Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22556 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 16/10/2020), n.22556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24784/2019 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI, 8,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE FACHILE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO VERRASTRO;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE BRESCIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 122/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’08/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA MARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza pubblicata il 23 gennaio 2019, respingeva il ricorso proposto da M.S., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Brescia aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti (umanitaria);

2. La Corte d’appello di Brescia rilevava che dichiarante non era credibile. Questi aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese perchè il padre era un accanito sostenitore dell’ex presidente Ouattara e che era stato ucciso dagli oppositori politici, in particolare i militari di (OMISSIS).

La narrazione era poco credibile quanto il ricorrente non aveva fornito informazioni adeguate sull’attività politica del padre sulla sua morte. Inoltre, non aveva saputo fornire elementi precisi sulla vicenda della liberazione ad opera dei sostenitori dell’ex presidente non aveva minimamente spiegato per quale motivo avrebbe deciso di espatriare dopo essere stato liberato dai sostenitori a lui vicini contestualmente alla presa di potere da parte del partito legato all’ex presidente. Per questo motivo non vi era alcuna giustificazione al timore di atti persecutori in caso di rientro in patria. Lo stesso doveva affermarsi in relazione alla domanda di protezione sussidiaria in quanto la Costa d’Avorio vedeva il realizzarsi di un notevole processo di stabilizzazione come risultante dalle fonti internazionali citate che escludevano la possibilità per il ricorrente di subire un grave danno.

Sulla base delle medesime considerazioni doveva confermarsi anche l’assenza dei presupposti di vulnerabilità soggettiva ai fini della protezione umanitaria. Il ricorrente non aveva addotto alcuna situazione di vulnerabilità in grado di giustificare le ragioni umanitarie per il permesso di soggiorno e dunque doveva ritenersi del tutto condivisibile la decisione di primo grado. Il ricorrente aveva narrato anche di un periodo di prigionia in Libia durante il conflitto civile, tale periodo tuttavia appariva irrilevante in quanto il paese libico era un paese di mero transito e non vi era alcuna rapporto di continuità o di collegamento funzionale con la sussistenza di una causa rilevante ai fini della protezione internazionale non risultando alcun effettivo radicamento nel suddetto paese di transito. La dedotta situazione di povertà economica non era sufficiente ai fini del rilascio della protezione umanitaria.

3. M.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di un motivo di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. L’unico motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, art. 27, comma 1 bis, art. 32, comma 3, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e art. 16 direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) artt. 5, 6, art. 14, comma 1, lett. b e art. 9 e art. 15 direttiva 2011/95/UE, e violazione del principio del contraddittorio del diritto di difesa, tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’Appello di Roma (rectius Brescia) escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria è umanitaria senza disporre la richiesta audizione del ricorrente e senza porre in atto doverosi accertamenti ufficiosi relativi alla situazione di grave e perdurante violenza nel paese d’origine in correlazione con l’omessa protezione delle forze di polizia e con le difficili condizioni scaturite dalla recente guerra civile.

Il ricorrente, dopo aver evidenziato la necessità di audizione del richiedente la protezione internazionale non solo nella fase amministrativa ma anche in quella giurisdizionale, lamenta che la corte distrettuale, pur avendo preso posizione sulla inattendibilità del ricorrente non abbia disposto l’audizione ma deciso solo sulla base degli atti processuali. La Corte d’Appello non avrebbe fatto uso neanche degli obbligatori poteri ufficiosi di istruttoria volti a chiarire con l’interessato gli aspetti specifici della sua vicenda.

Infine, sarebbe omessa ogni reale valutazione circa la spettanza della protezione umanitaria non avendo svolto una effettiva indagine sul percorso di integrazione idoneo a fondare l’indagine comparativa.

1.1 l’unico motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorso si fonda sull’erroneo presupposto secondo il quale, nel rito precedente la riforma introdotta con il D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, con la quale si sono istituite, presso i Tribunali sedi di Corte d’appello, le sezioni specializzate in materia di protezione internazionale, la Corte d’Appello doveva procedere all’audizione del richiedente.

Sul punto deve ribadirsi che: “Nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (Sez. 1, Ord. n. 8931 del 2020 Sez. 6-1, Ord. n. 3003 del 2018).

Nel caso di specie, pertanto, una volta chiarito che non era necessaria l’audizione del richiedente le censure mosse si risolvono in una inammissibile richiesta di rivalutazione in fatto della decisione di merito.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, infatti, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che la Corte d’Appello ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla inverosimiglianza e contraddittorietà delle dichiarazioni del ricorrente, oltre che alla situazione sociopolitica della Costa d’Avorio.

La Corte d’Appello di Brescia ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che la Costa d’Avorio non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese di provenienza, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese).

Deve ribadirsi che In tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente si limita a dedurre genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla mancata audizione e al non aver tenuto conto della situazione generale del paese di origine.

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che in tal caso non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

2. In conclusione il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

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