Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22556 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. I, 10/09/2019, (ud. 12/03/2019, dep. 10/09/2019), n.22556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3142/2014 proposto da:

Consorzio Agrario Provinciale di Perugia Soc. Coop., in persona del

Presidente del Consiglio di amministrazione pro tempore, nonchè,

disgiuntamente, del Commissario liquidatore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Eleonora Duse n. 5/G, presso lo studio

dell’avvocato Leonardi Sergio che lo rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Inps), in persona del

Direttore Centrale Entrate pro tempore, elettivamente domiciliato in

Roma, Via Cesare Beccaria n. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati D’Aloisio

Carla, De Rose Emanuele, Maritato Lelio e Sgroi Antonino, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 271/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 07/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/03/2019 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

in sede di opposizione allo stato passivo (vecchio rito), nel definire un complesso contenzioso tra l’Inps e il Consorzio Agrario provinciale di Perugia s.c.a.r.l., la Corte d’Appello di Perugia ha ammesso al passivo della liquidazione coatta amministrativa del Consorzio, il credito Inps di Euro 1.174.047,74 per sanzioni e interessi su contributi non versati.

Più precisamente, la questione controversa, in questa sede, è se il datore di lavoro sia tenuto al pagamento di sanzioni e interessi per avere omesso il versamento di contributi e per indebito godimento dei benefici relativi alla fiscalizzazione degli oneri sociali e se possa ripetere le somme indebitamente versate ai lavoratori a titolo d’indennità di malattia.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello, ricorre per cassazione il Consorzio in liquidazione coatta amministrativa, con quattro motivi illustrati da memoria, mentre, l’Inps resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, il consorzio ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.L. n. 536 del 1987, art. 4, commi 1 e 6, convertito con modificazioni nella L. n. 48 del 1988, artt. 1206 e 1241 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto contesta l’addebito delle sanzioni, giustificato dalla Corte d’Appello di Perugia con il carattere automatico del suo sorgere, in presenza dell’inadempimento dell’obbligo contributivo e negando rilievo alla circostanza che nella specie l’inadempimento dipendeva dall’erroneo inquadramento del Consorzio come impresa di natura commerciale, disposto dall’Inps che si era opposto fino a una certa data all’inquadramento del Consorzio nel settore industriale.

Con un secondo motivo (condizionato al rigetto del primo motivo), si deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 112 c.p.c. e della L. Fall., artt. 201,52 e 55, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè il vizio di omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto, erroneamente, i giudici d’appello avrebbero fissato come termine finale del recupero delle sanzioni applicate e degli interessi quello dell’effettivo recupero (di cui al verbale di accertamento ispettivo dell’11.2.1993), diverso dal termine indicato, invece, dall’Inps nella domanda di ammissione al passivo, costituito dalla data in cui era stata decretata la sottoposizione del Consorzio alla liquidazione coatta amministrativa (1.1.1991), come del resto previsto dalla legge, secondo cui nel corso della procedura fallimentare, come in quella di l.c.a., non è concepibile la mora debendi che è alla base dell’obbligazione sanzionatoria.

Con un terzo motivo (proposto in subordine al rigetto dei primi due), la parte ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 113,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto erroneamente, il giudice del merito aveva ammesso l’Inps al passivo della procedura per l’importo di Euro 1.174.074,74 sulla base di un conteggio dell’Istituto privo di valenza probatoria, in quanto, non giustificato da nessun calcolo correttamente inteso e di gran lunga superiore alle somme indicate nell’istanza di ammissione al passivo e di quelle indicate dallo stesso CTU, sulla cui “falsariga”, ad avviso dei giudici d’appello, il conteggio era stato condotto.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.L. n. 663 del 1979, art. 1, commi 1 e 2 (nel testo risultante dalla Legge di Conversione n. 33 del 1980), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè vizio di motivazione su un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto erroneamente, il giudice d’appello aveva rigettato la domanda del Consorzio di restituzione dell’indennità di malattia corrisposta all’Inps, sull’erroneo presupposto che il mancato inquadramento nel settore industria sino al 1990, imputabile all’Inpsi era un evento che rimane esterno rispetto alla questione dell’indennità di malattia che è legata in modo esclusivo all’attivazione delle prescritte procedure e prescinde dall’individuazione dell’imputazione soggettiva dell’addebito.

