che il giudice di merito non abbia considerato che il contratto scritto non recasse la precisazione che le assenze per ferie avessero come riferimento il periodo giugno-settembre. Dal complesso argomentativo della sentenza, infatti, emerge con chiarezza che – in forza dei periodi interessati (1.7-30.9.00 per M. e 1.8-30.9.00 per F.) – il giudice ha ravvisato nella norma dell’art. 8, comma 2, la norma regolatrice dei contratti in questione.

9.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido le ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi ed in Euro 1.000,00 (mille/00) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2011

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