Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22555 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 16/10/2020), n.22555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24740/2019 proposto da:

L.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI,

6, presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

BRESCIA;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato, il

16/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’08/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA MARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Brescia, con decreto pubblicato il 16 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da L.K., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, priva di qualsivoglia dettaglio o circostanza che potesse dare un minimo di valore al racconto e con numerose contraddizioni e incoerenze. Il richiedente aveva riferito di essere fuggito dalla Nigeria per una persecuzione di tipo politico subita dagli appartenenti al partito APC che, sapendo della sua vicinanza al fratello di O.I.I., gli avevano offerto una somma di denaro per ottenere il suo aiuto a rapirlo. Di fronte al suo rifiuto avevano iniziato a perseguitarlo, fino a che, dopo una colluttazione, il richiedente aveva fatto denuncia alla polizia che aveva detto di non poterlo aiutare perchè i membri dell’APC facevano parte della polizia.

Pertanto, data la non credibilità del racconto, non poteva essere riconosciuto lo status di rifugiato e non poteva essere accolta la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Il richiedente non aveva allegato che in caso di rimpatrio poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali la Nigeria non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non essendo stata nè allegata nè dimostrata alcuna di quelle situazioni di vulnerabilità anche temporanea tale da legittimare la richiesta della protezione umanitaria, nè sotto il profilo soggettivo, nè sotto quello oggettivo.

2. L.K. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di quattro motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, lett. e) ed f), in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, illogica, contraddittoria e apparente motivazione per avere il tribunale rigettato la richiesta dello status di rifugiato non riuscendo ad individuare alcuna persecuzione per tendenze o stili di vita.

Secondo il ricorrente egli aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda nel rispetto dei criteri di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 5 e le sue dichiarazioni, lungi dall’essere non credibili, dovevano essere contestualizzate in una realtà quale quella della Nigeria in cui lo Stato non fornisce alcuna protezione.

Il tribunale di Brescia con motivazione apparente ha escluso il riconoscimento dello status di rifugiato, sulla base di opinioni soggettive senza mostrare di conoscere la situazione della Nigeria.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e art. 3, comma 3, lett. a) e artt. 2, 3, 5, 8 e 9 CEDU e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, dal momento che il rigetto della protezione sussidiaria è stato emesso senza alcuna valutazione sulla sussistenza del danno grave. Difetto di istruttoria.

Secondo il ricorrente il Tribunale avrebbe erroneamente escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria ritenendo arbitrariamente il danno eventuale e non effettivo, escludendo la sussistenza in Nigeria di un pericolo generalizzato. Il giudice avrebbe rigettato la domanda senza mettere in atto i poteri ufficiosi di indagine e informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e art. 3, comma 3, lett. a) il rigetto della protezione sussidiaria sarebbe stato emesso sulla base di un giudizio prognostico, futuro e incerto e non sullo stato effettivo ad attuale del paese d’origine, ritenendo che in Nigeria non vi sia un pericolo generalizzato.

Il Tribunale avrebbe formulato un giudizio eventuale e prognostico sulla condizione della Nigeria senza tener conto dell’effettiva situazione sociopolitica come risultante dal sito ufficiale della Farnesina.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. c) e comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, illogica contraddittoria e apparente motivazione per avere il Tribunale rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico e attuale della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, con riferimento al paese di origine.

Il ricorrente evidenzia di aver posto in essere un effettivo percorso di integrazione sulla base del quale il rientro forzoso in patria lo esporrebbe ad un danno grave per la deprivazione dei diritti umani minimi. Il Tribunale d’altro canto non avrebbe compiuto la comparazione necessaria tra la situazione attuale e quella di rientro.

5. I quattro motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili, anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Brescia ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla inverosimiglianza e contraddittorietà delle dichiarazioni del ricorrente, oltre che alla situazione socio-politica della Nigeria.

Il Tribunale di Brescia ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che la Nigeria non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Nigeria, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese).

Deve ribadirsi che In tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente si limita a dedurre genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo al non aver tenuto conto della situazione generale del paese di origine.

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che in tal caso non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

Con riferimento al diniego della protezione umanitaria anch’esso è dipeso dall’accertamento non sindacabile dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità sia sotto il profilo soggettivo con riferimento all’integrazione del richiedente che oggettivo riguardo alla situazione della zona di provenienza.

All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

6. In conclusione il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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