E’ fondato, il primo motivo, con assorbimento del secondo (condizionato al rigetto del primo) e del terzo (condizionato al rigetto del primo e del secondo).

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Il principio secondo cui l’obbligo relativo alle somme aggiuntive (cosiddette sanzioni civili) che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di omesso o tardivo pagamento dei contributi previdenziali (R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 111, come sostituito dalla L. 4 aprile 1952, n. 218, art. 23, comma 1 e art. 24, u.c. e successive modifiche ed integrazioni) costituisce una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, con funzione di rafforzamento dell’obbligazione contributiva e di predeterminazione legale (con presunzione “iuris et de iure”) del danno cagionato all’ente previdenziale – per cui non è consentita alcuna indagine sull’elemento soggettivo del debitore della contribuzione al fine dell’esclusione o della riduzione dell’obbligo suddetto, restando irrilevante, in particolare, la convinzione del soggetto di dovere i contributi ad un ente previdenziale diverso dall’effettivo creditore – non si applica allorchè il danno subito dall’ente previdenziale appare imputabile allo stesso ente (come accade allorchè l’erroneo inquadramento ai fini contributivi sia stato da questo disposto), ovvero nelle ipotesi di applicabilità del D.L. 30 dicembre 1987, n. 536, convertito con modificazioni nella L. 29 febbraio 1988, n. 48, che, avendo attribuito rilievo, nella fissazione di una graduazione della entità della somma aggiuntiva, all’esistenza di oggettive incertezze” connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi, sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo (art. 4, comma 1, lett. b), induce a ritenere che non sia dovuta alcuna somma aggiuntiva quando l’omesso o ritardato versamento dei contributi sia stato causato dalla incontroversa rappresentazione dell’inesistenza dell’obbligo (nella specie, dovuta ad un erroneo inquadramento da parte dello stesso ente previdenziale che ha poi preteso il pagamento della somma aggiuntiva)” (Cass. n. 679/1995, 3149/1999, 2758/06, 24358/08, 16093/14).

Nel caso di specie, il ricorrente ha dedotto che l’Inps aveva resistito fino al passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Perugia n. 1023/90, all’inquadramento del Consorzio nel settore industriale, richiedendogli poi, attraverso l’attività di recupero mediante l’accertamento ispettivo dell’11.2.1993 la differenza delle aliquote contributive tra il settore “commercio” e quello “industria” (che sono maggiori nel secondo), v. pp. 3 e 4 del ricorso.

Alla luce dei principi sopra enunciati, tali circostanze erano rilevanti nel giudizio e il Tribunale ha dunque errato nel ritenere irrilevante il loro accertamento.

Il quarto motivo è fondato, in quanto, come chiarito da Cass. 679/1995, cit., richiamata dal ricorrente, alla stregua del meccanismo previsto dal cit. D.L. n. 663 del 1979, art. 1, commi 1 e 2, il datore di lavoro assume, quanto al pagamento dell’indennità di malattia in favore dei lavoratori, il ruolo di adiectus solutionis causa rispetto all’obbligato INPS, con diritto al conguaglio di quanto anticipato con le somme dovute all’ente. In caso di indebito versamento delle indennità ai lavoratori, dovuto all’erroneo inquadramento da parte dell’ente previdenziale, è dunque quest’ultimo, quale obbligato, a dover sopportare le conseguenze dell’impossibilità di recupero delle somme erogate nei confronti dei percettori: il datore di lavoro, infatti, è sì tenuto a procedere egli stesso a tale recupero, ai sensi del comma 3 del medesimo D.L., ma, ai sensi del comma 4, “qualora non possa recuperare le somme stesse, è tenuto a darne comunicazione all’istituto, che provvederà direttamente al recupero”. Fermo restando, ovviamente, anche in tal caso, il diritto al conguaglio” ai sensi del comma 2, nei confronti dell’ente previdenziale.

In accoglimento del primo (assorbiti il secondo e il terzo) e quarto motivo, la sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, affinchè, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il primo e quarto motivo di ricorso, assorbiti il secondo e

terzo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia,

anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte

d’Appello di Perugia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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